Governo Berlusconi, un ministro con lode. Mariastella Gelmini contro quaranta anni di cattiva scuola

di Marco Benedetto
Pubblicato il 29 Luglio 2009 - 20:10| Aggiornato il 13 Ottobre 2010 OLTRE 6 MESI FA

C’è un ministro del Governo guidato da Silvio Berlusconi che sembra meritare il consenso anche di chi non l’ha votato: il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini. Si sta sforzando, in nome del buon senso, di rimettere in sesto una delle istituzioni italiane più disastrate, la scuola.

Quarant’anni di  rivoluzione permanente hanno lasciato il segno sulla scuola italiana. Esami di gruppo, voti politici, genitori figli della rivoluzione, insegnanti il cui livello lasciava già a desiderare in epoca pre ’68, la scarsa capacità di attrazione dei migliori talenti frutto di livelli retributivi umilianti: l’elenco è lungo, anche senza parlare degli esperimenti tentati da vari ministri.

Non si possono non riconoscere nobili intenzioni alla base della depressione retributiva degli insegnanti. Opposto al concetto, peraltro aborrito dai sindacati e dalla sinistra, in particolare quella radicale, di selezionare gli insegnanti, pagando quelli bravi in modo competitivo con mestieri quali il vigile urbano e lo spazzino, c’era la necessità di dare occupazione a tanta gente che aveva studiato sognando un futuro senza lavoro manuale e c’era l’utopia, senza confronto con il bilancio statale complessivo, di fornire attraverso la scuola un servizio che uno stato sociale dovrebbe in effetti fornire, quello di dare alle famiglie, dove sempre più lavorano in due, un servizio di doposcuola che tenga i ragazzi fuori dalle strade e lontano dalle tentazioni fino al rientro dei genitori.

Poiché però il mestiere della scuola è quello di preparare i giovani a essere classe dirigente e anche  intermedia di un paese che non è chiuso in se stesso come l’Albania di Henver Hoxa,  ma è inserito in un sistema continentale, per non dire, come è di moda, globale, la scuola italiana si è rivelata non adeguata al suo compito.

C’è uno strascico di ’68 e successivi in questo fallimento, basato sulla premessa, giusta peraltro, che il rigore nell’insegnamento e nelle selezioni penalizza i ragazzi dei ceti più deboli. Una delle più gravi colpe del ’68 è di avere sfasciato la scuola e l’università, con la violenza e la prepotenza che solo ragazzi viziati di buona famiglia sanno di potere usare impunemente. Poi sono scappati, lasciandosi dietro le macerie, per occupare posizioni di potere nel mondo dei padroni che volevano eliminare.

I problemi invece sono rimasti, solo aggravati. Non è abbassando i parametri per tutti che si aiutano i più deboli; si aiuta solo tutti a essere più ignoranti.

I figli dei ricchi poi recuperano, perché l’ambiente in cui crescono fornisce ricchi stimoli alternativi e poi aiuti per l’inserimento nella vita reale. I figli dei poveri sono comunque condannati ai modelli culturali abietti che la sinistra laureata aborrisce, mentre li aspetta una vita di lavoro dalla quale tutti avevano giurato di volerli fare evadere.

L’esperienza conferma il buon senso: i più deboli si aiutano mettendoli in condizione di competere con i figli dei ricchi con un sistema di borse di studio che permetta di attuare anche in Italia quel che è la forza degli Stati Uniti, dove è garantito l’accesso alla più elevata e selettiva educazione a chi altrimenti non potrebbe e di conseguenza è garantito alla sala di regia del paese l’afflusso dei talenti che il sistema classista finto populista e finto democratico all’inglese o all’italiana esclude. Il resto sono chiacchiere foriere di catastrofe, come appunto è accaduto alla scuola italiana.

La Gelmini sembra impegnata a rimettere la scuola in carreggiata, compito non facile perché una macchina immensa come l’istruzione pubblica italiana ha un’inerzia da transatlantico. A complicare le cose ci si mettono anche le spinte localistiche che sembrano germogliare di tanto in tanto nel Nord Est: ora è la Lega a sostenere il non senso del dialetto, un paio d’anni fa era la sinistra in Friuli.

Il dialetto è una cosa bellissima, che va anche tutelato come valore culturale opposto allo spianamento massificante della Tv. Ma oggi in Italia l’analisi logica e la consecutio temporum, non per le belle lettere ma per il rigore degli affari e dei contratti, sono già un optional. Il diversivo del dialetto appare più una provocazione in una partita che si gioca su altri tavoli.

A credito della Gelmini, il numero dei bocciati in aumento sembra dimostrare che siamo sulla buona strada, una garanzia, non per il sadico piacere di vedere dei giovani ripetere l’anno ma nella convinzione che, partendo da lì, sarà forse possibile lavorare a ritroso, se nei prossimi anni non ci saranno ancora cambiamenti in senso contrario.