Cimitero teutonico. Se nella tomba dell’anonimo ci fosse un po’ di Dna di una Orlandi?

di Pino Nicotri
Pubblicato il 11 Marzo 2019 - 07:11 OLTRE 6 MESI FA
Cimitero teutonico. Se nella tomba dell'anonimo ci fosse un po' di Dna di una Orlandi?

Cimitero teutonico. Se nella tomba dell’anonimo ci fosse un po’ di Dna di una Orlandi? Nella foto di Marco Fassoni Accetti: suonatore di piffero

ROMA – La solita manina per un’altra polpetta avvelenata, questa volta dentro una tomba del cimitero teutonico? In Vaticano non lo escludono, motivo per cui sono in corso una serie di controlli per non essere colti di sorpresa. Vediamo come stanno le cose e come potrebbero stare.

1) – Comiciamo col dire che balza agli occhi un’incongruenza se è vero che l’ultima, per ora, lettera anonima ricevuta da Pietro Orlandi contiene la foto di una ben precisa tomba del cimitero teutonico del Vaticano e la scritta “cercate dove indica l’angelo”.

Nelle foto in circolazione a corredo di questa nuova tappa del mistero che quasi 40 anni avvolge la scomparsa di Emanuela Orlandi di angeli se ne vedono infatti due, vicini tra loro e ognuno fa parte di una tomba.

Una è molto semplice, spoglia, sporge una ventina di centimetri  dal terreno, ed è ai piedi di un angelo che a dire il vero non guarda da nessuna parte perché ha la testa reclinata sul petto, semmai si direbbe che si guarda i piedi. Con le braccia distese lungo il corpo regge una lapide con scritto “Requiescat in pace”.

Ai piedi di questo angelo c’è la tomba chiusa da una lastra di pietra con scolpita una dedica alla principessa Joana Sofia de Hohenlohe-Langemburgo, morta nel 1743, e al suo discendente per parte di madre principe e cardinale Gustav Adolf von Hohenlohe-Schillingsfürst, deceduto a Roma il 30 ottobre 1896.

Suggerire di cercare “dove indica l’angelo” è suggestivo, ma non ha senso, visto anche che a quanto pare la lettera anonima conteneva la foto proprio di questa tomba: quindi è ovvio che se c’è qualcosa da cercare la si deve cercare in quella sepoltura e non altrove, non c’è bisogno di nessun angelo per capirlo.

2) – L’altra tomba invece è monumentale, un sarcofago di marmo alto forse un po’ meno di un metro, e si trova ai piedi di un angelo che guarda avanti e col braccio sinistro alzato indica il cielo. E’ la tomba di Carlotta Federica di Meclemburgo-Schwerin, madre del re dei danesi Federico VII, morta a Roma il 13 luglio  1840.

Qui l’espressione “dove indica l’angelo” avrebbe un senso, ma poiché indica il cielo è evidente che cercare in cielo non significa niente. A meno che si voglia dire che Emanuela è in cielo, cioè che è morta, cosa peraltro ormai ovvia da decenni: anche qui, non c’è bisogno di nessun angelo per capirlo.

Da notare inoltre che se è vera la voce giunta a Pietro Orlandi e al suo avvocato che quasi ogni mattina c’è chi lascia accesi dei lumini rossi per ricordare Emanuela, delle due tombe in questione quella monumentale è la sola ad avere un lumino rosso. Il tutto quindi sembra una sciarada senza soluzione perché priva di senso.

3) – C’è però un particolare che vale la pena rilevare e che suscita perplessità se non un pizzico di allarme. La tomba degli Hohenlohe è coperta da una lastra spessa si direbbe di più o meno 3 centimetri, quindi pesante meno di un paio di quintali (e non due tonnellate come era stato riferito in un primo tempo).

Per sollevarla di qualche centimetro di lato basta una semplice robusta leva di metallo, per esempio il classico piede di porco. Intendo dire per sollevarla quanto basta per buttarci dentro non un cadavere, ma qualcos’altro di molto più piccolo e vedremo poi di cosa potrebbe eventualmente trattarsi. La perplessità, se non il pizzico di allarme, cresce alla notizia che secondo l’avvocato Laura Sgrò la lastra pare sia stata sollevata almeno una volta, non si sa se del tutto o in parte. Per fare cosa? Forse quello che diremo tra poco.

3 bis) – Piccola parentesi: l’avvocato Sgrò ha dichiarato più volte che “sono state condotte indagini difensive” grazie alle quali tra l’altro è stato appurato che la tomba è stata aperta. “Indagini difensive” svolte nel cimitero teutonico, cioè in territorio vaticano e non italiano.

Ma la Cassazione ha specificato più volte che non è possibile svolgere investigazioni difensive all’estero se non tramite rogatorie, e le rogatorie le possono fare  solo il pubblico ministero e il giudice per le indagini preliminari: MAI un avvocato. Perciò anche qui qualcosa NON quadra. Ma procediamo.

4) – Nell’estate del 2015 la bara della zia di Emanuela, cioè di Anna Orlandi, sepolta nell’edificio funerario del Vaticano ospitato nel cimitero comunale del Verano, si spaccò forse per il caldo o forse per difetto di costruzione: sta di fatto che dal “fornetto” al piano terra della parete nella quale era stata inserita – affianco ad altre bare di cittadini vaticani – ne fuoruscirono vistosamente liquami organici. Il personale addetto dovette intervenire, risistemando anche la salma, ma per vari giorni il loculo che ospitava la bara rimase aperto, con i liquami in bella vista. Nel frattempo la lastra di marmo a chiusura del “fornetto”, con scolpiti il nome e cognome delle defunta, restò poggiata in terra. Chiamato d’urgenza a Roma da chi aveva notato e fotografato il tutto, scattai anch’io qualche foto: l’edificio funerario proprietà del Vaticano era infatti aperto al pubblico.  

