Umberto Ambrosoli presidente della Lombardia: segno di una Italia che si rinnova

di Maurizio De Luca
Pubblicato il 20 Dicembre 2012 - 08:04| Aggiornato il 26 Febbraio 2020 OLTRE 6 MESI FA
Umberto Ambrosoli (LaPresse)

ROMA – Umberto Ambrosoli che si presenta come capolista “civico” del centrosinistra alle prossime regionali della Lombardia è un’occasione per tutti. Un’occasione, per noi tutti e soprattutto per Milano e la Lombardia, per cercare di pareggiare un conto sempre aperto con questo bravo e tormentato giovanotto milanese.

Lui è creditore (anche se forse, conoscendolo, preferirebbe non se ne parlasse proprio) di tutto quel non è stato per anni riconosciuto a suo padre, Giorgio Ambrosoli, liquidatore della Banca Privata Italiana fatto uccidere su mandato di Michele Sindona una notte d’estate del 1979 sul marciapiede di fronte a casa da un killer venuto dagli Stati Uniti.

Suo padre aveva combattuto con rigore e intransigenza contro le truffe finanziarie di Sindona, che aveva avuto al proprio fianco tanti complici come i gruppi ed i capi devianti della massoneria, della mafia italo-americana, del Vaticano e della Democrazia cristiana. A me, cronista di tanti scandali prima a Panorama, allora diretto da Lamberto Sechi, poi all’Espresso diretto da Livio Zanetti, è capitato in quegli anni di conoscere bene Giorgio Ambrosoli, di condividere le sue ricostruzioni coraggiose che mettevano a nudo le porcherie di Sindona, di apprezzare l’intelligenza e il puntiglio di Silvio Novembre, maresciallo della guardia di finanza, infaticabile e rigido collaboratore strettissimo di Ambrosoli.

Umberto, o meglio Betò come lo chiamava con affetto il padre sorridendo compiaciuto sotto i baffi, allora aveva pochi anni e naturalmente guardava tutti dal basso verso l’alto. Però già allora vedeva con chiarezza l’ombra delle carogne che minacciavano per telefono il padre. Quando Giorgio fu ucciso, lui seppe dell’assassinio del suo papà guardando un telegiornale in un autogrill mentre rientrava in tutta fretta a casa dalle vacanze con la madre, la sorella e il fratello. Non si accorse allora che nessuna autorità politica era presente ai funerali del padre a Milano. L’ha capito però dopo, quando anche non pochi compagni di scuola gli hanno chiesto perché mai il padre non fosse stato un po’ meno intransigente e un po’ più furbo nel ricostruire i conti avvelenati delle banche di quel Sindona, che pur di sbarazzarsi del liquidatore incorruttibile lo fece uccidere per strada a Milano.

Ne abbiamo parlato spesso e a lungo, Betò ed io, e forte è stato sempre il suo giusto risentimento contro i tanti potenti che per anni hanno voltato le spalle a suo padre, arrivando perfino a trescare con i suoi avversari. Mai ha dimenticato la frase insensata sussurrata in televisione da un sorridente Giulio Andreotti che quell’Ambrosoli “era uno che le grane andava a cercarsele”.

Un giorno di primavera nella cucina di casa sua assieme al fratello e alla sorella che chiedevano a lui, più piccolo ma forse più profondo nelle analisi e nei sentimenti, perché mai il padre avesse affrontato tutti i rischi dell’incarico affidatogli dalla Banca d’Italia, senza quasi dar segno di preoccuparsi dei figli “che pur diceva di amare tanto”, Umberto rispose guardandomi fisso, quasi a cercare una conferma da parte di una persona che pur aveva conosciuto e apprezzato l’impegno di Giorgio: “Nostro padre non poteva fare diversamente. Conosceva il suo dovere e condivideva fino in fondo i suoi valori. Se si fosse arreso, non sarebbe stato un buon padre, anzi quel padre rigoroso e sincero che finché ha potuto ci ha educato in nome dei suoi grandi valori e che noi ancora tanto amiamo”. Il fratello e la sorella annuirono, io mi emozionai e lo ringraziai per essere riuscito a trovare una risposta che era fatta di grande sentimento e profonda verità.

La proposta di eleggerlo presidente della Lombardia può concludere, a parer mio, una storia ingiusta, lunga ormai più di trent’anni di un nome e di una famiglia volutamente da tanti dimenticata. Umberto merita di essere eletto, non come orfano di un avvocato che è stato, suo malgrado, protagonista virtuoso di una delle tante putride vicende che hanno caratterizzato la storia nascosta nel sottosuolo della Repubblica.

La sua elezione, di giovane uomo giusto e intransigente, equilibrato e serio, preparato e intelligente, può davvero essere (e lo dico con convinzione contravvenendo per la prima volta nella mia vita a una tradizione personale di non schieramento elettorale a favore di questo o quel candidato) un segno forte di giustizia, il segnale di una nuova, intelligente e positiva pubblica ricostruzione, tra i valori più puri e cristallini, di un Paese che finalmente ha capito tutta la sua storia e che ha bisogno di una convinta ripartenza.