Odio per le pensioni d’oro: lo Stato ignora la sua Costituzione e i suoi stessi principi

di Michele Marchesiello
Pubblicato il 8 Maggio 2015 - 11:47 OLTRE 6 MESI FA
Odio per le pensioni d'oro: lo Stato ignora la sua Costituzione e i suoi stessi principi

Foto d’archivio

ROMA – Sarà a causa del potenziale conflitto di interessi (sono andato in pensione col famigerato sistema retributivo), ma da qualche giorno mi sento nella condizione sgradevole di un delinquente che – beccato con le mani nelle tasche della collettività – viene esortato perentoriamente a “restituire il maltolto”. Poi rifletto e mi convinco di alcune cose che mi rassicurano nell’idea di non essere un parassita della società.

Primo. La sentenza della Corte Costituzionale è la prova di una tragica assenza di cultura giuridica e istituzionale, nella classe politica prima ancora che nella generalità dei cittadini.

In realtà le cose sono molto più semplici di quanto si voglia far credere. La Corte ha abrogato come incostituzionale la norma che ‘congelava’ le pensioni erogate dallo Stato, indicandone la ragione principale nel fatto che essa stabiliva un livello troppo basso e finiva per colpire indiscriminatamente trattamenti pensionistici di entità diversa.

Da questo due conseguenze:

– la norma non fa più parte dell’ordinamento e le somme ingiustamente trattenute devono essere restituite, nei tempi e con le modalità che il Governo riterrà opportuni;

– il Governo potrà emanare una nuova norma, dello stesso tenore, a valere solo per il futuro, ma dovrà tener conto ( per evitare nuove dichiarazioni di illegittimità ) della motivazioni data dalla Corte: in sostanza adottando criteri che evitino l’effetto distorsivo e discriminatorio rilevato nella norma abrogata. Quanto a “restituire il maltolto”, occorre chiarire in cosa esso consista e da quale tipo di “contratto” stipulato tra lo Stato e il suo dipendente scaturisca.

Lo Stato trattiene sistematicamente e automaticamente i ‘contributi’ del dipendente: proprio come farebbe una banca con i depositi del cliente, utilizzandoli per le proprie esigenze finanziarie e per adempiere alle funzioni istituzionali sue proprie.

Il dipendente dal canto suo – in un sistema puramente ‘retributivo’ – rinuncia di fatto a gestire i propri ‘contributi’ come farebbe se li avesse versati in un ‘fondo’ ad hoc, in cambio dell’impegno da parte dello Stato a corrispondergli un trattamento pensionistico i cui parametri sono stati definiti sin dall’inizio sulla base di quella che sarà l’ultima retribuzione.

Questo sistema, con gli anni, si è andato rivelando inadeguato e sotto molti aspetti ingiusto, per molteplici ragioni:

– allungamento della vita del ‘pensionato’, che rischia di trasformare la pensione in una rendita destinata a gravare sempre di più sul bilancio della previdenza , squilibrandolo a tutto danno delle generazioni in età lavorativa;

– sostanziale trasformazione dell’idea stessa di rapporto lavorativo dipendente, che non viene più mirato sulla sua durata a tempo indeterminato; proprio su questa tendenziale definitività del rapporto di impiego si basava il meccanismo del trattamento pensionistico ‘retributivo’ ( come se il rapporto si prolungasse o protraesse i propri effetti anche al di là della propria cessazione);

– la crisi economica che ha colpito in particolare il nostro costringendo i governi a cercare risorse là dove esse erano più facili da individuare: le pensioni hanno costituito un bersagli ideale per chi è alla ricerca sempre più affannosa di denaro pubblico ( le pensioni non sfuggono al fisco; i pensionati sono una categoria sostanzialmente priva di mezzi di difesa e non possono scioperare );

– le altre possibili fonti finanziarie per un effettivo risanamento dell’economia nazionale non si sono rivelate così facili o semplici da

rintracciare, scoprire, aggredire: ‘spending review’, lotta all’evasione, costi della corruzione, inefficienza ‘sistemica’ della pubblica amministrazione).

Quello costituito dai pensionati dello Stato è un bersaglio particolarmente appetitoso, soprattutto se si riesce ad allargare oltre ogni limite ragionevole la categoria – particolarmente odiosa – delle ‘pensioni d’oro’ o in similoro.

Il Governo dovrebbe tuttavia considerare alcune cose:

– che quelle pensioni sostengono in gran parte il peso tragico della disoccupazione e di un precariato che è eufemistico definire “giovanile”;

– che esistono, e sono state ampiamente tollerate dagli interessati , misure quali i vari “contributi di solidarietà”, che tuttavia si sono limitati a colpire alcune categorie, restandone del tutto escluso l’ambito dell’impiego privato; il ‘contributo di solidarietà’, se effettivamente allargato a tutte le categorie che percepiscono un trattamento pensionistico non “ d’oro” ma di livello superiore a quello medio, potrebbe essere accettato e praticato senza incorrere in vizi di costituzionalità;

– che – sospetto – la scelta di un livello molto basso di ‘congelamento’ delle pensioni era dettato dalla consapevolezza che la minore entità dei trattamenti di quiescenza che si andava a colpire era largamente compensato dal loro numero e dall’afflusso complessivo delle risorse ‘risparmiate’, di gran lunga superiore a quello garantito dalla scelta di colpire solo i trattamenti di livello ‘superiore’, ma di gran lunga inferiori in percentuale: in poche parole: ha davvero convenienza, il Governo, a innalzare in misura significativa il livello del ‘congelamento’?

– che – infine – andando a toccare ed etichettare come ‘socialmente ingiusto’ un trattamento pensionistico superiore alla media – non si dovrà , più in generale, mettere in discussione e porre mano al principio stesso per cui vi sono trattamenti economici manifestamente e a volte scandalosamente sperequati, che sarebbe indispensabile rivedere ? E’ giusto che continuino a esserci manager che percepiscono stipendi superiori di cento e più volte a quello di un operaio o di un impiegato? Non si dovrebbe parlare, davvero in questo caso, di un ‘maltolto’ , o addirittura di un vero e proprio furto perpetrato in danno della collettività?