Massoneria nel mirino, l’ombra di Mussolini su Rosi Bindi

di Giorgio Oldoini
Pubblicato il 3 Febbraio 2017 - 06:55 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – In un periodo di caccia mediatica alle streghe, durante il quale il numero delle teste prevale sul peso dei cervelli, occuparsi di massoneria può essere pericoloso. Preciso anzitutto, per non far pensare a un intervento “pro domo mea”, di non essere mai stato massone. A mio parere, nessuno dovrebbe perdere pezzi della propria vita in associazioni che ritengono di dover tutelare i propri iscritti attraverso l’anonimato. Capisco peraltro che molte persone, in ragione della propria posizione istituzionale, politica o sociale, si convincano a iscriversi, magari per contribuire ad attività benefiche, a condizione della riservatezza. D’altra parte, se un cittadino italiano dei nostri giorni aspira a ottenere benefici individuali, deve per forza iscriversi a un partito.

La questione è tornata di attualità perché la Commissione Antimafia presieduta dalla Bindi pretende i tabulati di tutti gli iscritti, mentre il Gran Maestro si oppone: “Collaborare con l’Antimafia non vuol dire consegnare gli elenchi dei Fratelli”. Per capire chi ha ragione, bisogna risalire al dibattito dei nostri Costituenti all’interno della “Commissione dei 75” (relativo all’art. 18 della Costituzione), che vieta le associazioni segrete.

Questa Commissione era presieduta da Meuccio Ruini, un “Fratello” di grado elevato, come lo erano Guglielmo Marconi e migliaia di scienziati, imprenditori e professionisti dell’epoca: per concludere affari internazionali, bisognava appartenere alla massoneria inglese o americana. La tradizione massonica di questi paesi è continuata fino ai nostri giorni: i più famosi presidenti degli Usa sono stati massoni, da George Washington a Bill Clinton. La discussione dei Costituenti su questo tema era stata di una chiarezza esemplare. “La massoneria non può ritenersi un’associazione segreta, essendo noti a tutti i suoi programmi, i suoi dirigenti e la sua sede. Il tener celati gli elenchi dei soci, incide in minima parte sulla natura segreta della società”.

Questo principio fu ribadito in sede di dichiarazione di voto da Moro, Mancini, Cevolotto, De Mita: “Il carattere della segretezza deve essere essenziale alla natura dell’associazione e non deve riguardare i particolari del suo funzionamento”. Ciò stava a significare che il diritto alla “segretezza” di ciascun iscritto era riconosciuto, senza per questo mettere in discussione la legittimità dell’associazione. Si può quindi concludere che i nostri Costituenti e in particolare Aldo Moro, il padre spirituale della Bindi, avrebbero considerata legittima la richiesta della Commissione Antimafia limitatamente agli iscritti “indagati”.

L’elenco degli iscritti alla P2, considerata una loggia deviata, fu trovata per caso (o su indicazione anonima) nella fabbrica “Giole” di Licio Gelli, a Castiglion Fibocchi in provincia di Arezzo. Ne facevano parte parlamentari, ministri, segretari di partito, generali dei Carabinieri e della Guardia di Finanza, generali dell’esercito e dell’aeronautica, ammiragli, magistrati, funzionari dei servizi segreti, giornalisti e imprenditori. La Commissione Anselmi aveva indagato sull’esistenza di attività sommerse e di legami eversivi tra servizi segreti nazionali e internazionali, ritenuti tali da mettere in discussione la stabilità politica del nostro Paese. Il dibattito sulla “colpevolezza” riguardava solo la partecipazione di singoli iscritti a eventi eversivi.

L’on. Rosi Bindi, per ottenere i nominativi richiesti, dovrà prima dimostrare rapporti “istituzionali” tra singole logge e organizzazioni mafiose o singoli “Fratelli”. Occorre tuttavia prendere atto di una situazione “esclusivamente” italiana e cioè l’esistenza di un partito dell’etica, di cui la Bindi è presidente onorario, che è riuscito a distruggere i partiti tradizionali. Nella coscienza del cittadino, si guardano ormai con sospetto i ricorrenti tentativi di piazzare “fratelli” nei posti di comando, che si devono all’abilità dei “maestri” di farsi credere indispensabili per favorire le carriere di qualche primario, docente, imprenditore o magistrato. Esattamente come avviene nei partiti o nei sindacati. La reputazione del potere, è già potere in sé, in quanto attira l’adesione di coloro che hanno bisogno di protezione: i sottomessi, i sottoposti, i clientes da una parte, i patrones dall’altra.

Mentre gli americani considerano normale e auspicabile ogni attività che favorisca il business e nessuno trova da ridire se un presidente della Suprema Corte è massone, in Italia si sta condannando ogni attività “sommersa” ritenuta illegittima senza bisogno di provare il tipo di reato. Il che ci riporta all’epoca del fascismo, che perseguitava le varie massonerie, poiché solo lo Stato (e per esso il Partito unico) poteva “favorire” gruppi o individui. Per comprendere quanto sia antico il dibattito, bisogna leggere il seguente giudizio di Vilfredo Pareto, al quale mi associo a distanza di un secolo:

“La massoneria è una associazione formalmente segreta, ma vi sono molte altre associazioni che sono segrete di fatto; per esempio le unioni di industriali per ottenere dazi protettori, le camorre universitarie ecc.

Se il togliere di mezzo la massoneria significa debellare un’opera camorristica che non sarebbe sostituita da altre, mi pare che la risposta dovrebbe essere positiva. Conosco peraltro fatti in cui l’opera della massoneria è stata positiva: un importante uomo politico, per far posto a suo figlio, ottenne dal ministro il trasferimento di un insegnante, il quale era massone; la massoneria intervenne e bloccò il provvedimento del ministro”.