Catalogna, la storia della Spagna alle origini della secessione e le illusioni italiane

di Pino Nicotri
Pubblicato il 6 Novembre 2017 - 08:41| Aggiornato il 31 Marzo 2020 OLTRE 6 MESI FA
carlos-puigdemont-ansa

Carlos Puigdemont, leader degli indipendentisti catalani (foto Ansa)

La forzatura secessionista di Charles Puigdemont in Catalogna, la sua fuga in Belgio e il complicarsi della situazione con 7 arresti di ex ministri catalani e il mandato di cattura europeo per lo stesso fuggiasco, stanno sollevando entusiasmi e speranze più che tra i leghisti lombardi e veneti, animati solo dalla volontà di un maggiore potere locale e di un aumento delle attribuzioni per le loro regioni, soprattutto tra gli antieuropeisti forse non solo italiani. Molti dei quali visto che è fuggito in Belgio già sperano che l’ex premier catalano inciti i fiamminghi a separarsi dai valloni. Entusiasmi e speranze anche tra anarchici, libertari e comunisti duri e puri, che sentono il richiamo della foresta ringalluzziti all’idea che la miccia accesa dal catalano in fuga –  nel cui molto variegato governo catalano figura anche il  partito marxista Candidatura di Unità Popolare (CUP) – faccia finalmente esplodere la rivoluzione contro l’odiata

 “nuova dittatura finanziaria e classista dell’èlite oligarchica che governa a proprio vantaggio il nuovo ordine mondiale”

compresa ovviamente la Comunità Europa. Che anzi, essendo una Comunità, subisce più direttamente tale “nuova dittatura”.

Che si tratti di una dittatura lo sostengono con foga anche pensatori ancora poco noti, se non in talk show televisivi, come il giovane filosofo Diego Fusaro. Giovane e già bersaglio sia de Il Foglio, per il quale è

 “l’intellettuale perfetto per Lega e M5S”,

che de L’Espresso con un articolo dal titolo più che esplicito:

 “Salvateci da Diego Fusaro, il filosofo 
da talk show”.

Insomma, i leghisti si sono dimenticati dello slogan del loro padre fondatore Umberto Bossi, che una ventina d’anni fa gridava “Faremo come la Catalogna”, ma in compenso gli orfani e i nostalgici delle nobilissime intenzioni politiche di “liberazione del proletariato” e della “fine dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo” vedono Puigdemont, nonostante la sua pettinatura alla Beppe Severgnini, come la corazzata Potiomkin: che apre cioè il fuoco sul Palazzo d’Inverno! E che fa  garrire di nuovo le stanche e spesso ammainate bandiere rosse oltre a quelle nere degli anarchici.

Il vasto web si va popolando infatti di siti e discorsi che annunciano la morte della democrazia in Spagna e la sua trasformazione in dittatura, con scenari conseguenti riguardanti anche l’Europa. Un paio di esempi:

 – “Pensi di vivere in una democrazia? Allora non guardare questo video“.

Emblematico quanto ha scritto sulla sua pagina Facebook l’ex dirigente sindacalista della CGIL Giorgio Cremaschi e quanto ha dichiarato il sindaco di Napoli Luigi De Magistris, che ha il 2 ottobre voluto anche esporre la bandiera catalana nella facciata del Comune.

CREMASCHI – Presidente dal 2010 al 2012 del Comitato Centrale della Federazione Italiana degli Operai Metalmeccanici (FIOM), ramo della CGIL, il sindacato nazionale social comunista, Cremaschi dopo 44 anni di militanza battagliera lo ha abbandonato nel settembre 2015 in antagonismo con Susanna Camusso e spiegando il perché:  “Oramai mi sento totalmente estraneo a ciò che realmente è questa organizzazione e non sono in grado minimamente di fare sì che essa cambi”.

Ecco alcune affermazioni di Cremaschi sulla “secessione”  catalana:

 “Omaggio al coraggio di un popolo che oggi sfida il Re franchista, il governo reazionario di Rajoy, Ciudadanos, PSOE, l’Unione Europea, gli USA, le banche, le multinazionali, le grandi imprese. Quella catalana è stata presentata come la secessione dei ricchi, ma i ricchi catalani stanno con Rajoy e hanno già trasferito altrove le loro sedi. […] La grande borghesia catalana ha abbandonato la partita indipendentista che giocava solo per migliorare gli affari ed è rimasto il popolo. Che oramai sa benissimo che l’indipendenza è un processo di liberazione duro e difficile. Sa altrettanto bene che non riceverà aiuti dagli esportatori di democrazia e diritti umani, che staranno tutti con Rajoy. Sa che non ci sarà una NATO che intervenga a suo favore distruggendo il diritto internazionale, come fecero Clinton e D’Alema per il Kosovo.

