La riforma della legge di contabilità: prime considerazioni in itinere

di Marcello Degni
Pubblicato il 4 Dicembre 2009 - 22:23| Aggiornato il 26 Febbraio 2020 OLTRE 6 MESI FA

parlamento
La legge di contabilità, la mitica legge 468 del 1978, potrebbe essere presto sostituita da un nuovo provvedimento, che rimpiazzerà integralmente il testo introdotto oltre 30 anni fa. I segni del tempo cominciavano del resto a vedersi anche se le novelle introdotte con scadenze quasi decennali, avevano inciso profondamente le norme originarie, introducendo rilevanti innovazioni.

Il nuovo testo si propone di innovare in profondità schemi e procedure consolidatesi nell’ultimo trentennio. Cambia anche il lessico dei documenti finanziari. Il DPEF (Documento di programmazione economico-finanziaria), diventa Decisione di Finanza Pubblica (DFP). La Legge Finanziaria (LF) muta in legge di Stabilità (LS).

Al posto delle Unità Previsionali di Base unità di voto del Parlamento diventa il Programma di Spesa, che si prefigura più ampio, al punto da essere articolato in Azioni. Cambiano le date di presentazione dei documenti finanziari, anche quelle maggiormente consolidate, come il DFP (ex-DPEF), che dal 30 giugno viene spostato al 15 settembre, e il disegno di legge di stabilità (ex-ddlF), che dal 30 settembre passa, insieme alla legge di bilancio (LB), al 15 ottobre.

La notte del 30 settembre cessa, dopo tantissimi anni, di essere il teatro della seduta fiume del Consiglio dei Ministri, in cui vengono approvati i testi da presentare all’esame delle Camere. Il Senato ha approvato un testo a larga maggioranza (A.S. 1397), con il voto favorevole dell’opposizione.

Evento inconsueto in questo periodo di contrapposizione, in cui lo scontro prevale sul confronto. E positivo, in quanto la materia trattata, relativa alle regole della decisione, richiede condivisione e dovrebbe sempre scaturire da una maggioranza larga.

Meno positiva è stata la assenza di contatti tra senatori e deputati della opposizione, che ha messo i secondi nell’imbarazzo di proporre significative modifiche ad un provvedimento accettato dai colleghi della camera alta (per la maggioranza il ruolo unificante è stato svolto dal governo).

L’analisi degli emendamenti presentati al Senato mostra una sostanziale condivisione dell’impianto del testo approvato, mentre le proposte modificative della Camera evidenziano due modelli significativamente diversi. Il testo risultante dalla prima lettura, che tornerà ora all’esame del Senato, pur mantenendo molti aspetti dell’originario impianto, ne modifica alcuni tratti, rendendo problematica la seconda lettura.

La legge 468 è stata approvata in una fase della storia parlamentare caratterizzata da una forte collaborazione tra le principali forze politiche. È uno dei buoni prodotti dell’unità nazionale e anche le modificazioni apportate negli anni successivi (in particolare quelle del 1988 e del 1997) sono avvenute con il concorso ed il consenso della grande maggioranza del Parlamento.

La rottura si è avuta nel 2002, con il decreto taglia-spese, che ha forzato la cornice costituzionale nel tentativo, rivelatosi nel tempo molto ideologico e poco produttivo, di spingere nella sfera governativa la decisione di bilancio, per arginare un Parlamento ritenuto logorroico e spendaccione.

Non è un caso se, negli anni seguenti, non è stata prodotta alcuna riforma, nonostante i tentativi siano stati numerosi. Il ministro Padoa Schioppa ha sviluppato, senza introdurre ulteriori norme, la razionalizzazione del bilancio per missioni e programmi (la cosiddetta spending review), anche se l’esperimento, che riprende la riorganizzazione della struttura del documento avviata nel 1997 con la legge 94, ha sofferto dell’interruzione improvvisa della legislatura.

Poi il diritto del bilancio è stato travolto dal regime transitorio introdotto con il decreto-legge 112 del 2008, dai numerosi decreti-legge che hanno supportato molteplici manovre, dalle innumerevoli richieste di fiducia poste dal Governo su questi provvedimenti e sulla legge finanziaria.

Siamo quindi tornati, come nel gioco dell’oca, al punto di partenza delle procedure di bilancio, di quel sistema di regole che, con un certo grado di illuminismo, era stato definito auto risolto. E appare singolare che, in un quadro così compromesso, in cui la contrapposizione tende a prevalere sulla collaborazione, si proponga una riforma organica.

Ma è anche vero che a volte, nelle situazioni più critiche, si aprono spiragli imprevisti. Gli aspetti principali sui quali il testo approvato dal Senato in prima lettura presentava elementi di criticità sono: l’eccessiva concentrazione del potere di gestione, raccolta e organizzazione delle informazioni nella tecnostruttura del ministero dell’Economia (la RGS), che appare difficilmente compatibile con l’approccio federale affermato da ultimo nella legge 42 del 2009; il superamento della scansione temporale tra la definizione degli aspetti generali della manovra di finanza pubblica (DPEF) – prima dell’estate – e la specificazione delle misure (legge di bilancio e finanziaria) – negli ultimi mesi dell’anno – che annulla una positiva consuetudine introdotta con la riforma del 1988; la riproposizione della logica fallimentare del decreto taglia spese, con la istituzionalizzazione della clausola di salvaguardia che, a dispetto delle apparenze, rende evanescente il principio di copertura finanziaria delle leggi di spesa.

Le criticità restano sostanzialmente immutate anche dopo la lettura della Camera dei deputati, anche se il testo che si appresta alla seconda lettura contiene significative innovazioni (A.C. 2955).