Matteo Renzi: Berlusconi + Beppe Grillo plastificati Twitter o leader del futuro

di Marco Benedetto
Pubblicato il 16 Dicembre 2013 - 10:11 OLTRE 6 MESI FA
Matteo Renzi: Berlusconi + Beppe Grillo plastificati Twitter o leader del futuro

Matteo Renzi ad Amici con Maria De Filippi. Ci deve convincee che non è questo il suo modello

Riuscirà Matteo Renzi a guidare il Pd, vincere le elezioni e governare l’Italia, un giorno qui un giorno là una sera non si sa, una serie di slogan e di battute?

Soprattutto, quello che ci preme è se saprà governare l’Italia. Se saprà proporre alla maggioranza degli italiani, e poi anche realizzarlo, un modello economico che rompa lo steccato contro cui ci ha spinto la nostra storia e siamo pigiati senza riuscire a scavalcarlo.

Finora abbiamo visto una evoluzione del modello Berlusconi (gli slogan) Beppe Grillo (gli insulti) in una loro sintesi, fatta tutta di flash di tweet di sms in una polemica colpo su colpo, che riduce il dibattito politico a una crisi di singhiozzo.

Quel poco che abbiamo letto di politica non eccita, più che un pensiero organico abbiamo una serie di massime da bar, su cui è difficile non convenire, che sembrano destinate a ottenere consensi più che elaborare una politica, sanno di plastica. Per convincere gli esasperati di Beppe Grillo ci vuole ben altro e  anche per convincere i ceti medi di centro, dove, non lo dovete mai dimenticare, è il mercato dei voti se ne volete la maggioranza.

Matteo Renzi segretario del Pd fa il paio con i forconi: è l’indice della voglia quasi disperata di cambiamento che c’è in Italia, dopo quasi sei anni di crisi, cui la classe politica non ha saputo rispondere, ingessata nei suoi modelli ormai demodé da guerra fredda.

L’entusiasmo con cui l’urlo uscito dalle primarie del Pd è stato accolto n po’ dappertutto lo prova: pochi sanno come Matteo Renzi abbia amministrato Firenze, un po’ di slogan sono bastati ad accendere la speranza, letteralmente al buio.

La trasformazione del modello Berlusconi è servita: lui prometteva la villa al mare a tutti gli italiani, Matteo Renzi ha solo detto che tutti quelli che c’erano prima di lui dovevano togliersi di torno, senza sbilanciarsi a promettere granché di concreto. Non ci ha detto un’idea un programma.

Quel pochissimo che Matteo Renzi ha detto ha fatto drizzare i capelli. Bieca demagogia contro i pensionati e i giornali, per copiare Beppe Grillo, non per proporre una alternativa.  Il disprezzo per i giornali è sulla linea Berlusconi D’Alema: quel che conta è la tv, i giornali sono meglio in crisi e chiusi così non rompono. Quel poco che ha detto gli ha fatto perdere punti proprio nel mercato che deve conquistare.

Sarà capace Matteo Renzi? Le premesse non esaltano. Pensare di potere cambiare un pachiderma come il Pd con una riunione settimanale all’alba e probabilmente una serie di proconsoli più o meno fedeli e non si sa quanto capaci può portare al disastro.

Renzi può rappresentare una svolta importante in Italia e togliere a Berlusconi il principale argomento di vendita: mamma li comunisti, il principale claim delle sue campagne elettorali. Imu, patrimoniale eccetera sono tutte varianti del tema.

L’avvento di Renzi può finalmente spostare l’asse dello scontro politico dalla ideologia e dal pregiudizio a quello dell’interesse, da idee astratte di classe e morale a fatti concreti come le tasse.

Le tasse sono state nei secoli il tema centrale della politica in tutto il mondo, per troppe tasse e’ caduto l’impero romano, per troppe tasse sta morendo l’Italia.

Le tasse sono state volano di sviluppo ma i frutti di quello sviluppo hanno alimentato un mostro, l’apparato stato regioni province comuni che in parte a sua volta e’ parte di un sistema di welfare in un Paese a limitata capacita di crescita ma in larga parte costituisce semplicemente un gigantesco spreco.

Si tratta di un corpo gigantesco, metà dell’Italia che si nutre del sangue dell’altra metà, in cui destra e sinistra si confondono come il rosso e il nero la sera nei versi di Jacques Brel. Siamo andati oltre la redistribuzione (a debito) che ha migliorato molto la vita in Italia, ora lo Stato sociale si è trasformato in un mostruoso parassita che ci uccide. Non è più lo Stato sociale per i più deboli, è lo Stato sociale della Politica. Sono cambiati i destinatari, a pagare siamo sempre noi.

Noi siamo ridotti a sudditi, non siamo cittadini. Ci hanno lasciato un solo diritto, quello di rateizzare..

Si spartiscono il bottino secondo algoritmi evoluti nel tempo.

Saprà Matteo Renzi cambiare tutto questo? Lui viene da quel mondo li, vuole rottamare la vecchia auto non per andare a piedi o in autobus ma per comprarne una nuova.

