Resto, non resto? Più Moretti che Amleto. Monti-Gorbaciov, altro che Cincinnato

di Mino Fuccillo
Pubblicato il 9 Luglio 2012 - 14:28 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Il quotidiano La Repubblica racconta di un dubbio, un’esitazione più morettiana che amletica: “è arrivato o no il momento di dare una disponibilità a proseguire questa esperienza di governo…se lo si fa adesso si fa il bene o il male del governo e del paese?”. Più o meno tutte le cronache di tutti i giornali il Mario Monti della domenica lo raccontano così, più Nanni Moretti, che si chiede se fa più bella figura se fa la mossa di restare o quella di andarsene, che Amleto davvero scisso tra dover essere e poter essere. Poi La Repubblica completa il ritratto con un’ultima pennellata: “Presidente, se non adesso verrà un momento in cui sarà necessario…Sospira, lascia cadere l’argomento”. Dunque, il sospiro di Monti come arcana e ascosa risposta alla domanda se resta o non resta al governo nel 2013. Come fosse questa la vera domanda, come fosse nella volontà di Monti poter proseguire o no, come fosse un mondo che non c’è.

Il resto del mondo, forse ancora prima degli italiani, vorrebbe sapere già oggi chi governerà l’Italia nel 2013 e negli anni successivi. Sapere “chi” per conoscere e prevedere “come” e farsi i conti relativi. Interessa sapere chi e quindi come intenderà rispondere di duemila miliardi di euro di debiti contratti e da ripagare. Interessa sapere chi e quindi come cercherà di impedire che l’Italia debba essere “soccorsa” finanziariamente. Interessa saperlo perché in quel caso è l’euro che salta più che la lira che torna. Interessa sapere chi e come comanderà a Roma agli americani, ai tedeschi, ai francesi, a tutti gli europei. E non per curiosità ma per il non poco di soldi, pubblici e privati, che questi popoli e Stati hanno in comune. Interessa ai mercati, ai risparmiatori, agli imprenditori, agli speculatori, ai pensionati, ai lavoratori. Interessa anche perché più o meno tutti gli interessati mica tanto si fidano che chiunque comandi dopo le elezioni del 2013 mantenga gli impegni presi dall’Italia nel 2011 e 2012. Li manterrebbe un Berlusconi resuscitato che farà campagna elettorale anti euro? Li manterrebbe un Bersani che già annuncia che quando arrivano loro “cambiano”, eccome se cambiano leggi dal Pd mal sopportate sul lavoro e sulla spesa pubblica? Li manterrebbe un Beppe Grillo o un  Di Pietro o un Vendola o un Maroni o un Alfano? Con l’eccezione di Pierferdinando Casini che non a  caso più del 6/7 per cento di consenso non va, non c’è un solo politico vecchio o nuovo in Italia che non garantisca che quegli impegni non, e sottolineo non, li manterrà.

Né la gente, l’elettorato, i cittadini, il popolo chiamiamolo come vogliamo vuole che quegli impegni siano mantenuti. La gente che ha tributato onori e successo alla denuncia de La Casta di Gianantonio Stella e Sergio Rizzo perché non fa la “Ola” ai tagli di spreco e spesa appena varati dal governo? Eppure i due giornalisti di riferimento in un alfabeto della spending review pubblicato sul Corriere della Sera di sabato hanno un solo dubbio: che sia tutto vero. Gli scopritori della Casta approvano la spending review che anzi appare loro quasi troppo bella per essere vera. Ma la gente che li ha applauditi su questo non li segue, perché? E perché Bersani che fin qui ha seguito, prima entusiasta poi titubante ma comunque ha seguito Monti, ora avverte e tuona: “Monti non ha capito come funziona la Sanità”? Perché Monti ha capito benissimo come funziona, come la Sanità tiene in piedi non solo e non tanto la salute quanto il “sistema”. Tocca il “sistema” e anche Bersani fuori si chiama.

Il “sistema”: dall’avvento dell’euro l’Italia ha pagato fino all’anno scorso interessi sul suo debito molto inferiori a quelli che avrebbe pagato senza la moneta unica, ha pagato interessi “tedeschi” per dieci anni. Fa all’incirca un risparmio di 800 miliardi. Usati per…Non per la produttività che nel 1990 era 87 su base cento e nel 2010 era 75. Dodici punti in meno che sono in carico negativo agli imprenditori e a si sindacati, dodici punti in meno mentre in ogni altro paese d’Europa la produttività cresceva.

