Nomine Rai. A Berlusconi il Pd sta offrendo un ultimo trionfo

di Marco Benedetto
Pubblicato il 28 Agosto 2009 - 12:32| Aggiornato il 13 Ottobre 2010 OLTRE 6 MESI FA

La Rai è al centro dei desideri di tutti i politici. Non si può dar loro torto. Per la Rai passano posti di lavoro, e le assunzioni, a tempo indeterminato o semplici consulenze, sono uno dei principali ingredienti della cucina di un politico; per la Rai passano tanti soldi di appalti e favorire l’assegnazione di un appalto a un fornitore amico è un altro importante strumento della politica. Non c’è nulla di sconvolgente in questo, accade così in tutto il mondo, in ciascun paese secondo regole proprie. Non lo dico scandalizzato, lo dico per aggiungere una ragione della passione dei partiti per la Rai, convinto che una Rai pubblica serva la democrazia meglio di qualsiasi Rai privata, perché garantisce ai cittadini – elettori il diritto di vedere rappresentate le proprie idee in un coro che una volta si chiamava pluralismo.

Antonio Di Bella, direttore del Tg3. Nessuno ci ha spiegato perché non lo vogliono più

La Rai è al centro dei desideri dei politici anche perché questi pensano che, controllando i vari Tg, l’opinione pubblica possa essere influenzata e molti voti spostati. Questo in parte è vero, perché nel breve termine, sull’onda di uno scandalo, un certo numero di voti può andare da una parte all’altra, anche se non necessariamente nella direzione auspicata da chi ha sollevato lo scandalo.

Ma nella maggioranza dei casi e nel lungo termine, il controllo di un telegiornale vale ben poco. La Dc controllava l’unico Tg dell’epoca, eppure il Pci continuava a crescere. La sinistra aveva occupato la Rai con i “professori”, nei primi anni ’90, e dalle urne uscì Berlusconi. Il lancio glielo fecero proprio i direttori dei Tg nominati dai “professori”: troppo per bene, troppo bravi ragazzi, forse anche troppo poco esperti nella gestione di una macchina di informazione.

Una rete televisiva diventa uno strumento importante nelle mani di un partito se in quel partito c’è qualcuno che sa come usarla. Berlusconi è maestro, perché sa che la partita si gioca non sui tagli dei nastri e sulle citazioni, ma su un campo molto più sofisticato, quello della manipolazione degli umori, l’orientamento del consenso, la creazione del mito.

Come è stato detto già da Beppe Giulietti, a Berlusconi interessano le reti quanto se non più dei Tg, non solo perché il partito lo reclama per le ragioni economiche esposte sopra, ma soprattutto perché le reti producono il vero giornalismo spettacolo , il vero giornalismo popolare. Striscia la notizia ha fatto scuola nel mondo e per molti italiani rappresenta, se non l’unica, la principale e più creduta fonte di informazione. Striscia non nasce in Rai, nasce a Canale 5.

Berlusconi si è mosso in modo scientifico nella scelta dei capi di rete e Tg che spettano alla maggioranza parlamentare. Ora la sinistra gli sta offrendo un’occasione strepitosa, con il litigio in corso fra i vari capi corrente, con un candidato alla segreteria, Ignazio Marino, che è arrivato a dire che la sinistra deve stare fuori dalla spartizione della Rai. Poi ci ha ripensato e ha detto ai colleghi concorrenti alla segreteria di anticipare i tempi e di non perdere tempo in attesa di vedere chi vincerà il congresso. Sarebbe anche una cosa giusta, se di fronte avessero un avversario del loro livello. Del tipo che per mettere uomini propri fanno fuori gente collaudata e competente comne petruccioloi e Rognoni.

Ma ormai dovrebbero avere capito che Berlusconi non ha frequentato né i boy scout né i pionieri e che se i cspi del Pd non fanno presto, Berlusconi gli piazzerà sulle poltrone spettanti alla sinistra qualcuno di sua idea, con indiscutibile patente di sinistra, e quindi inattaccabile, solo che mnon dovrà la nomina al partito, come da logica, ma al primo ministro.

Il perverso desiderio di cambiare, non per una precisa esigenza funzionale, come invece ha fatto Berlusconi,  ma solo per mettere un proprio uomo, può costare caro alla sinistra. Lo si è già visto di recente in Rai, dal cui consiglio sono state allontanate persone di esperienza e competenza, come Claudio Petruccioli e Carlo Rognoni, certo non grandi lottatori ma abili navigatori dei corridoi di viale Mazzini, per lasciare la Rai alla totale mercé del presidente del Consiglio.

A dire il vero, un partito che fa della trasparenza una delle sue bandiere, in materia di nomine Rai si sta comportando con una opacità assoluta e totale, degna della peggiore Dc. Perché vogliono mandare via Antonio Di Bella dal Tg3, perché vogliono togliere Paolo Ruffini dalla direzione di Rai 3? Come hanno fatto con il consiglio di amministrazione della Rai, nessuno ha spiegato agli elettori del Pd e ai cittadini tutti il perché dei cambiamenti. Verticismi da oligarchi.