Pd, Lega, Verdini: i dolori di “avere una banca”. Il “leghismo rosso” a Mps

di Mino Fuccillo
Pubblicato il 24 Gennaio 2013 - 13:52| Aggiornato il 6 Maggio 2022 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – C’era una volta una banca ed era pure più o meno sana. Solo era relativamente piccola e non  voleva crescere di dimensioni, non voleva perché, se diventava più grande e robusta, non poteva restare la banca giocattolo esclusivo di chi abitava e comandava nel suo “territorio”. Questa banca volle, fortemente volle, restare radicata nella sua realtà e controllata dalla sua gente. Tutte cose che agli italiani piacciono un  sacco: il radicamento nel territorio e la fedeltà  all’identità, cioè il controllo di famiglia sui giocattoli di casa. Salvo che un brutto giorno la banca bella e di famiglia si trovò a fare i conti con il mondo. Doveva crescere per non restare piccola e soprattutto isolata. E allora decise di crescere assumendo ormoni della crescita. Comprò un’altra banca che si chiamava Antonveneta al doppio del valore reale, era appunto “l’ormone della crescita”. Poi, siccome non reggeva lo scompenso finanziario, la banca una volta bella e di famiglia cominciò a drogarsi di “derivati”. Ad assumere dosi di scommesse finanziarie che, come droga appunto, assumeva in segreto, nascondendole ai bilanci, occultandole perfino a Bankitalia. Qualche scommessa andò male, la banca una volta bella e sempre di famiglia, di scommessa ne ha persa una, l’ultima, da 500 milioni. Ed è stata scoperta, ora è in piazza svergognata la banca una volta bella e di famiglia.

Già, ma di quale famiglia? “Il vero problema c’è stato quando il controllo è diventato locale, si è innescato un circuito pericoloso: i sindacati della banca decidevano di fatto i vertici di Provincia e Comune di Siena, quei rappresentanti politici nominavano poi gli esponenti della Fondazione Mps che a sua volta decideva chi guidava la banca, un corto circuito…”. Corto circuito e zac: Monte dei Paschi di Siena perde in tre giorni il 20 per cento del suo valore in Borsa, il Corriere della Sera pubblica colonnino per ricordare che i depositi in banca, tutte le banche, sono garantiti fino a 100mila euro, alla radio del Sole 24 Ore telefonano per domandare se non sia il caso di chiudere i conti correnti. E chi lo racconta il corto circuito che parte dai sindacati della banca e arriva ai derivati e alle dimissioni da presidente dell’Abi di chi al tempo dei derivati guidava Mps? Il racconto riportato è di massimo Mucchetti, candidato del Pd in quella Lombardia che molto deciderà delle elezioni, giornalista di economia e finanza ma soprattutto Pd, il nuovo Pd.

E che c’entra il Pd con Mps? Molto, anche se Bersani si ripara dietro il “Il Pd fa il Pd, le banche fanno le banche”. Vero e anche falso: il Pd non amministrava certo Mps, né sottoscriveva derivati finanziari, tanto meno i vertici della banca riferivano o dipendevano dal Pd. Però il Pd ci stava eccome se ci stava ad una banca controllata dai sindacati che si facevano politica, politica che si faceva governo locale, governo locale che si faceva Fondazione bancaria, Fondazione che si faceva banca. Era una famiglia e il Pd era un caro, carissimo parente lontano. Ci stava il Pd e ci stavano, ad onor del vero, tutti sul “territorio”. Mps distribuisce sul territorio, a tutti, non solo alla “sinistra”, due miliardi di euro in aiuti, alla cultura, alle arti, professioni, attività…parrocchie e Palio compresi.

Ci stavano tutti, soprattutto il Pd e il Pd ci sta ancora. Stefano Fassina, del Pd responsabile economico: “Si deve proprio alle Fondazioni si il sistema bancario italiano è migliore di quello degli Usa e non affidato esclusivamente al mercato”. Non al mercato, non sia mai affidare al mercato le banche dice Fassina. Meglio affidarle allora a quel kombinat che Dario di Vico sul Corriere della Sera felicemente battezza “leghismo rosso”: un impasto di localismo, corporazione, familismo, tutto democratico per carità. Il Pd non ha mai sopportato che la Fondazione potesse scendere sotto il 51% nel controllo della banca, il Pd ha sempre fatto muro ed argine ad ogni gestione che non fosse di famiglia di Mps. Il Pd locale, certamente. Con l’assenso del Pd nazionale. Con il consenso della gente di Siena. Con l’assenso del popolo, con la benedizione e partecipazione dei sindacati. Con tutte queste belle robe che però quando arriva il mercato vero devi assumere droga finanziaria per stare in piedi e fingere di stare in salute.

Quindi il Pd c’entra, eccome se c’entra. Non perché abbia mai detto a Mps cosa fare e non perché abbia intascato un euro. Non perché sia responsabile o “padrone” di Mps. Ma perché sua, del Pd, è stata ed è la cultura del “territorio” dove le banche si radicano protette e vigilate dai sindacati interni, affratellate con i governi locali, garantite dalla natura di finanza popolare che sta nelle Fondazioni…Sua, del Pd, è stata ed è la cultura anti concentrazioni, anti mercato e in fondo anti finanza tout court. C’entra il Pd eccome perché il Pd pensa che le banche debbano essere in fondo un bancomat della democrazia, a prescindere dal mercato appunto. Quindi, quando al Pd pensano “abbiamo una banca”, non è che pensano di far soldi o impresa, pensano di avere uno strumento per fare politica. Esattamente, con una variante, quel che è accaduto a Mps dove la politica, addirittura locale, pensava di fare una banca.

Ma “avere una banca” per farci politica porta dolori. Oggi al Pd di Bersani, che però non ha mai usato Mps come sportello bancomat per se stesso, la sua gente, le sue imprese. Questo invece lo ha fatto la Lega Nord, quella di Bossi e Maroni, con Credieuronord. Una banca creata, nutrita e poi esplosa per finanziare ogni possibile attività economica, realistica o campata in aria che fosse, dei “padani vicini alla Lega”. Esplosa a carico della collettività ovviamente. E che le banche dovessero essere politica lo diceva apertamente Bossi quando dopo le elezioni del 2008 pubblicamente rivendicò la sua parte di “bottino bancario”. Quando hanno potuto i leghisti sono stati molto più spicci di quelli del Pd: non cultura e influenza sulle e intorno alla banche ma direttamente le mani nei cassetti dei soldi. E un signore che oggi fa il coordinatore del Pdl, che ha scelto in prima persona i candidati del Pdl, lui una banca tutta sua ce l’aveva. Denis Verdini aveva una banca in Toscana, Bankitalia ha descritto la sua gestione come inaffidabile perché la banca letteralmente regalava prestiti enormi senza garanzie agli “amici sul territorio”.

Ma se il male è comune, non c’è il mezzo gaudio. O meglio ci potrà essere in una campagna e propaganda elettorale che su Mps la racconterà grossa ma mai giusta e in cui ognuno proverà a sbattere in faccia all’altro la rispettiva miseria o imbarazzo. Il mezzo gaudio non c’è perché “avere banche” per un partito dovrebbe essere un guaio e non un’aspirazione. Poi, si sa, i partiti sono diversi e qualcuno mette in piedi banche da speculazione, altri da corporazione, altri da “territorio”. Ma sono tutte banche sbagliate, anche se son quelle che, oltre che ai partiti, piacciono alla gente che frequenta i loro uffici e sportelli.