Lui è figlio di quel sistema, ne è parte integrante, la sua cultura è la loro, quella del primato della politica, noi siamo noi e voi i sudditi, pagate e tacete.

Roma costituisce un esempio di questo modo di pensare, con il Pd che fa la guerra alla assessore al bilancio del Comune che è stata scelta da loro ma vuole fare le cose bene e loro reclamano il primato della politica; con la Regione Lazio che sembra avere risparmiato qualche euro, ma invece di infliggere ai cittadini sudditi un aumento della addizionale IRPEF più basso anche solo di qualche centesimo di percentuale preferiscono redistribuire il risparmiato fra i 359 comuni del Lazio per, tra le altre, attività culturali che saranno, in assenza di qualche ruberia, inutili mostre o sagre o altre diavolerie per soddisfare qualche insana idea di un assessore o della moglie.

Matteo Renzi ci ha esilarati di slogan identificando età con capacità e anche con qualità.

L’equazione non l’ha inventata Renzi, è intrinseca alla giovane età, è una legge della natura, anche Massimo D’Alema ha avuto 30 anni e ha ragionato così e ha agito di conseguenza.

Un vero capo sa fare “largo ai giovani” ma un capo che butta via l’esperienza dei più anziani in nome di un giovanilismo esasperato e assoluto e’solo un pazzo irresponsabile. La scelta dello staff, almeno per la parte femminile, sembra perfezionare il modello Berlusconi. Cosa c’è di diverso tra una Madia o una Boschi da una parte e una Carfagna o una Gelmini dall’altra? L’esclusione da tutto di Rosi (Rosy) Bindi sembra più l’esecuzione di un dictat estetico di Berlusconi che una scelta politica.

L’età non costituisce garanzia. Mussolini aveva gli anni di Renzi quando fece la marcia su Roma. Ed era anche molto più capace di lui.

Matteo Renzi avrebbe vinto le elezioni 2013 se il vecchio apparato di quello che oggi si chiama Partito Democratico non lo avesse sabotato.

Lo avrebbero votato schiere di elettori moderati delusi da vent’anni di espedienti di Berlusconi e dal suo andare troppo oltre persino rispetto alla media immoralità italiana.

Quegli stessi elettori moderati cercavano una alternativa ma non si fidavano degli ex comunisti. Avevano forse torto ma così era ed è. Baffino non e’ Baffone, nel male ma purtroppo anche nel bene, ma quasi 70 anni di guerra fredda non si cancellano con decisione unilaterale.

Ci fosse stato Matteo Renzi, oggi avremmo molto probabilmente una solida maggioranza del Pd e un Governo stabile.

Finirà così alle prossime elezioni?

Non è così sicuro. Matteo Renzi non parte da zero ma il momento magico è passato e Matteo Renzi dovrà comunque dimostrare a milioni di elettori moderati che il suo non è solo puro giovanilismo stile lotta fra generazioni privo però di evoluzione.

In una certa misura finiranno nel conto di Renzi anche la scarsità del Governo Letta, gli effetti disastrosi del Governo Monti. Sono due Governi percepiti come di sinistra perché il Pd li ha appoggiati senza esitazioni e senza distinguo, anche se entrambi non esisterebbero senza i voti di Berlusconi, cui Mario Monti era intrinseco e funzionale e che ne ha determinato, per Enrico Letta, la pagliacciata della Imu. Monti, Letta e alcuni loro ministri hanno pensato che sostituire alle promesse da imbonitore di Berlusconi raffiche di annunci da ufficio stampa, al Governo del Fare sostituire il Decreto del Fare fosse amministrare l’Italia.

Ed eccoci qui.

Matteo Renzi però, finora, non ha fatto niente di meglio, ha solo cambiato spartito ma la musica e in fondo anche la banda sono sempre le stesse. Slogan, parole.

Non credo che chi ha votato Matteo Renzi abbia scelto in base ai suoi risultati come sindaco di Firenze. Chi ha votato Renzi ha votato una speranza. Sono stati tanti, quasi tre milioni. Ma per vincere le elezioni e non a la Bersani e nemmeno a la Berlusconi quegli elettori devono essere dieci volte tanto.

Un passaggio chiave saranno temi come la riforma del lavoro: i potenziali elettori del Pd hanno aspettative opposte, inclusa una radicale trasformazione dello Statuto dei Lavoratori. È anche l’unica strada per rimettere in moto l’occupazione n Italia, ingessata ancor più dalla perfida riforma di ElsaFornero, sempre che non si voglia imboccare quella ottima ma alla fine disastrosa, della piena occupazione stile Unione Sovietica. Ne avrà la forza Matteo Reni?

Poi viene la prova della patrimoniale e più in generale la politica fiscale: sul fondo fosca aleggia l’ombra del fiscal compact, nessuno lo nomina ma vuole dire altri venti miliardi in meno dalle nostre tasche nel 2014 e seguenti.

E poi le pensioni. Qui Renzi e i suoi rischiano di rompere con una fetta di elettorato composita ma che costituisce proprio il mercato che vorrebbe e dovrebbe conquistare. Il tema pensioni rischia di diventare il banco di prova della politica sua e del Pd: non può ridurlo a partito degli slogan.