[…] Il coraggio del popolo catalano ora avrà di fronte il peggio del potere spagnolo, che si appresta a cancellare la democrazia. Non succedeva, in una parte d’Europa vicinissima a noi, da cinquant’anni, da quando i colonnelli fecero il golpe in Grecia. Se, anche col nostro sostegno, quel popolo reggerà, sarà la gabbia autoritaria di Spagna e Unione Europea che comincerà a crollare. Il popolo catalano deve vincere, per sé stesso e per tutti noi. Viva la Repubblica”.

DE MAGISTRIS – “Il desiderio e l’urgenza di sovranità dei popoli europei e del popolo catalano non possono essere repressi nella violenza tantomeno può ricevere dalle istituzioni e dalle cancellerie europee reazioni di assordante mutismo, le quali inconsapevolmente legittimano l’ingiustificata violenza contro quella che con ogni probabilità verrà ricordata come la più grande mobilitazione pacifica e partecipativa del nostro continente fin dalla nascita delle proprie istituzioni comunitarie. Napoli esprime empatia e vicinanza ad uno dei popoli più cosmopoliti ed europeisti del nostro continente. Un popolo che chiede sovranità perché cosciente che l’Europa può e deve essere costruita con i suoi popoli e non contro di essi. Ogni lingua e ogni cultura mediterranea è un arnese di pace indispensabile per la convivenza dei popoli d’Europa e del Mediterraneo. Palazzo San Giacomo esporrà sulla propria facciata la bandiera del popolo catalano, la bandiera di un popolo fratello ed amico“.

De Magistris si è dimenticato di dire, forse perché lo ignora, che si tratta della bandiera del fu regno di Napoli. Ma proseguiamo.

Fermo restando che in qualunque Paese del mondo sono sempre legittime le aspettative e le aspirazioni di indipendenza di una parte della propria popolazione, in questo caso si tratta di una parte dei catalani, resta il fatto certo che Puigdemoint e i suoi hanno forzato la situazione in più punti, minando così alla base sia il referendum indipendentista sia la credibilità degli “irredentisti” che l’hanno voluto sia, infine, la chiarezza di quello che vogliono, cioè dei loro obiettivi reali. Tanto che anche la vicenda innescata da Puigdemont&C viene ormai indicata in Spagna, Catalogna compresa, come un altro  “giorno della marmotta catalana”. “El día de la marmota catalán” è un’espressione che  citando il film “Ricomincio da capo”, ambientato in Pennsylvania,  viene utilizzata per ironizzare sul fatto che quasi ogni giorno gli indipendentisti quando si svegliano ed escono annunciano che presto faranno un grande annuncio. In un anno imprecisato, per il protagonista del film, un meteorologo, a partire dal 2 febbraio, festeggiato negli Usa e in Canadà come “il giorno della marmotta”, il tempo si arresta e ogni mattina successiva il meteorologo si ritrova bloccato nello stesso giorno.

– IL PRIMO PUNTO è che il referendum è indiscutibilmente illegale a fronte della Costituzione spagnola. Checché ne dicano i suoi  promotori, il provvedimento scaturito da referendum catalano del resta una legge locale. Anche se è stato approvato dal governo di una regione con notevole  autonomia legislativa, pretende evidentemente di superare la stessa  Costituzione spagnola. La Costituzione cioè dell’intera Spagna e quindi anche della Catalogna: un assurdo giurisprudenziale che mina  oltre alla legittimità anche la credibilità dello stesso referendum.

Più prudente invece il referendum del 9 novembre 2014, quando il governo catalano presieduto da Artur Mas poneva sulla scheda due domande (in catalano e in castigliano) sulla “Consultazione sul futuro politico della Catalogna”. Le domande erano:

1) “Vuole che la Catalogna sia uno Stato?”

2) e “In caso affermativo, vuole che la Catalogna sia uno Stato indipendente?”.

