Pensioni, donne alla stessa età degli uomini. E perché no? Anzi sì, proprio sì

di Lucio Fero
Pubblicato il 7 Settembre 2017 - 11:27 OLTRE 6 MESI FA
Pensioni, donne alla stessa età degli uomini. E perché no? Anzi sì, proprio sì

Pensioni, donne alla stessa età degli uomini. E perché no? Anzi sì, proprio sì (foto Ansa)

ROMA – Pensioni, donne alla stessa età degli uomini. E perché no? Anzi sì, proprio sì.

Dal 2.018 le donne in Italia per accedere alla pensione dovranno avere la stessa età anagrafica prevista per gli uomini quale requisito per pensionarsi appunto (fermi restando gli altri requisiti relativi ad anni di contribuzione o altro ancora a seconda delle non poche sfumature ed eccezioni alla legge in vigore).

Già la notizia viene data come annuncio di iattura, già con il consenso quasi generale ci si attiva (sindacati, governo, Parlamento, parti di maggioranza e opposizione) perché non accada davvero. Già qualsiasi donna cui lo comunichi o domandi, anche in famiglia e al lavoro, ti dice che è un’ingiustizia, somma ingiustizia. Già qualsiasi maschio che ascolta tace e acconsente: un’ingiustizia.

E perché mai sarebbe un’ingiustizia la stessa età per uomini e donne per andare in pensione? Già porre la domanda è molto, molto politicamente scorretto. Mandare a vaffa, dare dell’infame, auspicare stupro, definire parassiti da sterminare e varie del tipo non sono ormai da tempo politicamente scorretto, sono invece la normalità del dibattito politico-sociale di Palazzo e di social. Ma dire che uomini e donne in pensione alla stessa età non è ingiustizia ma è invece giusto, questo sì che è politicamente scorretto. Infatti non lo dice nessuno, nessuno azzarda.

Qui però lo diciamo, con il beneficio del dubbio ma lo diciamo: donne e uomini stessa età per la pensione, perché mai no? Anzi sì, proprio sì.

Ci sono molti e molteplici argomenti in campo a favore del no alla stessa età pensionabile per uomini e donne. Le carriere lavorative (e quindi contributive) più discontinue delle donne. I salari e gli stipendi in media più bassi. Il doppio se non triplo lavoro sociale che ricade più sulle donne che sugli uomini: l’allevamento della prole, l’accudimento degli anziani.

Tutto vero, ma se le donne interrompono più spesso il lavoro o lo abbandonano anche non volendo (maternità), se vengono pagate meno (vero ma sempre meno vero), se si sobbarcano un welfare che non c’è, sbagliatissima è la risposta (perequativa) di mandarle in pensione prima.

E’ una risposta sbagliata ed è un errore in cui la politica e la società italiana perseverano. Se aziende hanno scarsa produttività, operai scarso salario, società pochi asili nido e poca assistenza pubblica agli anziani, solo e sempre si manda la gente in pensione. Infatti prima della legge Fornero la media dell’età in cui andavano in pensione gli italiani era 58 anni, 58! E dopo la legge Fornero che fissa l’età pensionabile a 66 e sette mesi oggi, l’anno scorso la media dell’età di chi è andato in pensione era 60,8 anni, 60,8!

Queste cifre non piacciono agli italiani perché raccontano la verità di un paese dove solo l’Inps paga a fine mese 23 milioni di assegni pensionistici (cui vanno aggiunti quelli delle pensioni private). Non piace la verità di 24 milioni e forse passa di pensioni pagate ogni mese su 60 milioni di abitanti scarsi, non piace perché contraddice come ce la raccontiamo e cioè che in pensione non si riesca ad andare mai.

Comunque se le donne in pensione vanno peggio è anche perché la spesa pubblica è tutta sulle pensioni, a mandar in pensione più gente possibile e prima possibile, e molto poca sul resto del welfare. Resto del welfare che si chiama preparazione professionale, scuola adeguata a impartire competenze e non licenze, asili nido, assistenza anziani.

E le retribuzioni più basse e le carriere più discontinue e il doppio e triplo lavoro sociale delle donne non sono, non dovrebbero essere risarciti con una previdenza più generosa per le donne, con una pensione prima del tempo. Ma con politiche salariali, interventi sul mercato del lavoro e sulla legislazione familiare, con una ristrutturazione della spesa comunale e regionale per scuola dell’infanzia e sanità. Tutte cose difficili e di scarso immediato consenso. Tutte cose che, anche se servono e risolvono davvero, vanno spiegato e imposte. E forse costano opposizioni e consenso. Meglio, più facile e tranquillo mandare in pensione prima. Qualcuno pagherà.

Quindi non è giusto, non è utile e non è neanche “progressista” che le donne abbiano un’età pensionabile più bassa di quella degli uomini. Pensionare prima le donne è solo una risposta storta, pigra e in fondo assistenziale a quella che viene percepita come una foltissima lobby di genere. Che come lobby tende a comportarsi in materia: chiede ed esige sconti di genere per andare in pensione e del rifare i connotati al welfare italiano si disinteressa quando non ne diffida.