Il “sistema”: con il secondo governo Prodi la spesa pubblica al netto degli interessi sul debito aumenta del 6 per cento, con il penultimo governo Berlusconi cresce del 16,9 per cento. Con il centro sinistra la pressione fiscale è del 42,6 per cento, con il centro destra è del 42 per cento. Con entrambi al governo, da venti anni in quota parte, sempre la spesa è stata in rapporto al Pil percentualmente superiore alla pressione fiscale. Quindi da venti anni si finanzia a debito la speso dopo averla rincorsa, senza mai raggiungerla, a colpi di tasse. E mentre si produceva meno e peggio. Questo è il “sistema” cui si sono abituati decine di milioni di italiani di destra e sinistra e di ogni ceto sociale.

Appena tocchi, anche se solo lo sfiori il “sistema”, scattano tutti. Michele Ainis sul Corriere della Sera di lunedì 9 luglio fa una serrata storia della reazione sempre vincente delle corporazioni e lobby. Storia recente, dal 2008 ad oggi. Le banche, le assicurazioni, i tassisti, i farmacisti, gli avvocati, l’autotrasporto, gli statali, i magistrati, i gestori di stabilimenti balneari, i benzinai, la Chiesa cattolica…Ognuno una battaglia e mai una sconfitta, al massimo un pareggio nella partita per lasciare il “sistema” come è stato fatto e come è e come la politica e la società e la gente e le lobby e il popolo e i sindacati e l’elettorato e anche i notiziari vogliono che sia e resti: spesa incontrollata e finanziata a debito. Scriveva Luca Ricolfi su La Stampa do domenica 8 luglio: “Non facciamoci illusioni, i governi fanno quello che possono, cioè quasi niente perché se facessero quello che devono, ossia aggredire sprechi e disorganizzazione dei servizi pubblici, non resisterebbero un giorno di più, travolti dalle reazioni delle lobby, dei partiti, dei sindacati, degli enti locali, dei cittadini più o meno organizzati e più o meno indignati”.

Non c’è nulla da aggiungere a questa conclusione di Ricolfi, solo osservare in concreto il suo verificarsi: lacrime di legioni di statali come condannati al lastrico e invece solo magari al privilegio di un prepensionamento, lacrime di medici politici e politici medici sulla “fine dell’assistenza sanitaria” se levi ai primari il diritto di farsi il reparto e all’assessore il diritto a farsi il primario…Piange Bersani, la Camusso ha ormai traghettato la Cgil da Cipputi a Fantozzi e il tragicomico è che ci crede sul serio. Il presidente di Confindustria piange la “macelleria sociale”, quelli del “bosone”, tagliati del 3 per cento delle risorse annunciano “doveremo dimezzare l’attività”. Piangono gli avvocati che dovranno prendere la macchina per andare in Tribunale e calcolano: “a me i chilometri chi me li paga?”. Ricompare perfino Clemente Mastella a ricordare che in Tribunale, un Pubblico Ufficio è “economia locale”: i caffè, il cappuccino, la fotocopia…Piangono tutti perché si è previsto di eliminare 26 miliardi in tre anni di spesa sprecata sui 150 miliardi annui di spreco di spesa calcolata.

Per cui la domanda non è se Monti vuole restare i no e se e quando manifesterà la sua “disponibilità”. Monti chi? Chi lo vota nel 2013? Non l’elettorato che fu di Berlusconi che all’ottanta per cento Monti non lo vuole e gli preferisce perfino Grillo. Non l’elettorato leghista e neanche quello di Vendola e non quello di Di Pietro, men che mai quello di Grillo. E neanche l’elettorato di Bersani, men che mai dopo che Monti ha provato a toccare statali e sanità. E allora la domanda è: ma in Italia chi lo vuole e lo vota Monti o comunque un governo che faccia le stesse cose, dia le stesse garanzie esterne, al mondo, e i medesimi dispiaceri interni, alla gente? Più o meno nessuno. Cui segue altra domanda: ma l’Italia è “salvabile”? Una volta ci si domandava se il sistema comunista, così come aveva preso forma nei paesi dell’est europeo fosse “riformabile”  o meno. La domanda da astratta si fece concreta quando Gorbaciov ci provò a riformare il sistema. Si vide con nettezza che il sistema riformabile non era, finì a Eltsin e Putin. Più che Cincinnato indeciso tra la patria e il focolare, Monti fa venire in mente un italico Gorbaciov. La vera domanda è chi sarà Eltsin e chi Putin.