Bambini con piede torto equino: internet aiuta i genitori a conoscere le cure

di Pino Nicotri
Pubblicato il 10 Ottobre 2013 - 08:45 OLTRE 6 MESI FA
Bambini con piede torto equino: internet aiuta i genitori a conoscere le cure

Anna Ey Batlle. Cura centinaia di bambini col piede torto

Con il piede torto equino, detto anche piede torto equino bilaterale e piede torto congenito, ogni anno in Italia nascono 500 bambini, mentre la media mondiale pare sia di 1-2 casi ogni mille nati.

Eppure è una della patologie meno conosciute, nonostante esista fin dagli anni ’40 un ottimo modo, semplice, economico e non invasivo. per curarla. Grazie a internet solo di recente si è diffusa la conoscenza dell’esistenza di cure semplici ed efficaci, che prendono il nome dal loro ideatore: metodo Ponseti.

Il 12 ottobre a Milano si terrà la prima edizione della Giornata Internazionale del Piede Torto Congenito. La parte del leone la farà il metodo Ponseti, la cui efficacia sarà efficacissimamente illustrata dalla prima Italian Ponseti Race, vale a dire dalla prima corsa a piedi dei bambini italiani curati con il metodo citato.

Si parla sempre molto di bambini e sempre mostrando per loro grande amore o comunque interesse: dal notissimo “Lasciate che i fanciulli vengano a me” al (mi si perdoni l’accostamento) diluvio di spot pubblicitari per prodotti per l’infanzia. Però quando si tratta di bambini malati, handicappati o malformati il discorso cambia, se ne parla meno.

Forse è la logica conseguenza della gara al fisico in gran forma ed efficiente anche in tarda età perfetto. Come per le merci difettose, si viene scartati o tenuti in disparte.

In cosa consiste esattamente la malformazione del “piede storto congenito”? E’ presto detto: alla nascita uno o entrambi i piedi presentano le ossa in posizione scorretta e appaiono ruotati verso l’interno. Se non è ben trattata, la patologia è gravemente invalidante, con forti ricadute sulla qualità della vita del paziente e costi sociali salati. Quando invece il bambino è ben curato, si ottiene un piede esteticamente e funzionalmente “normale”, con la possibilità di camminare, correre e svolgere qualsiasi attività fisica senza dolori né limitazioni.

Come curarla? Con il metodo Ponseti, dal nome del geniale medico spagnolo Ignatio Ponseti che negli anni ’40 sviluppò la tecnica negli Stati Uniti. Riconosciuto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come la tecnica più efficace per la cura della patologia, tant’è che ha guarito centinaia di migliaia di bambini in tutto il mondo, prevede 4-6 piccole applicazioni di gesso settimanali, preceduti da pochi minuti di delicate manipolazioni, una incisione di pochi millimetri al tendine di Achille e uno speciale tutore prevalentemente notturno fino ai 4-5 anni.

Ormai nel mondo va sostituendo le lunghe ed invasive terapie tradizionali, peraltro meno efficaci e più costose, che prevedono 6-8 mesi di gessi dolorosi, interventi chirurgici, anni di tutori, fisioterapia, scarpe ortopediche, con alto rischio di infezioni, necrosi, artrosi, recidive e forti dolori in età adulta. Sorprendentemente, il primo motore del processo è stato il passaparola sul Web: sono stati infatti i genitori a spingere inizialmente, prima negli USA e poi nel resto del mondo, affinché i loro medici ortopedici apprendessero la tecnica con adeguati corsi di formazione. In questi anni la Ponseti International Association (PIA) ha formato centinaia di medici, soprattutto nel Terzo Mondo, dove la patologia ha alti costi sociali e il metodo Ponseti ha trovato larga diffusione per l’efficacia e i costi contenuti (con 10-20 dollari si cura un bambino con ottimi risultati nel 99% dei casi).

