Unioni civili, adozione: tutela i deboli il Papa o Boldrini?

di Marco Benedetto
Pubblicato il 25 Gennaio 2016 - 06:44 OLTRE 6 MESI FA
Unioni civili, adozione: tutela i deboli il Papa o Boldrini?

Unioni civili. Oltre il folklore un grande problema

ROMA – Unioni civili e adozione omosessuale. Lo scontro è feroce e non sarà certo un mio marginale intervento a influenzarlo. Vorrei però esporre due note quasi di cronaca.

Unioni civili. Penso che chi sostiene la causa delle unioni civili abbia un difetto, quello del perbenismo cripto cattolico che pervade anche la sinistra. Le unioni civili sono un passo avanti rispetto al nulla di oggi, ma sono ancora inadeguate rispetto alla realtà perché ignorano i diritti del terzo incomodo, di solito donna in una coppia eterosessuale, uomo nel caso di omosessuali. Può essere una amante o un amante fedele di una vita, in presenza di una moglie che non divorzia e non muore. Quando “lui”, l’elemento forte della coppia, morirà, chi provvederà al terzo incomodo?

Sostengo la poligamia? Sostengo la giustizia a dispetto della ipocrisia. Ricordo di avere letto una intervista di una donna palestinese che diceva alla scandalizzata intervistatrice europea: la poligamia dell’Islam ci tutela tutte. Ricordo una storia di tanti anni fa a Torino. Un anziano benestante muore, la famiglia si stringe attorno alla salma, in un angolo una figura di donna anche lei avanti negli anni. Era stata la sua amante fedele. Pensarle mi fa stringere il cuore ancora oggi, non ho mai saputo se lui avesse provveduto il tempo. Di solito agiamo come se fossimo immortali.

Le unioni civili, speriamo siano strutturate legalmente bene, sono comunque un passo avanti, sono il matrimonio del nostro tempo. Devono regolare i rapporti patrimoniali in una coppia, specie dopo la morte di uno dei due partner. Oggi, nel mondo in cui viviamo, non ci può essere distinzione di diritti fra coppie eterosessuali e copie omosessuali. Che il matrimonio come lo intende la Chiesa sia ristretto alle coppie eterosessuali non mi sconvolge.

Ma quando parliamo di patrimonio, non di matrimonio, i diritti ereditari non devono distinguere il sesso dei partner che costituiscono una coppia.

Sostiene questo mio ragionamento a favore di una tutela delle unioni civili anche fuori dei sacramenti un po’ di elementare infarinatura storica.

Nella storia della umanità, lunga oltre 100 mila anni, il matrimonio è una invenzione abbastanza recente e di fatto costituisce la definizione delle unioni civili davanti a un sacerdote di quale che sia religione, con festa che peraltro di sacro ha ben poco. Magari dietro al matrimonio c’era Dio, ma lo strumento terreno di cui si servì fu la necessità di conservare il patrimonio.

Nella Roma delle origini, un tremila anni fa, ai pastori non serviva una famiglia, bastava una donna per due, tre uomini, magari consanguinei, come ancora in certe valli alla metà del ventesimo secolo o in India ancor più di recente. Poi hanno cominciato a accumulare ricchezze e la formazione di una famiglia era la base della certezza dell’eredità.

Negli ultimi 50 anni gli omosessuali sono usciti dalle catacombe. Ai tempi del Papa Re davano loro fuoco. Così finirono gli ultimi templari ufficiali che ammisero pratiche sodomitiche. Sodoma, dove la omosessualità era pratica diffusa, è con Gomorra la città che Dio investì di fuoco sacro, a quanto racconta la Genesi, nella Bibbia.

Quand’ero bambino gli omosessuali erano rarità, soggetto di barzellette e oggetto di dileggio. Quando passava Pierino, il finocchio del quartiere, era un tripudio di acclamazioni per i miei coetanei mentre lui si allontanava felice e ancheggiante con le scatole di cartone vuote che raccoglieva nei negozi.

In inglese “gay” voleva ancora dire allegro, all’epoca li chiamavano “queer”, strano. Da noi prevalevano termini da turpiloquio.

Si parlava, mezzo secolo fa, di un potere occulto degli omosessuali nel mondo dello spettacolo, in Rai, una rete invisibile di potere attraverso la quale soggetti estremamente deboli si sostenevano in un mondo molto ostile, in cui destra e sinistra non si distinguevano certo per tolleranza.