Era cioè consentito esprimersi sia a chi voleva uno statuto diverso dalla creazione di uno Stato indipendente dalla Spagna, puntando a  modelli federalisti o di Libero Stato Associato come Porto Rico e per certi versi l’isola di Guam, sia a chi voleva direttamente l’indipendenza della Catalogna. Puigdemont invece lo scorso giugno ha convocato per ottobre un “Referendum di autodeterminazione della Catalogna”  con un’unica domanda: “Vuole che la Catalogna sia uno Stato indipendente in forma di repubblica?”. Il referendum (che ha visto la partecipazione di 720 dei 947 municipi catalani contro i 942 del referendum del 2014)proponeva quindi l’istituzione della Repubblica quando in Spagna, Catalogna compresa, c’è la monarchia! Più eversione di così…

Inevitabile quindi la reazione giudiziaria, compresi i mandati di cattura per sedizione: perché é lapalissiano che di sedizione si tratta. Pacifica, ma sedizione. Forse Puigdemont&C puntano a drammatizzare la situazione passando per martiri e poiché il ricorso alle armi è impensabile forse puntano alla secessione  diventando dei Gandhi catalani.

IL SECONDO PUNTO è che  Puigdemont&C mentre parlavano di autodeterminazione, concetto già di per sé ardito stando la definizione che ne dà l’ONU, parlavano anche di indipendenza e agivano di conseguenza.  Il diritto internazionale però per “autodeterminazione” intende il diritto alla partecipazione democratica  alla vita politica di un Paese, alla vita delle relative istituzioni, il diritto cioè di ogni persona di potersi realizzare in quanto “cittadino” del proprio Paese. Non è affatto previsto automaticamente il diritto alla nascita di un nuovo Stato tramite, come nel caso catalano, la pur confusa “secessione/indipendenza”. Tale diritto viene riconosciuto dalla giurisprudenza internazionale solo in presenza di ben precise condizioni, come per esempio le violazioni dei diritti umani, l’apartheid, la dominazione coloniale, la conquista e oppressione tramite invasione militare, ecc. Tutte realtà che in Catalogna NON esistono. Ciò significa, si noti bene, che se davvero la Catalogna dopo il referendum avesse dichiarato l’indipendenza, come pare ma non è chiarissimo, avrebbe violato le leggi internazionali! Con il conseguente ovvio e doveroso isolamento internazionale.

Puigdemont si è stranamente illuso quando ha detto che la dichiarazione di indipendenza/secessione della sua Regione autonoma avrebbe condotto a un dialogo con Madrid per rendere il processo di indipendenza “più democratico”. Se voleva fare il referendum e poi intavolare trattative con il governo centrale avrebbe dovuto limitarsi a mantenere la natura consultiva del referendum evitando di trasformarlo in “legge” con il voto del parlamento.

C’è solo da sperare che Madrid anziché limitarsi all’intervento, pur legittimo, della magistratura abbia l’intelligenza politica di disinnescare eventuali deflagrazioni concedendo almeno l’adozione della lingua catalana come altra lingua ufficiale della Spagna, ponendo fine al monopolio della lingua castigliana diventata la lingua spagnola ufficiale. Sarebbe una mossa non solo giusta, ma anche utile soprattutto in caso di vittoria degli indipendentisti alle elezioni convocate da Madrid già per dicembre, cioè ad animi ancora bollenti ed esacerbati dai mandati di cattura per i 7 ministri destituiti d’autorità e per lo stesso Puigdemont

UN PO’ DI STORIA

L’assurdo è che il contrasto tra Catalogna e governo centrale, compreso il contrasto linguistico, è una conseguenza della stessa nascita della Spagna, le cui basi sono state poste in buona sostanza dal matrimonio nel 1469 dei “re cattolicissimi” Isabella di Castiglia e Leon, regni affacciati sull’Atlantico,  e Ferdinando Alfonso d’Aragona e del Principato di Catalogna, regno affacciato invece sul Mediterraneo. Gli aragonesi, cioè i catalani, hanno avuto una storia  e un regno notevoli nell’area mediterranea,  come attesta il fatto che la “senyera” (señera in spagnolo) – cioè la bandiera catalana formata da quattro fasce rosse su campo dorato – dopo essere stata ripresa in regni e regioni anche francesi e italiane, regno di Napoli e  regno di Sicilia compresi – figurava nel dopoguerra in quella degli indipendentisti siciliani e la si vede ancora oggi nella bandiera della Sardegna.

L’impero aragonese, che prese forma nel 1134 ed è vissuto fino al 1715, arrivò a comprendere i regni di Maiorca, Valencia, Napoli, Sicilia, Sardegna, la contea di Provenza e i ducati di Atene e Neopatria.

