Referendum, lettera di una prof: voto Sì se mi danno l’aumento

di Lucio Fero
Pubblicato il 21 Novembre 2016 - 10:37 OLTRE 6 MESI FA
Referendum, lettera di una prof: voto Sì se mi danno l'aumento

Referendum, lettera di una prof: voto Sì se mi danno l’aumento

ROMA – Referendum, su La Stampa di domenica 20 novembre una lettera, una lettera di una prof. “Mi piacerebbe sapere come mai l’attuale presidente del Consiglio e il suo governo si aspettano che gli insegnanti  esprimano fiducia in occasione del voto sulla riforma costituzionale…”. Insomma la prof si chiede perché mai dovrebbe votare Sì al referendum.

“Consideriamo alcuni dati oggettivi: 1) Lo Stato è fuori regola con noi, non rinnovando un contratto fermo da quasi dieci anni…”. Così prosegue e ragiona la lettera della prof. Stabilisce quindi che vi è una “regola”, regola niente meno da cui lo Stato è colpevolmente “fuori”. La regola è il contratto da rinnovare, ovviamente con aumento salariale, ogni due anni, come era prima.

La prof (al secolo Chiara Pasqualini) ritiene e proclama questa “regola” come una legge al cui rispetto lo Stato si sottrae. Non vi è ovviamente obbligo di legge al rinnovo contrattuale e non sta scritto in nessuna Costituzione o legge umana o divina che ogni due anni arriva l’aumento. E’ andata così, per fortuna, per qualche decennio. Ma non è né la regola né la legge. Però la prof l’aumento contrattuale lo considera un diritto naturale e come lei centinaia di migliaia, milioni di lavoratori (soprattutto pubblici). Quindi considera lo Stato inadempiente. (Poco importa sia inesatto il contratto scuola non rinnovato da dieci anni). Ma il nocciolo del pensiero della prof arriva dopo.

Scrive “le nostre retribuzioni a livelli che rasentano la vergogna” (vero) mentre per altre finalità si trovano inspiegabili risorse (impreciso, declamatorio, generico, sostanzialmente falso). Attacca la “premialità docenti”, insomma vuole gli aumenti di stipendio a pioggia e uguali per tutti e non legati appunto al concetto di premio per mansioni, funzioni, merito.

Conclude: “Tengo fede alla mia parte di patto benché dall’altra parte, quella di chi mi ha assunto, ci siano inadempienze illegali…senza impegni precisi da questa parte non è possibile aspettarsi in alcun ambito un’apertura di credito e fiducia da parte dei professionisti della scuola che pur lavorano generosamente”.

Senza impegni precisi, ragiona e agisce la prof, i prof non devono votare Sì. Gli impegni precisi, ha argomentato e spiegato la prof, sono quelli del rinnovo contrattuale, degli aumenti e delle modalità degli aumenti. Se non arrivano gli impegni (soldi) il voto dei prof tutti deve essere al referendum No.

Sembra ovvio e coerente, un ragionare e agire così è stato abbondantemente sdoganato. Ma è invece un pensare e agire storto e tutt’altro che civile. Anzi è nel suo piccolo un manifesto la lettera della prof di una conclamata a-civiltà. La prof che lega il suo voto al referendum al contratto scuola molla senza rimpianto anzi con orgoglio la sua condizione di cittadino che esprime parere politico sulla Costituzione e la sua riforma e compiace e si rotola nella sua condizione sindacal corporativa di docente. Costituzione? Governo? Riforma? Per la prof sono fumo inconsistente. Lei vuole lo Stato mantenga il patto e sganci i soldi. Allora potrebbe votare Sì, altrimenti vota No.

E’ assolutamente legittimo e libero pensar e agire così. Ciò non toglie che questa sia una diffusa, accettata e approvata forma di voto di scambio. La riforma della Costituzione e i diritti del cittadino elettore referendario non c’entrano nulla con il contratto scuola. Eppure la prof (e il fatto che sia una prof è la prova che il pensiero a-civile è ormai colonna portante della vita pubblica) condiziona l’uno all’altro, ne fa la stessa cosa. E non se ne vergogna, anzi è orgogliosa di poter dire allo Stato: non mi paghi, non ti voto. Se ne deduce fosse ben pagata voterebbe qualsiasi cosa o riforma. Una Costituzione vale l’altra mentre invece un contratto porta più soldi di quello di prima. E la nostra prof è donna di mondo.

Ed è tutt’altro che sola a ragionar così, nella categoria dei docenti e in generale nel paese. Milioni si apprestano a votare sulla base dello “a me che me ne viene”. E non per questo la loro scelta ha minor valore. A condizione però che nessuno svilisca nessuno. La M5S Carla Ruocco ha commentato con uno sprezzante “chissà che contratto gli hanno fatto in Rai…” il Sì annunciato di Michele Santoro. Cioè, il Sì di Santoro è stato comprato.

Ecco è questo l’insopportabile della campagna per il No soprattutto di M5S e Lega, di Grillo e Salvini (ma anche D’Alema, Bersani, Speranza): se voti Sì sei un venduto e servo del potere. Bisogna quasi stare attenti a dire che voti Sì: non è di moda, non è cool, che fai voti per il governo? Ecco la lettera della prof mostra che molti No arrivano e arriveranno non proprio per nobile cura della Costituzione e della democrazia. E il commento della Ruocco mostra che M5S, se e quando sarà governo, si regolerà a base di contratti che comprano…voti.