Emanuela Orlandi: drogata e morta in mano a pedofili di rango molto alto?

di Pino Nicotri
Pubblicato il 14 Giugno 2012 - 09:41| Aggiornato il 31 Marzo 2015 OLTRE 6 MESI FA

L’unica pista che non è stata ancora almeno ufficialmente battuta nel caso di Emanuela Orlandi è quella della morte per una overdose di droga, durante un festino spinto un po’ troppo oltre i limiti. Si tratta della conclusione naturale dell’ipotesi-rivelazione dell’esorcista padre Gabriele Amorth, cui ha aderito anche Pietro Orlandi, fratello della ragazza sparita, una sera di giugno di quasi trent’anni fa e mai più ritrovata. Pietro Orlandi ha aderito a differenti ipotesi sulla scomparsa della sorella, anche contraddittorie fra loro ma non ha smentito la sua ultima convinzione, quella del delitto sessuale, attribuitagli dal Tg della 7.

L’esorcista padre Amorth, intervistato dalla Stampa, ha detto che secondo lui Emanuela Orlandi è stava vittima di un “delitto a sfondo sessuale”. Amorth ha anche citato l’archivista vaticano monsignor Simeone Duca, secondo il quale, a detta di Amorth, “venivano organizzati festini nei quali era coinvolto come “reclutatore di ragazze” anche un gendarme della Santa Sede”.

Merita ricordare il disappunto investigativo del sostituto procuratore generale Giovanni Malerba, titolare della pubblica accusa nel primo troncone dell’istruttoria sul caso, conclusosi nell’agosto 1997 con un nulla di fatto, per come era sfumata la pista che portava a Raoul Bonarelli, già numero due della sicurezza vaticana, prima chiamato in causa e poi scagionato dalla madre di Mirella Gregori, altra ragazza scomparsa, giusto un mese prima di Emanuela.i.

Può trattarsi, da parte di Amorth, di una rimasticatura di vecchie notizie: tutto è disponibile nei due libri da me scritti sul tema e anche nei documenti giudiziari ufficiali.

Però fino a oggi nessuno si era espresso così: “Ritengo che Emanuela sia finita vittima di quel giro. Non ho mai creduto alla pista internazionale, ho motivo di credere che si sia trattato di un caso di sfruttamento sessuale con conseguente omicidio poco dopo la scomparsa e occultamento del cadavere”.

Ultima bomba: “Nel giro era coinvolto anche personale diplomatico di un’ambasciata straniera presso la Santa Sede”.

Questo sembra anche quadrare con quanto mi ha scritto, ancora di recente, un ex carabiniere, Antonio Goglia, il quale, in mezzo a tesi di cui ho motivo di dubitare, conferma una rivelazione da me ricevuta anni fa che Emanuela sarebbe morta il giorno stesso della scomparsa, in salita Monte del Gallo, nei pressi del Vaticano, sulla collina che da via Gregorio VII porta alla stazione ferroviaria di San Pietro, una zona ad alta intensità di residenze religiose.

La tesi che la morte di Emanuela sia avvenuta quella stessa sera è sostenuta anche da dottor Malerba, secondo il quale tutti i presunti rapitori erano o depistatori o sciacalli.

Quello che si sta delineando, tra rivelazioni recenti, rilettura delle vecchie carte e esclusione di piste ormai incongrue, è un nuovo caso Montesi gestito però da mani più abili.

Il caso Montesi prese le mosse la mattina di sabato 11 aprile 1953, quando il manovale Fortunato Bettini, mentre faceva colazione sulla spiaggia di Torvajanica, a ovest di Roma, tra Ostia e Anzio, notò un cadavere, parzialmente vestito, senza scarpe, gonna, calze e reggicalze e gli abiti erano zuppi d’acqua. Era quello di una bella ragazza romana, Wilma Montesi.

Le indagini appurarono che non era stata uccisa, ma che era morta forse per congestione o sincope a causa di un bagno a mare notturno. Soprattutto fu appurato che la sera prima aveva partecipato a un festino molto spinto, qualcuno parlò di orgia, in una tenuta di Capocotta, e che tra i partecipanti c’era il figlio Piero, destinato a diventare un importante musicista, del ministro degli Esteri democristiano Attilio Piccioni. Ne nacquero scandali a catena e un lungo processo, il ministro fu costretto a dimettersi, la sua carriera politica venne stroncata e il figlio assolto. E’ evidente che se il cadavere della ragazza non fosse stato trovato lo scandalo politico non ci sarebbe stato.

Nel caso di Emanuela come in quello di Mirella, se di morte si è trattato, non si è trattato cadavere alcuno e quindi siamo in un aperto mare di ipotesi e congetture. Ma tutto si tiene e se si comincia a parlare apertamente di orge e di festini in cui queste povere ragazze sono state irretite, si deve anche cominciare a pensare che vi circolasse anche della droga. Oggi la droga costituisce un consumo quasi popolare, una volta era merce per le élites, ma erano anche tempi in cui i controlli erano meno severi e gli strumenti a disposizione delle forze dell’ordine erano più semplici di oggi. Chi aveva soldi se ne poteva procurare in quantità: se poi pensiamo che potevano esserci coinvolti diplomatici o alti prelati, la libertà di procacciamento e di movimento era massima.

