Trump, il nuovo mondo. Somiglia tanto a uno di quelli di prima

di Lucio Fero
Pubblicato il 20 Gennaio 2017 - 15:55 OLTRE 6 MESI FA
Trump, il nuovo mondo. Somiglia tanto a uno di quelli di prima

Trump, il nuovo mondo. Somiglia tanto a uno di quelli di prima

ROMA – Trump finalmente presidente in carica degli Stati Uniti. Trump che cambia tutto dopo aver cambiato tutto. Trump che è un leader come gli Usa non hanno mai visto. Non è Reagan, tanto meno Roosevelt, né Kennedy, né Bush e neanche Lincon, Washington, Truman, Wilson…Dovunque vai a pescare nei due secoli e mezzo di storia americana un Trump non c’era e non c’è. Tutti gli altri presidenti, diversissimi nelle circostanze storiche, caratteri individuali e scelte politiche, stavano nei limiti e confini delle istituzioni e Costituzione (anche materiale e non solo formale) del paese. Magari costruendoli loro stessi quei limiti e argini. Ma standoci dentro. Trump è il primo presidente che dello star fuori ha fatto programma, costume, messaggio, politica. E che adesso ne farà governo.

Trump non si normalizzerà come amano credere soprattutto in Europa. Strana narrazione e percezione quella europea e quella dell’establishment euro-americano secondo al quale Trump al dunque del governare non farà praticamente nulla di quello che ha detto e annunciato per diventare presidente. Non è bastata la sua inimmaginabile vittoria elettorale a far prendere atto dell’ormai ovvio: Trump non si normalizzerà perché non è fenomeno politico e uomo leader normale, almeno secondo gli standard di quello che i sistemi politico sociali liberal democratici intendono come normalità.

Al contrario, Trump presidente farà, metterà in atto buona parte di quel che ha detto. E sarà dunque un mondo nuovo, un nuovo mondo dove il presidente degli Usa farà o proverà a fare quel che i presidenti degli Usa non facevano.

Trump presidente dirà, ha già detto e proverà sul serio insieme con buona parte degli americani a fregarsene del resto del mondo. La Nato appare al nuovo presidente un fastidio, un pagare in soldi e uomini affari degli europei. La Russia appare al nuovo presidente un’opportunità, un’entità con la quale intendersi (e allearsi) sulla base tu ti fai i fatti (e paesi) tuoi, io i fatti miei. La Cina invece l’avversario, il vero avversario perché la Cina commercia più che spara.

Fregarsene del resto del mondo là dove occuparsene costa qualcosa agli americani e fronteggiare il resto del mondo dove, come e quando il resto del mondo entri in competizione con l’America. Una politica estera da padrone che cura (anche con grosso bastone) il proprio grande latifondo e che del resto se ne frega, una politica estera da Grande Ranch Usa con la visione ampia e l’orizzonte dell’allevatore di bestiame che arriva fino al fiume e montagna che fanno da confine.

Fregarsene e isolarsi, anche barricarsi rispetto al resto del mondo. E dentro il Grande Ranch Usa mettere a posto chi viene da fuori, metterlo al suo posto. E affidarsi a cow-boys di mestiere e di tradizioni affidabili, affidabilmente americane, sia si tratti di esercito, intelligence, banche, industria, clima…

E’ un nuovo mondo, decisamente nuovo. Che somiglia tanto a uno dei mondi di prima. L’isolazionismo americano che è sempre stata una grande  e profonda corrente di opinione e di leadership e che da sempre negli Usa incontra, incrocia e sposa la destra anti Washington, governo federale, anti Stato centrale. E il protezionismo commerciale che invece in Usa vanta molti vasti episodi ma non è mai stata cultura perché gli americani col protezionismo economico fino a ieri nei secoli ci rimettevano. Ora invece sognano, sperano, giurano che col protezionismo ci guadagneranno come finora guadagnavano coi liberi scambi.

E insieme al protezionismo commerciale ed economico aggiunto in nuova miscela un protezionismo etnico, una diffidenza e differenza istituzionale tra etnie. Non è razzismo nella piena e vera accezione, ma fonda e poggia sulla lunga identità razzista di buona parte degli Usa.

Isolazionismo, protezionismo, diffidenza etnica, mondo diviso con quelli “di dentro” che meritano e quelli “di fuori” che insidiano e Usa che non garantiscono e proteggono più nulla che non sia se stessi. Un nuovo mondo i cui elementi strutturali sono tutti, proprio tutti, nei mondi di prima, dei decenni e secoli prima. In assonanza Trump con la grande virata e la grande voglia che percorre tutto l’Occidente: tornare a prima. A prima della globalizzazione, a prima delle economie interconnesse, delle culture ed etnie che si mescolano, a prima…ma sì, del progresso e della democrazia che sono pericolo e ingombro.

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