L’Italia però si trova ancora in una situazione di arretratezza. Perché? Per due motivi ben precisi. Il primo è che il sistema dei rimborsi del Servizio Sanitario Nazionale rende paradossalmente poco “redditizio” per gli ospedali formare i medici nelle metodiche non chirurgiche. Il secondo è che l’accesso di massa a internet è una novità degli ultimissimi anni. Il boom dell’informazione nel web ha permesso ai genitori la creazione sui social network di gruppi e iniziative centrate sul PTC, come per esempio la neonata Rete Italiana Piede Torto. Ma nella pratica medica la diffusione del metodo curativo è molto lenta. E così è quasi solo l’antichissima risorsa del passaparola a permettere ai bambini con il piede torto congenito, ormai molte migliaia, di poter approdare nei pochissimi centri con operatori formati dalla PIA.

Del passaparola innescato da internet si sono accorti l’Università Bocconi e il Politecnico di Milano, che hanno infatti deciso di occuparsi dell’influenza di internet sulle scelte dell’utenza in ambito sanitario e delle annesse ricadute economiche.

L’interesse della Bocconi e del Politecnico ha fatto sì che il convegno del 12 ottobre vedrà tra i relatori non solo i principali rappresentanti italiani e stranieri della Ponseti International, ma anche studiosi di economia e di marketing sanitario. , oltre ad alcuni rappresentanti della neonata Rete Italiana Piede Torto, movimento di genitori nato sul web per informare e promuovere la metodica.

Tra le iniziative del gruppo di supporto è attivo un telefono per i genitori (SOS Piede Torto, numero di telefono 331-1665412) e una raccolta di firme per chiedere che anche in Italia si organizzino corsi in collaborazione con la PIA, affinché in ogni grande centro ortopedico pubblico sia presente almeno un medico formato nella metodica Ponseti. Un buon modo per evitare che migliaia di famiglie siano costrette a lunghe trasferte e viaggi della speranza.

Ecco per esempio il calvario durato otto anni raccontato da papà Marco e mamma Silvia, che lo hanno affrontato per guarire la loro Elena: venuta al mondo il 27 gennaio 2005 con entrambi i piedini torti, è diventata libera dalla malformazione e ha potuto cominciare a ballare felice e giocare a palla con gli altri bambini a fine marzo di quest’anno.

Per maggiori informazioni basta rivolgersi a info@congressiefiere.com .

La storia di Elena

La storia di Elena ha inizio con le prime ecografie e la diagnosi di piede torto congenito bilaterale. Il papà e lo zio erano entrambi nati con la stessa malformazione, eppure i genetisti cui ci eravamo rivolti ci avevano rassicurato sulle basse percentuali di ereditarietà, soprattutto per le femmine.

Dopo la notizia ci siamo informati il più possibile e ci hanno detto che anche nella nostra città utilizzavano il metodo Ponseti, per cui ci siamo rivolti con fiducia e serenità ad uno stimato ortopedico di Padova. Purtroppo è stato un grosso errore…

Appena nata Elena, il dottore è venuto su nostra richiesta a visitare la bimba in ospedale. Ci ha detto che, data la gravità della malformazione (3° grado), quasi certamente dopo i gessi avrebbe dovuto operarla, ma la tenotomia avrebbe comportato solo una cicatrice di pochi millimetri e il tutto si sarebbe risolto in breve tempo.

Il dottore mise i primi gessi quando Elena aveva solo 10 giorni: è stata un’esperienza assolutamente traumatica, da dimenticare. In più, senza alcun preavviso, Elena è stata ricoverata fino al pomeriggio del giorno dopo in una camerata con altri sei pazienti, adulti ed anziani, senza un letto per il genitore né l’occorrente per prendersi cura di un neonato. Nemmeno Elena aveva un letto e ha dovuto dormire nella sua carrozzina.