Con la “scoperta” dell’America però i traffici navali e le rotte del Mediterraneo hanno perso importanza rispetto i traffici e le rotte atlantiche, determinando così da una parte la fortuna dei regni affacciati sull’Atlantico, come quello di Castiglia e Leon e del Portogallo, e dall’altra il declino di potenze come Venezia, le repubbliche marinare italiane e la stessa Catalogna. L’orgoglio nazionale dei catalani è però rimasto intatto, con un velo di risentimento per la maggiore fortuna castigliana, che ha anche imposto la propria lingua come lingua ufficiale dell’intera Spagna. La Catalogna in passato si è già ribellata più volte, famosa la rivolta del 1640 detta dei Segadors, cioè dei mietitori, contadini, contro i saccheggi castigliani per finanziare la Guerra dei 30 anni. Il 27 ottobre, dopo la votazione del parlamento catalano per l’autodeterminazione, Puigdemont e i 72 deputati rimasti con lui hanno cantato non a caso l’inno Els Segadors.

Con la Guerra di Successione (dopo la quale la Spagna ha perso la supremazia atlantica strappatale dalla Gran Bretagna) la Catalogna ha visto anche la distruzione di Barcellona nel 1714. Perse le colonie dopo avere perso la guerra con gli Stati Uniti del 1898, per la Spagna inizia un periodo di gravi difficoltà e disordini sociali. Il 14 aprile 1931 parte per l’esilio il reAlfonso XIII di Borbone a causa della vittoria dei repubblicani alle elezioni municipali (quelle generali si tennero tre volte, il 28 giugno 1931, il 19 novembre 1933  e il 23 gennaio 1936, seguite dalla guerra civile conclusa il 1° aprile 1939 con la presa del potere del generale Francisco Franco) e nello stesso giorno viene proclamata sia la Seconda Repubblica Spagnola sia la Repubblica catalana sia pure come “Stato integrante della Federazione Iberica”.  Dopo solo tre giorni, il 17 aprile, la Catalogna rinunciò all’indipendenza in cambio del progetto di Statuto di Autonomia, con la creazione della Generalitat di Catalunya e del Govern, le istituzioni per l’autogoverno presieduta da Puigdemont, e il riconoscimento della lingua catalana come sua lingua ufficiale.

Il 6 ottobre 1934 a seguito di sommovimenti dei lavoratori e di una sorta di Rivoluzione d’Ottobre locale viene dichiarata la creazione dello Stato Catalano, sempre come parte integrante della Repubblica Federale Spagnola. La Generalitat viene però bombardata dal governo centrale lo stesso giorno, il suo presidente Lluís Companys e tutti i ministri del Govern finiscono in carcere condannati a 30 anni di detenzione e l’autonomia resterà sospesa fino alla vittoria del Fronte Popolare nel 1936, anno in Companys tornerà alla presidenza della Generalitat.

Con la Spagna di Francisco Franco lo Statuto di Autonomia venne cancellato e la lingua catalana dichiarata illegale. Nel 1979, ispirandosi in parte a quello del 1931, è stato varato lo Statuto di Autonomia della Catalogna – detto Statuto di Sau dal nome della località dove si riunirono i politici per deciderne la nascita – modificato con il referendum del 18 giugno 2006, del quale nel 2010 il Tribunale Costituzionale Spagnolo ha annullato vari articoli, suscitando manifestazioni di protesta a Barcellona il 10 luglio dello stesso anno.

E ADESSO?

E adesso tutto si gioca con le elezioni catalane indette da Madrid per il 21 dicembre. Se dovessero stravincere gli indipendentisti duri e puri sarebbe inevitabile la nascita dello Stato catalano, con il rischio di imitazione da parte di altre regioni della Spagna, che si dissolverebbe, e l’inevitabile voler fare altrettanto da parte di leghisti e indipendentisti italiani ed europei, che già stanno sognando ad occhi aperti la dissoluzione dell’Europa degli Stati, cioè dell’Europa e della Comunità Europea come l’abbiamo conosciute fino a oggi per sostituirla con “L’Europa dei popoli” o “Europa delle patrie” vagheggiata a suo tempo dal maresciallo Charles De Gaulle. Come se l’Europa dei popoli e delle patrie non sia stata per secoli teatro di scannamenti e massacri reciproci tra popoli e patrie. E  come se non sia stata soggetta a poteri comunque oppressivi dei popoli e delle patrie.

A questi sognatori a occhi aperti bisogna aggiungere gli entusiasti che sentono il richiamo della foresta sognando la fine della “nuova dittatura finanziaria e classista dell’èlite oligarchica che governa a proprio vantaggio il nuovo ordine mondiale”.

Chi vivrà, vedrà.