Libia: azienda li manda, loro vanno. Perché colpa di Stato?

di Mino Fuccillo
Pubblicato il 7 Marzo 2016 - 09:56 OLTRE 6 MESI FA
Libia: azienda li manda, loro vanno. Perché colpa di Stato?

Libia: azienda li manda, loro vanno. Perché colpa di Stato?

ROMA – Libia, otto mesi fa un’azienda italiana invia quattro suoi tecnici nel paese con 240 milizie e 140 tribù e zero Stato. I quattro tecnici vanno. Una banda li rapisce durante uno spostamento in auto, forse incauto data la situazione. Forse i quattro sono traditi dall’autista. Comunque rapiti presumibilmente per farci soldi, venderli da una banda all’altra. Sotto otto mesi di prigionia feroce.

Pochi giorni fa due di loro vengono prelevati e messi in un mezzo di un piccolo corteo di Suv. Forse un trasferimento del bottino umano perché i sequestratori non si sentono più al sicuro dove sono. Oltre che sequestratori infatti hanno contatti, forse solo “commerciali” con Isis della zona. Il corteo è attaccato, non si sa da chi. Probabilmente dalle milizie di Sabrata, il che vuol dire tutto e niente. Due italiani muoiono, uccisi a colpi di arma da fuoco. Non si sa se come effetto collaterale dell’assalto o come ultimo atto feroce dei rapitori e carcerieri.

Gli altri due italiani, rimasti nella prigione e non trasferiti, raccontano di essere stati abbandonati senza cibo e acqua, abbandonati da carcerieri fuggiti. E quindi i due italiani fuggono a loro volta, buttano giù a calci la porta, si ritrovano in strada, i miliziani li trovano. Li riconsegnano all’Italia non senza prima averli esibiti in foto “ufficiali” e non senza aver prima dichiarato al mondo che foto provano loro sono i libici “buoni”. Buoni sì, ma che comandano. Infatti si tengono i cadaveri dei due italiani morti a dimostrare che l’Italia può solo chiedere per favore.

Questa è per sommi capi la storia, la drammatica storia finora nota. Ripercorriamola seguendo la traccia, se c’è, delle responsabilità.

L’azienda, la Bonatti di Parma, invia i quattro tecnici in Libia. Per ottime o meno ottime ragioni, comunque li invia. Per missione di indispensabile manutenzione degli impianti, condita o meno con una sottovalutazione del rischio, comunque dell’azienda è la responsabilità di averli inviati in Libia. Responsabilità, sia ben inteso, non colpa. L’azienda, è sua la scelta e la responsabilità di inviare quattro suoi uomini là dove il governo italiano ha da tempo fatto evacuare i suoi cittadini.

I quattro tecnici, Gino Pollicardo e Filippo Calcagno che sopravviveranno e Salvatore Failla e Fausto Piano che saranno uccisi, vanno. Per ottime e comprensibili ragioni: il lavoro, la missione aziendale. Comunque sono loro che liberamente scelgono di andare. Nessuno, tanto meno lo Stato, aveva il diritto e il potere di impedire loro di andare.

Bande armate li sequestrano, li picchiano, li affamano e li conducono alla morte. In tutti i casi sono mani libiche su cui nessuno dall’Italia ha il minimo potere di intervento. Dell’Italia se ne fregano in quanto banditi o addirittura sono nemici in quanto l’Italia è “occidente infedele”.

In tutta la drammatica storia non c’è mai neanche la lontanissima traccia di una responsabilità dello Stato italiano. Cosa avrebbe dovuto fare lo Stato italiano che non ha fatto?

Impedire con i Carabinieri ai quattro di partire? Impensabile e giustamente impossibile.

Cercare di liberare i quattro pagando riscatto? A parte che non è escluso sia stato tentato, se e quando lo Stato italiano fa questo viene accusato di cedere ai terroristi e di essere il bancomat internazionale dei rapitori di occidentali. Comunque, ammesso e non concesso sia stato fatto, non sempre tentare di pagare riporta a casa gli ostaggi.

Cercare di liberare i quattro con un blitz militare? Blitz impossibile su quel terreno e comunque non è tutta Italia contro l’intervento militare?

Allora qual è la colpa di Stato in questra tragica storia? Dove “lo Stato ha fallito”? In nessun luogo e in nessun momento. La frase “Lo Stato ha fallito” è comprensibile sulla bocca e nell’anima di una donna che ha perso il marito. E’ però impropria pronunciato da ogni altro. Eppur la si pronuncia. E’ una frase figlia di quell’idea per cui lo Stato è quella cosa che deve stare fuori dalle scatole quando tutto va bene, possibilmente non esistere. Ma, quando c’è un problema, lo Stato deve essere onnipresente e onnipotente.

Purtroppo lo Stato italiano in Libia può proprio nulla. Umanamente una vedova chiede che il corpo di suo marito “non sia toccato” dai libici, che l’autopsia sia fatta solo in Italia. Quella donna esprime un sentimento che viene dall’amore e dal dolore, un sentimento che è facilissimo comprendere. Per quella donna è quasi invece impossibile comprendere che a Sabrata Libia 2016 lo Stato italiano, qualunque Stato, ha potere nullo. Quella donna spezzata dal dolore ha il diritto di non capirlo. Gli altri, tutti gli altri, avrebbero il dovere civile, intellettuale e umano di saperlo.