Onorevole,14mila netti, piange miseria. Bindi e Meloni unite nella lotta

di Lucio Fero
Pubblicato il 12 Dicembre 2011 - 14:22 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – L’imbarazzo della scelta. Volete un ex ministro del Pdl che velenosamente ritorce sul governo la velenosa intenzione di tagliare i soldi in busta paga ai parlamentari? Eccola, è Giorgia Meloni: “In questo momento di grande attenzione sui costi della politica sarebbe un errore se l’esecutivo si dimostrasse eccessivamente distratto sui grandi privilegi di cui ancora oggi godono le banche e molti cosiddetti tecnici”. Prendi e porta a casa caro Monti: prima di “mettere le mani in tasca” ai parlamentari, attento alle tasche pingui dei tuoi ministri e del tuo mondo. Volete un nome di punta e di prestigio dello schieramento opposto? Eccolo: Rosy Bindi presidente niente meno che del Pd: “Il governo ha fatto un errore che da un governo di competenti non ci aspettavamo, una scivolata, una caduta di stile”.

E che avrà fatto mai, anzi non proprio fatto ma solo accennato, il governo? Cosa mai avrà tentato da unire nella lotta più o meno tutto il Parlamento, dalla Meloni alla Bindi? Passando per Guido Crosetto del Pdl “Così si uccidono moralmente e fisicamente gli eletti”. Passando per Benedetto Della Vedova di Fli: “Ormai qui c’è un clima da Rivoluzione Francese”, fino a Eugenio Mazzarella del Pd: “Privilegi? Siamo pagati da dirigenti di secondo livello” Passando per Piergiorgio Stiffoni della Lega: “Se vogliono una classe politica di sciattoni, ci dovrebbe essere decoro per chi lavora in Parlamento”. Passando per Francesco Giro, Pdl:”Vogliono tagliarci anche la testa”. Passando per la sofferenza indignata di quasi tutti gli eletti e arrivando con Osvaldo Napoli del Pdl a una sintesi più o meno da tutti sottoscritta: “Dal 2006 al 2011 ci hanno tolto 5,250 euro mensili”. Ecco quel che ha fatto il governo: ha detto ai parlamentari che se loro non decidono su come tagliare le loro buste paga, allora decide il governo, per decreto. Eccolo la “norma incostituzionale” secondo Lucio Malan del Pdl, lo “scivolone” di cui si rammarica e duole la Bindi perché attenta alla “qualità della democrazia”. Eccola la Rivoluzione Francese, la ghigliottina, il patibolo cui si vogliono avviare ingiustamente i parlamentari.

Parlamentari che sei mesi fa avevano affidato ovviamente a una commissione il compito, niente meno, di verificare se i parlamentari italiani guadagnassero a fine mese più o meno della media dei parlamentari degli altri paesi europei. Operazione che un ingenuo pensa si possa fare con due fogli di carta, una matita e, al massimo una calcolatrice. Invece no, la commissione non ce l’ha fatta ancora a calcolare e non ce la farà entro il 31 dicembre. Occorre studiare ancora, occorre tempo. Perché i parlamentari italiani guadagnano sì, ma anche no.  Loro calcolano così: 5.246 euro netti di “indennità” per 12 mensilità. Più 3.503 euro di “diaria” sempre per 12 mensilità. Più 3.690 euro al mese di “rimborso spese” per “rapporto tra eletti e elettori”, cioè per i loro collaboratori volgarmente chiamati “portaborse”. Più 3.323 euro ogni tre mesi, diciamo mille al mese per spese trasporto e viaggio. Più 3.098 euro l’anno per spese telefoniche, diciamo 250 al mese. Cinquemila e dispari più 3.500, più 3.690, più mille, più 250 fanno circa 14mila euro netti al mese. Questo dice la matematica. Ma nei conti dei parlamentari la matematica diventa “opinione”. La “diaria” perde 206 euro al giorno per ogni giorno di assenza del deputato. Quindi il deputato non ci può contare. I circa 3.700 euro per i collaboratori, dicono, transitano per le nostre tasche ma lì non si fermano. E il resto sono spicci. Quindi i parlamentari dicono, contano di guadagnare in realtà quei miseri cinquemila al mese sicuri. E da qualche giorno hanno cominciato a dire di più, dicono che con questo stipendio “non ce la fanno”.