La omosessualità era diffusa come oggi, solo che mascheravano il loro stato e si difendevano come potevano. Era un modo di essere diffuso e occulto, senza diritti. Penso ogni tanto al medico mio vicino di casa quando ero bambino. Avrà avuto 40 o 50 anni, tutti sapevano che era omosessuale, viveva con la madre e un giovanotto che chiamavano ragioniere, che credo tenesse i conti delle sue proprietà. Era fascista anche dopo la fine del fascismo, una brava persona e un bravo medico all’antica. Penso che fine avrà fatto il ragioniere quando il dottore è morto. Essendo persona accorta, avrà pensato al suo giovane partner.

Penso invece sempre con tristezza a quel giornalista che morì alla soglia della pensione, dopo una lunga malattia in cui il suo compagno, un più giovane collega, precario, lo assistette con amore e dedizione fino alla fine. Nulla li legava se non il sentimento e nulla della eredità andò a chi gli era stato vicino, ma ai parenti, la legge è legge.

Ecco perché credo che regolare con le unioni civili i rapporti fra coppie sul piano di parità di diritti senza distinguere fra eterosessuali e omosessuali sia fondamentalmente giusto. Il matrimonio fra omosessuali sa più di obiettivo ideologico che pratico e di giustizia. Oggi, con la prova del Dna, non c’è bisogno di segregare le donne dietro il purdah per sapere di chi è il figlio. Il matrimonio interessa alle donne più che agli uomini, anzi per un uomo con un po’ di benessere o uno  buono stipendio la tutela delle donne ha preso una piega che costituisce deterrente.

Norme serie sulle unioni civili spazzerebbero comunque via il bisogno del matrimonio, perché estenderebbero le tutele del matrimonio a tutti, uomini e donne, sposati e non, senza distinguo e sarebbe una cosa oltremodo giusta.

Sempre che quelle norme oltre a essere serie siano anche fatte bene, cosa che nella nostra Italia di oggi non è così certo. L’incompetenza è diffusa equamente in tutto il Paese e si annida con una certa pervicacia proprio là dove si scrivono le leggi e i regolamenti, come dimostra il crescente numero di sentenze dei vari tipi di tribunale che le e li cassano.

Adozione gay. Qui devo ammettere che ho le idee confuse. Mi sono formato la convinzione che non ci sia un modello unico di felicità per i bambini. Si cresce infelici perché si è poveri e si cresce infelici perché si è ricchi. Si cresce infelici perché i genitori si odiano e si cresce infelici perché i genitori si amano troppo e ci sentiamo esclusi. Sono cresciuto convinto che Giacomo Leopardi avesse ragione a scrivere che “è funesto a chi nasce il dì natale” e altrettanto convinto che, visto che ci siamo, meglio farcela andare il meglio possibile.

Ho i brividi a pensare che il destino di un bambino dipende dal giudizio di assistenti sociali del tipo che ha fatto finire in carcere quei poveretti innocenti di Rignano Flaminio. Non mi convince l’idea che un bambino sia più felice in un orfanotrofio o con una famiglia adottiva del tutto estranea che non con una madre e un padre disgraziati quanto si vuole. Ci sono limiti a tutto, non difendo casi estremi, pongo solo dubbi.

Gli stessi dubbi, al contrario, che mi vengono per le adozioni da parte di singoli e, per attrazione, omosessuali. Vorrei su questo ricordare che tanti anni fa fu un punto d’onore della sinistra bloccare le adozioni da parte di singoli.

Successe, se ricordo bene, quasi 50 anni fa, in coincidenza con un omicidio di cui mi occupai come cronista della agenzia Ansa a Genova, che vide come vittima un professore del mio ex liceo Colombo. A ucciderlo, in un tentativo di rapina andato male, fu il figlio adottivo ventenne, insieme con un coetaneo. Era conoscenza comune che quel professore fosse omosessuale. Ne aveva fatto cenno anche una rivista di estrema destra, con scandalo diffuso. Andai a parlare con un vecchio bidello che lo confermò. Fra il processo di primo e di secondo grado lo dissi a Giulio Anselmi, futuro direttore del Messaggero e della Stampa, che all’epoca faceva pratica in uno dei migliori studi legali della città, ex allievo di un’altra scuola. Mi disse che il bidello rifiutò di testimoniare. I ragazzi presero 20 anni anche in appello.

C’era comunque un disagio diffuso anche a sinistra per il fatto che fosse mancata una madre, di sesso femminile, contrapposta a un padre, di sesso maschile. La chiusura della possibilità che una simile adozione si ripetesse fu salutata col tipico “mai più” del definitivismo di certa sinistra italiana Boldrini style, oggi in senso contrario.

Resto senza una opinione definita, sommerso da dubbi e perplessità, frastornato dalle certezze dei pro gay e dei family day, probabilmente nefasti entrambi.