Oggi morti e feriti in venti paesi: l’arco di fuoco delle guerre di Islam

di Lucio Fero
Pubblicato il 3 Aprile 2015 - 15:06 OLTRE 6 MESI FA
Oggi morti e feriti in venti paesi: l'arco di fuoco delle guerre di Islam

Oggi morti e feriti in venti paesi: l’arco di fuoco delle guerre di Islam (foto Ansa)

ROMA – Oggi, proprio oggi in un giorno qualunque del 2015 e della nostra tranquilla e ignara (più ignara che tranquilla) routine di vita di noi europei che viviamo in pace si spara e si combatte in almeno venti paesi. In almeno venti nazioni oggi, proprio oggi, si spara, si combatte e si muore in guerre in cui è coinvolta l’ideologia militante e militare che all’islam si richiama, che in nome dell’Islam dice di sparare, combattere e scannare. L’arco di fuoco dell’Islam in armi va dall’Asia centrale fino a lambire l’Oceania, attraversa tutto il Medio Oriente, sfiora il Caucaso, varca il canale di Suez, brucia l’Africa Orientale e quella settentrionale, sfocia nel Mediterraneo, si affaccia sull’Atlantico.

Papa Francesco l’ha definita “terza guerra mondiale a pezzi”. Eccola. Oggi, proprio oggi si spara e si combatte in Afghanistan. E in Pakistan. E guerriglia c’è in Indonesia. E guerra, anche di sterminio, c’è in Iraq e Siria. Guerra frontale in Yemen. Guerra nel Sinai, Egitto. Focolai di guerra e milizie armate in Libano. Azioni e vittime di guerra in Giordania. Stremata dalla guerra è la Somalia. Investito dalla guerra è il Kenya. Smembrata e dissanguata dalla guerra è la Libia. Sotto attacco la Tunisia. Guerra in Nigeria e in Ciad e in Mali e in Sudan e in Niger. Scintille di guerra in Turchia, fuochi di guerra in Camerun. E qualcuno, qualche paese dove oggi, proprio oggi, c’è guerra e morte l’avremo di certo omesso nell’elenco.

E’ un arco di guerra e di fuoco la cui potenza e virulenza si apprezza se lo si stende e contempla su un planisfero: investe due continenti, ne lambisce altri due. E’ una guerra con scontri quotidiani e battaglie a cadenze settimanali, al massimo mensili. Guerra con fronti abbastanza precisi, con avanzate e ritirate, imboscate, urti frontali pianificati e pianificate strategie di logoramento. E con pianificato uso del sangue: pogrom di cristiani e guerra civil/religiosa tra musulmani. Una guerra voluta e combattuta non da cento i mille o duemila. Una guerra combattuta da decine di migliaia di armati sostenuti dal favore o dalla benevola neutralità di milioni. Una guerra dichiarata e combattuta soprattutto contro quel che chiamavamo Occidente, il nostro modo di vivere, la nostra cultura, i nostri valori.

Fingiamo sia un rosario i cui grani si collegano e allineano tra loro in modo se non proprio casuale di certo fortuito. Pensiamo, amiamo pensare che in Kenya gli islamisti somali scannano gli studenti cristiani perché l’esercito kenyota a suo tempo era entrato in Somalia e quel che accade in Yemen è soprattutto una storia di tribù e che la Libia è colpa di Sarkozy e l’Iraq colpa di Bush e la Siria responsabilità di Obama. Troviamo sempre una mezza ragione che diventa un buon alibi per esser sicuri (!?) che l’arco di fuoco e guerra non ci toccherà, che qui in fondo non arriveranno mai e che non ce l’hanno proprio con noi. O che, se ce l’hanno con noi, la smetteranno e diventeranno buoni quando gli avremo dato (come pegno?) una parte delle ricchezze del mondo.

O che, se le ricchezza non bastassero, ci penseranno i droni. Le ricchezze, i droni comunque sono sempre in questi pensieri quelli di qualcun altro. Fingiamo possa essere così. Peggio, fingiamo che la guerra noi la si possa fieramente combattere lasciando affogare quelli sui barconi o facendo la faccia durissima con gli immigrati, pestandoli sul grugno se necessario. Un’altra e più squalificante forma di pavidità: starsene alla larga dai forti e prendersela con i deboli. Sono tante le forme in cui la nostra coscienza si rifiuta di prendere atto della realtà, della guerra ormai non a rischio ma della guerra già in corso.

Ed è comprensibile, umano, perfino storico che sia così. Non c’è da biasimare un popolo perché respinge la consapevolezza che la pace in cui vive è vulnerabile già ferita. Sempre o quasi sempre i popoli recalcitrano di fronte alla realtà. A meno che una classe dirigente non li metta di fronte alla realtà. Una classe dirigente oggi in Europa? Con il popolo, anzi la gente, anzi le genti tutte più o meno a schifare i ceti dirigenti o quel che ne rimane? Quando ci strapperanno la nostra pace come carne viva staremo lì a chiederci perché mai non si possa fare una guerra senza che muioa nessuno dei nostri, senza spendere un euro e senza poter far ricorso al Tar in caso di danneggiamenti e fastidi.