Terremoto: perché sei gradi da noi son dodici

di Lucio Fero
Pubblicato il 24 Agosto 2016 - 10:57 OLTRE 6 MESI FA
Terremoto: perché sei gradi da noi son dodici

Terremoto: perché sei gradi da noi son dodici

ROMA – Terremoto nel centro Italia, terremoto che ha fatto morti (c’è da temere che alla fine saranno molte decine) e terremoto che ha devastato le case, gli edifici, le costruzioni umane in molti paesi e borghi. Terremoto che è stato sentito anche lontano dalle zone più colpite, terremoto forte perché le scosse sono state relativamente in superficie. Terremoto di sei gradi di magnitudo.

Ma sei gradi di magnitudo in altre zone del mondo, terremoti di sei gradi di magnitudo, ad esempio in Giappone o California, non causano decine di morti e centinaia, se non migliaia, di crolli. Sei gradi son tanti ma da noi, in Italia, sei gradi della natura la secolare azione umana li fa diventare…dodici.

Dodici gradi è un’iperbole, non esistono. Ma certo l’effetto devastante o meno, omicida o meno dei sei gradi di un terremoto viene dimezzato o attutito o addirittura annullato oppure esaltato, raddoppiato, favorito. Dipende da come e cosa hai costruito. Mai, quasi mai è il terremoto che uccide. E’ il crollo che ammazza.

E da noi, in Italia gli splendidi paesi e borghi di cui la penisola abbonda sono spesso, quasi sempre, urbanisticamente uno scrigno stipato. Centri storici fatti di vie stretti, edifici addossati l’uno all’altro, piazze piccole e ancor più piccole strade di scorrimento, là dove ci sono. Paesi e borghi bellissimi ma urbanisticamente vulnerabili. Quando arriva un terremoto la conformazione dei borghi lo aiuta il terremoto a far danno.

A questa caratteristica, secolare specificità urbanistica dell’Italia nell’ultimo secolo si è aggiunta una pessima edilizia. Non solo la scarsissima percentuale di edifici costruiti in maniera anti sismica. Non solo quello…edilizia approssimativa nei materiali e nell’ubicazione ovunque. Case su case e case non solide hanno via via accerchiato quei centri storici angusti. Arriva il terremoto e la sua forza viene aumentata da ciò che hanno fatto gli uomini là dove arriva.

Ovviamente non si possono ridisegnare i borghi e i paesi o addirittura spostarli. Non si può se non in casi più che estremi e i tentativi fatti al riguardo si sono tradotti spesso in scempio e truffa (L’Aquila il più recente ma la Sicilia e l’Irpinia sono e restano nerissime storie nazionali. Inutile e isterico cercare “colpe” per la dimensione dei borghi e la loro urbanistica (ce la prendiamo con la Casta medioevale o con il governo del Papa..?).

Si potrebbe eccome imporre e vigilare che ciò che l’uomo costruisce oggi sia rigorosamente anti sismico. Si può ma si fa poco o niente perché la legge c’è ma amministratori locali, politici, imprenditori e anche di solito la maggior parte dei cittadini del luogo da questo orecchio non ci sentono.

E quindi da noi, per “colpa” della geografia, della storia e delle scelte umane i sei gradi crescono, diventano ad ogni terremoto di più, diventano troppi. Come a L’Aquila dove la scossa fu tale che poteva non morire nessuno perché analoghe scosse altrove non uccidono nessuno.

Questa è la realtà nuda e cruda, di cui prendere atto con rammarico e appunto con realismo. Evitando, se possibile (ma non pare possibile) troppi sindaci troppo piangenti in televisione, titoli affrettati e bugiardi sui soccorsi in ritardo (stavolta sono arrivati presto e si muovono con efficienza, chi parla di “lasciati soli” non sa cosa dice, si rilegga dell’Irpinia) e altre litanie della comunicazione dolente.

Prendere atto che l’Italia è paese sismico edificato ed urbanizzato in maniera intensiva e fragile. Per questo sei gradi son troppi. Perché intensivo e fragile è anche, diciamo così, lo spirito pubblico. Da noi i sei gradi della scala tellurica di solito producono poi anche appalti truffaldini, ricostruzioni di cui ingrassano gli approfittatori, risate notturne per l’affare che arriva. E perfino gente e tribunali che processano condannano… per non aver previsto il terremoto. Sì, da noi i sei gradi son quasi…dodici.