D’Alema: “Mio vino, il favore è venderlo non comprarlo”. Bue disse all’asino…

di Lucio Fero
Pubblicato il 1 Aprile 2015 - 14:08 OLTRE 6 MESI FA
D'Alema: "Mio vino, il favore è venderlo non comprarlo". Bue disse all'asino...

D’Alema: “Mio vino, il favore è venderlo non comprarlo”. Bue disse all’asino… (foto Lapresse)

ROMA – A scanso di equivoci facciamo che Massimo D’Alema è innocente, innocente di tutto. Anzi neanche imputabile più o meno di niente e infatti in questa storia della Coop accusata di comprarsi le amicizie e gli appalti D’Alema è imputato di niente. A scanso di equivoci facciamo che qui non si parla di nulla di penale, cioè contro il codice, e neanche di morale, cioè contro il dover essere, comportarsi e relazionarsi di un uomo pubblico. Facciamo pure, e con questo facciamo l’umanamente possibile, che a D’Alema da anni e anni sono state rotte le scatole con storie poi rivelatesi inconsistenti o intessute di pessima trama: l’affittopoli che nel caso suo non c’era, le scarpe che a comprarsele che costano tanto non è reato, né peccato e neanche vergogna, la barca che in barca ci vanno e un po’ se la comprano centinaia di migliaia di italiani e lui chissà perché non doveva.

Facciamo che D’Alema è uno normale. No, questo non possiamo farlo perché D’Alema può essere e risultare innocente, chiamato in causa a sproposito, tormentato da informazione pettegola e malevola…Tutto quel che volete, ma uno normale proprio no e solo l’ironia che caratterizza i fatti umani ha voluto che fosse lui l’autore del testo e della richiesta politica di un “paese normale”.

Perché, come, quando D’Alema ha mostrato e mostra di non essere uno normale? Prendere l’ultima dichiarazione a/normale e leggerla con attenzione. Ai giornalisti con cui parlava, tra un rimbrotto e l’altro ai magistrati che si “delegittimano da soli” e al Csm che non “vigila” sul loro operato, il nostro ha tenuto a precisare: “Il mio vino, il favore è venderlo, non comprarlo”. Alt, fermo immagine e sonoro, tornare indietro: solo uno come D’Alema, anzi forse solo D’Alema Massimo poteva portare a prova inconfutabile della inattendibilità di una inchiesta la suprema qualità del suo vino.

Anzi l’inchiesta non c’entra, dimentichiamola. Restiamo al vino. Dice massimo D’Alema che l’acquisto da parte di chicchessia di duemila bottiglie del suo vino è un trattamento di favore. E che il favore lo fa lui che lo vende. Il favore di vendere un vino così buono. Come possono, come si può anche solo pensare che sia invece un favore a D’Alema comprargli il suo vino sublime? Di fronte a questo sgorbio della logica D’Alema resta quasi incredulo. E ristabilisce l’ordine del mondo sulla base dei seguenti postulati. Primo: il vino D’Alema è vino di D’Alema e tanto basta. Secondo: tutti aspirano a quel vino. Terzo: bontà sua ogni tanto D’Alema fa la concessione, il favore, la grazia di vendere quel vino a qualcuno. Quarto: il compratore è sempre un beneficiato dalla buona sorte e dalla buona volontà del venditore. Quinto: per questo, questo e quest’altro motivo è semplicemente assurdo pensare che la Coop abbia voluto fare un favore a D’Alema comprandogli duemila bottiglie di vino. Casomai il contrario, come ogni sano di mente dovrebbe subito intuire.

Dite voi se uno così è uno normale. Ci vuole, diciamo (intercalare molto caro a D’Alema quando sta per pronunciare pessimo giudizio sull’oggetto/persona di cui sta parlando)…Ci vuole, diciamo, gran senso di sé per ritenersi dotato di una sorta di “tocco” per cui, se fai un vino, lo fai che è un nettare. E ci vuole, diciamo, ancora più senso di sé per ritenere che gli umani, tutti gli umani, debbano essere consapevoli e coscienti che di nettare si tratta. E ci vuole, diciamo, una discreta “arroganza” (termine di recente usato da D’Alema come misura e metro di valutazione politica) per rivendicare l’altissima qualità del proprio vino come evidenza dell’altrui malevolenza se qualcuno solo fa cenno alla Coop compra amicizie, appalti e anche vino.

Nel mondo di D’Alema tutti vorrebbero bere il suo vino e questa è e deve essere cosa notoria. Come nel mondo di D’Alema tutti vorrebbero iscriversi e far parte della Fondazione Italiani/europei dello stesso D’Alema. Ma non certo a tutti D’Alema concede il favore e l’opportunità della delibazione e dell’iscrizione. Nel mondo di D’Alema tutti concordano e aspirano a vivere una vita pubblica secondo la sua riforma istituzionale (il fatto che nacque morta è irrilevante) e a votare secondo la sua legge elettorale (la circostanza che non esista una sua legge elettorale è altrettanto irrilevante) e soprattutto tutti concordano sulla circostanza che il miglior presidente del Consiglio e presidente della Repubblica sarebbe, ieri e oggi, D’Alema. E’ evidente, anzi autoevidente.

Per modestia Massimo D’Alema non arriva a dire che il favore lo farebbe lui al paese se governasse in prima persona. Non lo dice ma solo per modestia, però lo lascia intuire a chi è capace di intendere. Alla sinistra politica D’Alema ha fatto e fa il favore di esistere e tanto alla sinistra dovrebbe bastare. D’Alema glielo ricorda alla sinistra ad ogni occasione pubblica e privata. E ai tontoloni, ai duri di comprendonio che si ostinano a non capirlo D’Alema con non celato sprezzo riserva l’anatema: “arrogante, Pd partito gestito con arroganza”.

Disse il bue cornuto all’asino, disse D’Alema arrogante a Renzi. Però torniamo al vino, al vino di D’Alema. Della sua qualità non sappiamo, chissà se mai riceveremo il favore di degustarlo. A naso diffidiamo della censura impartita da Vincenzo De Luca, non concordiamo sul suo “quel vino deve essere una schifezza”. Facciamo che è un vino buono. Però non l’abbiamo mai assaggiato con le nostre papille plebee. Abbiamo però assaggiato il riformismo anemico di D’Alema governante, la capacità disgregante della sua leadership riguardo alla sinistra, la potenza del suo ragionare e l’impotenza del suo agire. E il suo predicare, il suo stare in cattedra, il suo impartire competenza. E il suo mischiare, intingere tutto questo in un astio politico/personale  ormai inscindibili perché in fondo non scissi neanche in origine. Astio, rancore, stizza non mascherabili e non mascherati. Come può infatti un uomo certo che il suo vino, perché suo, sia un’aspirazione dell’umanità, concepire che la sua politica non sia il laico decalogo per un’umanità migliore?