Trenta anni fa Berlinguer diceva…Questione morale? No, “manuale”!

di Mino Fuccillo
Pubblicato il 27 Luglio 2011 - 14:19| Aggiornato il 28 Luglio 2011 OLTRE 6 MESI FA

Enrico Berlinguer (©Publifoto/Lapresse)

ROMA – Trenta anni fa Enrico Berlinguer diceva… Il 28 di luglio è il trentesimo compleanno di quell’intervista dell’allora segretario del Pci ad Eugenio Scalfari. E tutti ricordano o credono di ricordare che Berlinguer abbia detto solo e soltanto “questione morale”. Questione morale intesa come battaglia degni onesti contro i ladri, di chi non ruba contro chi ruba. E che su questo Enrico Berlinguer abbia da allora cominciato a far ruotare l’asse della analisi e dell’azione politica della sinistra. Addirittura qualcuno individua in quell’intervista il concepimento se non la nascita del giustizialismo. Comprensibilmente molti rinfacciano a quel Berlinguer così letto e tramandato la presuntuosa e spesso, troppo spesso smentita, “diversità” del Pci geneticamente immune dalla disonestà. In realtà, ed erano trenta anni fa, Berlinguer non pose una questione morale, pose ben più consistente e realistica questione “manuale”, cioè quella del dove e perché mettono le mani i partiti e gli uomini e le donne della politica.

Sì, Berlinguer disse: “La questione morale è al centro del problema italiano”. Ma non perché ci fossero i ladri, che allora c’erano molto meno di oggi, ma perché: “le istituzioni stanno diventando macchine di potere e clientela, scarsa o mistificata conoscenza della vita reale e dei problemi della società, della gente. Idee, ideali programmi pochi e vaghi, sentimenti e passione civile zero”. La questione già allora non erano i ladri ma la “macchina” che fabbrica i ladri. La questione era già allora, quando nasceva, il combaciare e l’esaurirsi della politica nella distribuzione e maneggio dei soldi pubblici. Questo mutava la natura della politica, dei partiti e delle istituzioni. Questo avviene e si è perfezionato da trenta anni: con la complicità della società civile la politica altro non fa che maneggiare e distribuire soldi pubblici. E per chi ne dubitasse, basta ascoltare qualunque notiziario: l’informazione sui finanziamenti erogati e ottenuti ha in Italia la frequenza e la puntualità delle previsioni del tempo. La politica, di governo e non solo è un Bancomat di cui i politici hanno il codice di accesso e la gente si attende che lo usino. Per questo sono valutati, votati e in fondo altra funzione la società non riconosce loro.

Pian piano ma neanche tanto piano i politici si sono convinti che questa attività di maneggio e distribuzione di soldi pubblici sia non solo legittima come spesso è ma anche capace di legittimare quel che legittimo non è. Parlamentari, ministri, assistenti, assessori, governatori trovano naturale e in fondo “doveroso” avere rapporti di “stimolo” finanziario nei confronti di imprenditori, imprese, associazioni, interessi organizzati o, come si dice, territori. Non è tanto che i politici debbano “finanziare” la politica e per questo faccioano in modo che restino attaccate alle loro mani parte in fondo minima del denaro che maneggiano e distribuiscono. E’ che ritengono loro compito e funzione finanziare, stimolare con il denaro pubblico tutto o quasi tutto quel che esiste e si muove nella società. Ragion per cui se questo è il “fine” da tutti accettato e riconosciuto, la questione dei “mezzi” per ottenerlo è secondaria e comunque sempre opinabile.

Traduciamo in esempi non scelti a caso: se la politica nomina i manager della Sanità, se i partiti maneggiano e distribuiscono i 110 miliardi della Sanità, allora per impedire che un assessore regionale alla Sanità diventi un procacciatore di affari anche in proprio occorre affidarsi alla astratta categoria della “onestà”. Meno astratto e molto più concreto sarebbe un sistema dove i politici non procacciano e non procurano affari, neanche se onesti. Perché procurare affari non dovrebbe essere il loro mestiere. Se un governo locale si compra un pezzo di una strada, allora valutare se ha pagato il giusto o se ha distribuito un sovra prezzo traendone vantaggio rimanda ancora una volta alla categoria insondabile della “onestà”. Ma un governo locale perché compra azioni di una strada pagandole a un privato. Non dovrebbero essere letteralmente “affari” suoi, neanche se quel governo è il governo degli onesti.