5) – Quando si è verificata la rottura della bara della zia Anna correva l’anno 2015, mesi estivi. Periodo nel quale  per il cimitero del Verano si aggirava il famoso Marco Fassoni Accetti – il reo confesso fasullo dei “rapimenti” di Emanuela e di Mirella Gregori. Vi si aggirava per insistere con i magistrati perché ordinassero un sopralluogo nella bara di Katty Skerl, ragazza uccisa nell’84, anno successivo alla scomparsa di Emanuela. Fassoni Accetti, che come prova della bontà delle sue “rivelazioni” aveva portato in dono il “flauto di Emanuela” a “Chi l’ha visto?” e in tribunale, aveva “confessato” di avere organizzato il doppio rapimento per conto di una fazione vaticana che voleva servirsene per screditare la fazione avversa, anch’essa vaticana, e che la scomparsa delle ragazze, consenzienti, sarebbe dovuta durare solo qualche giorno. Questa volta, estate 2015, il “pentito” pretendeva l’apertura della bara – oggi è ormai una mania diffusa –  per provare che la salma era stata trafugata “per farne sparire la camicetta di Katty con l’etichetta di un negozio di via Frattina”. Come prova del trafugamento della salma Fassoni Accetti indicava il fatto che nelle sue visite al cimitero aveva notato come il “fornetto” in cui era inserita la sua bara apparisse rotto e con lo stucco manomesso.

A dare man forte alla richiesta di apertura della bara si impegnò con vari articoli e una serie di interventi su Facebook, oltre che con controlli de visu al Verano, il giornalista del Corriere della Sera Fabrizio Peronaci. I suoi articoli restarono nelle pagine locali del Corriere, lo stesso Corriere che nei giorni scorsi ha invece aperto le danze sparando subito in prima pagina la faccenda del cimitero teutonico.

5 bis) – Lo scatenato “reo confesso” era infuriato perché i magistrati la sua “confessione” del doppio rapimento l’avevano liquidata come parto di un mitomane. “Dovranno ricredersi!”, giurò più volte Accetti. E per farli ricredere annunciò novità clamorose sull’uccisione di Katty Skerl, delitto da lui già addebitato nelle sue “confessioni” alla “fazione avversa”.

Secondo la sua nuova “confessione”, Accetti aveva avvisato già nel 2005 la sua “fazione” che intendeva andare dai magistrati a vuotare il sacco sul delitto Skerl, e che come prova avrebbe indicato perfino l’etichetta, di un negozio di via Frattina, della camicetta della defunta. E così la “fazione”, terrorizzata all’idea delle possibili implicazioni, sarebbe corsa a rubare i resti della Skerl per farne sparire la camicetta…

CONCLUSIONE 

6) – In quel periodo chiunque avrebbe potuto se non prelevare pezzi dei resti della zia Anna almeno intingere nei suoi liquami un capo d’abbigliamento – magari un’altra camicetta – per andarlo a sistemare da qualche parte: per esempio,  nel cimitero interno al Vaticano, quello appunto teutonico perché accessibile ai visitatori.

Con un buon piede di porco chiunque avrebbe potuto sollevare la lastra della tomba Hohenlohe  quel tanto che basta per infilarci dentro quanto prelevato o intriso al Verano, contaminando così i resti del principe e cardinale tedesco. Grazie a una tale contaminazione un domani le analisi del DNA avrebbero potuto dimostare, se la buonanima di Anna era davvero zia di Emanuela, che in quella sepoltura c’è stato anche qualcuno col Dna compatibile con quello degli Orlandi.

Nella sepoltura targata Hohenlohe un pezzo di stoffa o una camicetta intrisa al Verano la si può infilare facilmente. E poi magari anche tirarla via con tutto comodo a contaminazione “ambientale” sicuramente avvenuta, in modo che dell’oggetto introdotto  non resti traccia alcuna. Inoltre, non trattandosi di ossa, ma solo di liquidi organici, c’è il vantaggio che eventuali controlli  non possono dimostrarne l’appartenenza a una donna 80enne anziché 15enne.

A contaminazione avvenuta e a prove fatte sparire, non resta che spedire un’altra lettera anonima, questa volta a Pietro e al suo avvocato: et voilà le jeux sont fait!

6 bis) – Insomma, se sul “flauto di Emanuela” non è stato possibile rinvenire tracce di Dna orlandiano, questa volta invece il Dna ci sarebbe. Una bella rivincita, un bluff geniale di grande soddisfazione. 

POST SCRIPTUM

7 a) – La dimestichezza di Fassoni Accetti con cimiteri, bare et similia è documentata in modo incontrovertibile dalla sua stessa produzione artistica di fotografo e regista di filmini amatoriali.

7 bis) – Anche in tema di scrittura di lettere anonime pare che il “reo confesso” abbia una certa non totale ignoranza, almeno stando alla perizia condotta dalla grafologa Sara Cordella confrontando una lettera anonima del 2013 con due lettere scritte da Fassoni Accetti negli anni ’80. 

8) – Sia ben chiaro: NON stiamo indicando nessuna pista né accusando nessuno. Abbiamo solo elencato dei fatti. E paventato – ripeto: paventato, non affermato – una ipotesi che per quanto fantasiosa è anche per la Segreteria di Stato vaticana, che non la esclude, certamente molto più realistica  delle mille fanfaluche rifilate fino ad oggi da chi ha ridotto la tragedia e il mistero Orlandi a brand commerciale e discreto business mediatico.