Tre e sei, 29 e 33, 19 e 18: dolente sestina dell’Italia in quarantena

di Lucio Fero
Pubblicato il 31 Ottobre 2011 - 13:01 OLTRE 6 MESI FA

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ROMA – Tre, anzi 3,4 per cento: come l’inflazione, l’aumento del costo della vita che ha doppiato l’aumento medio delle retribuzioni in Italia. Salari e stipendi cresciuti in media dello 1,7 per cento (in media perché nelle aziende private ancora di meno) e inflazione al doppio esatto: 3,4 per cento. Doppiaggio che non accadeva sulla pista del bilancio delle famiglie da quasi 15 anni.

Sei, anzi sei per cento e spicci: come l’interesse che chiede chi compra Btp italiani a dieci anni. Il sorpasso di quota sei per cento è avvenuto dopo la lettera dell’Italia all’Europa e dopo il vertice europeo che aveva comunicato ai mercati la costruzione in corso di un muro salva debito, il Fondo salva-Stati. Un muro in teoria alto tra i mille e millecinquecento miliardi ma in realtà dotato di soli 300 miliardi veri. Un’assicurazione sulle perdite potenziali di chi compra debito soprattutto italiano e spagnolo, perdite calcolate al 20 per cento. Di qui i 300 miliardi che sono appunto il 20 per cento di 1.500. I mercati non ci hanno creduto e l’Europa ne ha preso atto: sta chiedendo alle economie e ai paesi del G20 che si riunisce il 3 di novembre soldi non europei per l’Europa. Qualcuno che presti all’Europa miliardi al 3/4 per cento di interesse perché l’Europa, cioè il Fondo, li possa prestare all’Italia e alla Spagna a quella cifra. Se l’Italia va da sola a chiedere soldi al mercato, quei soldi li paga al sei per cento e passa. Un ritmo insostenibile con 1.900 miliardi di debito pubblico finora pagato al tasso medio del 3/4 per cento. Quei due punti in più di tasso di interesse da pagare alla lunga significano 20 miliardi l’anno in più da pagare. Un ritmo con cui si “sballa”.

Ventinove, anzi 29,3: come la percentuale di giovani italiani che non trova lavoro pur cercandolo. Cui vanno aggiunti purtroppo i circa due milioni di giovani italiani che un lavoro non ce l’hanno, non lo cercano e neanche studiano ancora.

Diciannove, come le Maserati in dotazione al Ministero della Difesa. Il ministro La Russa ha spiegato che le Maserati erano state acquistate “prima” delle restrizioni per le auto blu. C’era dunque un “prima” in cui si faceva, quel “prima” era il 2008, quando tutto il mondo sapeva e viveva la crisi. Tutti tranne la nostra Pubblica Amministrazione.

Trentatre, come le nuove assunzioni programmate a Palazzo Chigi. Il ministro Renato Brunetta ha spiegato che entro il 2013 i dipendenti di Palazzo Chigi caleranno a circa 4.300. Il quadruplo dei dipendenti di analogo organismo in  Gran Bretagna.

Diciotto, come i mesi che il governo in carica giura di poter e voler ancora durare. E che in effetti durerà se gli altri numeri di questa sestina non lo travolgono. I numeri, al sestina della quarantena italiana. Quarantena perché nel 2012 l’Italia va in quarantena, ce la mette l’Europa, ne ha preso atto. Quarantena, non castigo, punizione o ospedale. Quarantena perché non “contagi” l’euro. Quarantena perché nessuno crede, neanche il governo che l’ha firmato, possibile realizzare l’impegno di abbassare il debito pubblico al ritmo di 30 miliardi l’anno fino al 2014. Quarantena perché, anche se volesse e non vuole, la destra di governo non può, con questo Parlamento, pagare il prezzo dell’impopolarità del cambiare i connotati all’economia e alla società italiana. Quarantena perché, se finisce ad elezioni, come già “sospetta” Mario Monti, sarà campagna elettorale contro le inique pretese dell’Europa. Quarantena perché l’alleanza Bersani, Vendola, Di Pietro, dovesse diventare governo, non promette di metter mano alla spesa pubblica se non rincorrendola con nuove tasse. Quarantena dunque per il paese e quaresima per chi nel paese sta peggio: i giovani, il salario e ora il risparmio.