Il ciclo dei gessi è continuato per altre cinque volte: dovevamo arrivare in ospedale alle 7 e aspettare in una stanzetta ore, o anche fino al pomeriggio, finché non arrivava il dottore. Capitava spesso che i piedi si gonfiassero e di dover fessurare i gessi; uno si è addirittura sfilato. Una volta i piedi si sono gonfiati dopo le 14, ora di chiusura della sala gessi, quindi siamo stati costretti a portare Elena d’urgenza al pronto soccorso, dove, con nostro stupore, i medici non sapevano come intervenire su un neonato ingessato: sotto nostra responsabilità abbiamo dovuto segnare con una matita dove tagliare il gesso e la bambina è rimasta ferita al piede destro.

Infine il dottore ci ha detto che il piede sinistro era corretto, ma il destro andava sicuramente operato, malgrado per tutto il periodo di applicazione dei gessi si fosse meravigliato che i piedini di Elena, nonostante la gravità, fossero morbidi “come pongo”.

Solo a operazione conclusa, il dottore ci informa di essere intervenuto anche sul piede sinistro, “così, per precauzione“… Gli abbiamo chiesto di darci qualche informazione in più sull’intervento eseguito, ma lui ha risposto con un seccato: “Ma lei è medico?”. Quindi altro ricovero di due notti, sempre senza letto e in stanza con sei anziani.

Dopo tre settimane il dottore cambia i gessi postoperatori: quello sul piede destro era completamente in equino (con le punte in giù) e non ci sembrava affatto nella posizione corretta, ma noi “non siamo medici”… Elena al posto del tallone presentava una rientranza e le cicatrici, che dovevano essere solo di pochi millimetri, erano invece lunghe diversi centimetri, malgrado la bimba avesse appena 4 mesi. Le cicatrici in generale deformano e rendono rigido il piede, in più quelle erano irregolari (soprattutto quella sul piede destro, che andava a “zig zag”).

Quando il dottore ha tolto i gessi dopo due mesi, il piede destro, ovviamente, era completamente equino, ma il dottore ha ugualmente prescritto il tutore Dennis Brown, con una scarpina rigida che non si adattava al piede ed era impossibile da infilare con il piede così conciato. Non ci è stato mai spiegato come regolare la larghezza della barra, quanto e come usarla; alla fine ci ha pensato la nostra fisioterapista a sistemarla, dopo giorni di pianti della bambina perché il dottore l’aveva allargata troppo…

Dopo un mese di sofferenze, notti insonni e pianti, abbiamo abbandonato il tutore, comunque inutilizzabile con il piede destro che usciva dalla scarpa dopo due minuti dall’applicazione, e abbiamo iniziato i bendaggi funzionali una volta a settimana a Mestre; inoltre facevamo fisioterapia sempre a Padova, in un’altra struttura.

Dai primi di settembre 2005 sono così iniziati quasi sei anni di bendaggi funzionali e terapie che hanno ridotto in parte l’equinismo, grazie anche alla buona flessibilità del piede. Mentre tutti gli altri bimbi curati insieme a noi dal dottore di Padova sono stati operati almeno due o tre volte, noi almeno, con i bendaggi, abbiamo evitato che la situazione peggiorasse.

I controlli li facevamo sia a Mestre che a Padova, sentendoci dire da entrambi i dottori che andava benissimo. Il dottore di Padova, dopo le estenuanti attese in sala d’aspetto, riduce le visite di Elena ad una semplice dorsiflessione del piede, da seduta, senza mai averla vista in piedi o camminare. Naturalmente prescrive scarpe ortopediche fatte su misura, rigidissime. Anche per il medico di Mestre va tutto bene, ma almeno ha modi gentili, le visite sono accurate ed è contrario alle scarpe correttive.

Per sentire altri pareri abbiamo portato Elena anche a Bologna, dove il dottore, dopo una visita privata durata forse 4 minuti (aveva due studi adiacenti dove alternava le visite e il guadagno), ci ha consigliato una tenotomia bilaterale, aggiungendo che il tallone era alto e che la bambina non avrebbe mai camminato. Alle nostre perplessità ha prescritto i raggi per confermare quando detto e, dopo aver visto i risultati, ha dovuto modificare l’errata diagnosi. Nel frattempo, alla faccia di questi camici bianchi da 130 euro a visita, nel maggio 2006 Elena inizia a camminare! 