Se provi a spiegar loro che il costo per il contribuente sempre di 14mila euro al mese, netti, rimane. Se provi a spiegare che se poi loro danno soldi ai collaboratori o al partito questo non abbassa il costo, se provi a  ricordare che la politica è anche altrimenti robustamente finanziata con denaro pubblico: le centinaia di milioni dei rimborsi elettorali, le decine di milioni ai giornali politici e di partito, ti guardano come uno che li vuole affamare. Sono come un commerciante che ti vuol spiegare che se tu gli dai cento euro in cambio di una camicia in realtà gliene hai dati trenta perché gli altri settanta a lui servono per pagare i dipendenti, le spese, la bolletta della luce.

Quindi si sentono e si dicono molto offesi se si osa dire che nelle loro tasche vanno 14mila euro netti al mese. E si ribellano, ovviamente per “l’onore del Parlamento” e non sia mai qualcuno dica che si agitano per “l’onore…dei soldi”. Ribellione e lamento che in questi giorni vede un salto di qualità: si dicono vittime. Dicono di guadagnare meno di un avvocato o un dentista. Dimenticano di dire che, purtroppo, nessuna legge impedisce al parlamentare di continuare a fare l’avvocato e il dentista. E infatti lo fanno eccome il doppio lavoro. Non tutti la lo fanno e spesso non si capisce quale sia il secondo di lavoro, se quello da parlamentare o quello da professionista. Dicono che cinquemila e passa netti al mese, arrotondabili al massimo a  sette/ottomila con un  po’ di “diaria” non ce la fanno. E con quel che resta dei 14mila ci devono pagare l’attività politica, partito di appartenenza e campagna elettorale compresa. Dimenticano di dire che partiti e campagne elettorali sono finanziati con altro e cospicuo denaro pubblico. E che, comunque, tutto quello che va a comporre i 14mila netti al mese non è denaro “loro” ma sempre denaro pubblico è. Dicono che se fossero pagati come in media sono pagati i parlamentari degli altri paesi europei, allora dovremmo aumentare loro lo stipendio. Dicono che nessuno si può permettere di mettere le mani nelle loro tasche, neanche quello sgarbato e prepotente di Monti che chissà chi si crede di essere.

Dicono sui giornali e vanno a dire in televisione che se dici che nelle loro tasche vengono versati 14mila euro netti al mese e se aggiungi che sono troppi e che di questo devono farsi una ragione, allora sei uno sgarbato nemico della democrazia e un ghigliottinatore di eletti dal popolo. Dicono che con gli stipendi che hanno e con la pensione che avranno, ridotta rispetto a quella di prima, ma sempre seconda pensione e comunque, orrore, calcolata dal prossimo primo gennaio come quella di tutti gli altri italiani, quasi quasi non ce la fanno. La Bindi arriva a dire: “molti, una volta finito il mandato si troveranno in una condizione non molto diversa da quella dei lavoratori oggi messi in mobilità che non possono arrivare alla pensione…una volta tornati a casa dovranno vivere con lo stipendio della moglie”. Li ascolti, li leggi e urge una voglia matta di prenderli in parola: se non ce la fate, se ci rimettete, l’Italia è piena di persone pronte a sostituirvi con competenza di sicuro almeno doppia e una retribuzione pari alla metà di quella che percepite.

C’è tutta un’Italia che con ogni argomento non vuole, recalcitra e scalcia a che siano messe “le mani nelle sue tasche”. Facciamo tutti parte di un qualcosa che sta andando a male, che considera le tasse non un dovere civile o un sacrificio necessario, ma una “punizione” inferta. C’è quello che scrive ai giornali: “Una tassa sulla barca? Ho solo la colpa di amare il mare…”. Altri amano il mattone o il gioiello o il quadro o il conto in banca. Tutti a dire: che “colpa” avrò mai? Tutti parte di qualcosa che sta andando a male. Tutto il “pesce” emana cattivo odore ma, si sa, il pesce comincia a puzzare dalla testa. E la “testa”, ammesso che sia ancora tale, ammesso e non concesso che ragioni ancora, ci dice con il suo comportamento che forse l’Italia si salverà dalla bancarotta, dal fallimento. Ma che c’è un’Italia che non se lo merita di salvarsi.