Genova per loro, ma non per noi. La “gramitudine” di una città vecchia

di Michele Marchesiello
Pubblicato il 24 Gennaio 2013 - 14:15 OLTRE 6 MESI FA
Genova per loro, ma non per noi. La “gramitudine” di una città vecchia

“Genova per loro, ma no per noi”, pubblichiamo un contributo di Michele Marchesiello sulla sua città che per cortesia definiremmo “agé”, ma per la quale, a essere onesti, dovremmo spendere un solo aggettivo: grama.

“Genova per noi / Che siamo in fondo alla campagna […]  Genova, dicevo, è un’idea come un’altra…

, Genova è per loro, che sono in fondo alla campagna, e hanno il sole in piazza rare volte, mentre il resto “è pioggia che li bagna”. Come nella canzone di Paolo Conte, Genova è per loro, quelli che non hanno quasi mai il sole in piazza (quanto alla pioggia, meglio lasciar perdere ormai). Ma non per noi che ci viviamo, abitanti di una città più che avara, “grama”. Da cui “gramitudine”, il sostantivo che forse descrive meglio la condizione e lo spirito di una città che vive il proprio declino con un sentimento di malmostosa impotenza.

Chi ci è nato non se ne accorge quasi. Ma basta trapiantarlo altrove (non occorre andare lontano, mettiamo a Voghera o Sarzana) e si trova, lui stesso incredulo, a rinascere diverso, liberato dalla “gramitudine” che lo opprimeva. Se ne accorgono i turisti, che appena usciti dall’acquario si affrettano verso l’autostrada, impauriti all’idea di restare imprigionati da questa città “un po’ così”, capace di ipnotizzarli e avvolgerli come un pitone nelle spire del suo famelico immobilismo.

A Genova è quasi impossibile muoversi, non solo fisicamente, ma anche – soprattutto – mentalmente. Anche la mente è, come suggerisce il nome di una delle poche iniziative vitali della città – “locale”. Città di vecchi, si sa, ma di vecchi insofferenti, aspri: grami, appunto, che trascinano il loro malumore tra il “bisagnino” , il “tabacchino” e il “farinotto”.