A gennaio 2009 facciamo una nuova visita a Bologna, questa volta con una dottoressa più professionale e gentile, che ci ha consigliato l’intervento di transfer tibiale per entrambi i piedi, da eseguirsi in due momenti successivi, con una immobilizzazione quindi di ben due mesi e mezzo, e per giunta in estate! Le operazioni erano in programma un anno e mezzo dopo, senza ulteriori visite e senza considerare la crescita di una bimba di soli quattro anni. L’istinto ci ha suggerito, a quel punto, di annullare senz’altro l’intervento.

Finalmente, dopo aver trovato su internet il gruppo di Yahoo e aver letto le testimonianze di nonno Matteo e dei genitori, ci siamo messi in moto per conoscere il dottor Monforte a Milano. Il 18 settembre 2010 abbiamo avuto la prima visita e ci ha confermato che il transfer programmato a Bologna sarebbe stato inutile, senza correggere prima i piedi con un ciclo di gessi.

Il 20 ottobre 2010 abbiamo iniziato con i gessi di Monforte, le prime due settimane fino all’inguine e le due successive sotto al ginocchio. Per tutto il ciclo Elena è rimasta immobilizzata su sedia a rotelle, perché ormai aveva 5 anni e mezzo, era alta e con fisico robusto, e sarebbe stato impossibile usare un passeggino. Ancora una volta i piedi della bimba erano morbidissimi e il dottore ha deciso di sospendere l’applicazione dei gessi 15 giorni prima del previsto. Ci è voluto poi un mese di fisioterapie e massaggi per riprendere a camminare. Comunque l’Ospedale Buzzi e il dottor Monforte sono molto organizzati e fanno di tutto per rendere esperienze del genere il meno traumatiche possibile.

Il dottore ha poi prescritto di portare di notte per 8 mesi il tutore Mitchell con la barra mobile Dobbs, che Elena ha indossato senza grossi problemi.

I piedi sembravano finalmente corretti e a settembre 2011 Monforte ha deciso di fare il transfer tibiale al piede sinistro, seguito da 35 giorni di gessi postoperatori, passati ancora su sedia a rotelle. Dopo un mese di fisioterapie la bambina camminava bene e non sembrava necessario operare anche il piede destro. Nei mesi successivi, però, Elena cresceva velocemente e aumentava sempre più l’equinismo; con la fisioterapia la situazione migliorava, ma, non appena la sospendevamo, di nuovo regrediva.

Dunque il 13 gennaio 2013, su consiglio dello stesso dottor Monforte, siamo andati a Barcellona dalla dottoressa Ey Batlle, specializzata in bambini grandicelli, che ci ha confermato il buon esito dell’operazione eseguita a Milano. È invece inorridita alla vista delle vistose cicatrici deformanti, ormai lunghe 20 centimetri, conseguenti all’intervento eseguito a Padova.

Ci ha proposto come soluzione di eseguire in un unico momento tenotomia e fasciotomia ad entrambi i piedi, e il transfer tibiale al destro: l’operazione sarebbe stata al 100% definitiva e avrebbe garantito ad Elena di avere finalmente dei piedi nuovi uguali a quelli degli altri bimbi.

Il 15 marzo 2013 siamo in ambulatorio a Barcellona per il gesso preparatorio e dopo tre giorni torniamo per l’intervento. Dopo circa due ore la dottoressa ci fa chiamare e ci comunica raggiante che l’operazione è andata benissimo, oltre le previsioni: Elena ora ha circa 15 gradi di dorsiflessione, il piede sinistro è perfetto e il destro quasi!

Dopo neanche una settimana, con i gessi bassi in vetroresina, Elena poteva già camminare, prima con l’aiuto di un girello e dopo pochi giorni senza. Niente sedia a rotelle: a dieci giorni dall’intervento già ballava e giocava a palla!