Sento sussurrare da qualche settimana dell’ipotesi overdose. “C’è un uomo che prima di morire ha confessato a una donna che Emanuela è morta perché “pippava” (cocaina? eroina?) e una volta ha esagerato. Il suo cadavere è poi stato fatto sparire”: questa è infatti l’indiscrezione che circolava poco prima del botto “di Boston” e l’una cosa non esclude l’altra. Anche se appare da escludere che la Orlandi facesse abituale uso di droga, non è invece da escludere che ne facessero uso, e gliela facessero anche assumere, i suoi maturi seduttori. Può non esserci un collegamento ferreo tra il giro dei pedofili, americani o meno, e il cardinale Law citato dall’ex carabiniere Goglia. Ma certamente i gusti di chi sceglieva come preda ragazzine di 15 – 16 anni non si possono definire esattamente normali e sani, anzi sono molto contigui a quelli dei pedofili.

La scena potrebbe essere una di quelle “comitive di amici” frequentate con fin troppa libertà da Emanuela, come ebbe a dichiararmi l’avvocato Gennaro Egidio, legale degli Orlandi, nelle telefonate le cui registrazioni ho consegnato ai magistrati e che Blitz ha messo in rete pubblicandone anche la trascrizione.

Più che la sagrestia della basilica di don Vergari, la scena potrebbe però essere situata nella zona di via Monte del Gallo o dell’omonima Salita, zona a ridosso della Città di S. Pietro e affollata, oltre che di preti e prelati, anche di istituzioni, ritrovi, uffici e iniziative di vario tipo facenti capo al Vaticano. Mi dicono che nell’83 in quella zona vi avesse un ufficio anche uno stretto collaboratore di Wojtyla, in seguito caduto in disgrazia.

C’è da rilevare che l’ipotesi di una morte per droga nel corso di un festino è il logico punto di arrivo di una serie di “piste” fino ad oggi seguite dagli inquirenti e soprattutto dai mezzi di informazione:

– il “rapimento politico”, per scambiare Emanuela col terrorista turco Alì Agca, ipotesi che è stata scartata dalla magistratura inquirente  già 15 anni or sono; altrettanto poco credito è stato prestato alle altre ipotesi di rapimento come:

– il “rapimento della banda della Magliana”, per riavere i soldi prestati a papa Wojtyla per finanziare l’opposizione anticomunista nella natia Polonia;

– il “rapimento dei servizi segreti”, con annessa “pista di Londra” ed Emanuela “chiusa in un manicomio del centro londinese”;

– il “trasferimento nella reggia del Liechtenstein”, con dito puntato contro l’attuale principe regnante Hans Adam;

– la serie di piste che danno Emanuela viva o in Turchia o comunque in Oriente, dopo essere stata man mano avvistata a Bolzano, Parigi, Europa dell’Est, Mosul in Iraq….

– lo stupro con esito mortale opera dell’allora rettore della basilica di S. Apollinare, don Piero Vergari. Ipotesi lanciata da una lettera anonima dell’agosto 2008, ma presa di colpo in considerazione da Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, solo dopo il fallimento del blitz sui resti mortali di De Pedis. Il quale, secondo l’anonimo del 2008, avrebbe provveduto a togliere a don Vergari l’ingombro del cadavere;

– l’unica alternativa credibile al parallelo del caso Montesi è quella della “tratta delle bianche”, ipotizzata a suo tempo dalla buonanima del cardinale Silvio Oddi e che può trovare un sostegno anche nelle parole dell’avvocato Gennaro Egidio, legale degli Orlandi e della mamma di Mirella, quando, escludendo il rapimento, ha fatto riferimento alla irrequietezza tipica dell’età delle due ragazzine, che implica una particolare inclinazione a cadere vittime di raggiri e adescamenti; se fosse valida questa tesi, non sarebbero stati però solo due i casi come Emanuela e Mirella, nell’arco di tutti questi anni;

per concludere con le ultime che si sono incalzate in questa metà del 2012:

– il rito satanico sessuale con morte finale, ipotesi lanciata di recente da don Gabriele Amorth, noto anche come esosrcista ufficiale del Vaticano;

– le orge ad uso e consuno di diplomatici con ragazzine arruolate da una guardia svizzera d’Oltretevere, ipotesi anch’essa lanciata da Amorth;

– ultima in ordine di tempo, la “pista di Boston”, detta anche dei”preti pedofili”, varata il giorno 4 di questo mese di giugno dal Corriere della Sera.

Sono teorie che si intrecciano una con l’altra e trovano un riscontro complessivo con quella elaborata in questo articolo: ragazzine le cui fantasie adolescenziali le portano nella rete degli adescatori, entrano, ancora quasi bambine, nel wild side della vita degli adulti, intrappolate in giochi di uomini adulti, potenti, ricchi, corrotti e viziosi, pedofili, maniaci, satanisti e anche protetti dal rischio di scandalo dalla oggettiva complicità dell’istituzione, la Chiesa, da loro indegnamente oltraggiata.

Per l’eliminazione dell’eventuale cadavere di Emanuela e di Mirella, due casi andati a male, a un mese di distanza, forse per una partita di droga maledetta, non c’è solo, a mo’ di riflesso pavloviano, l’idea che vi abbiano provveduto Enrico De Pedis o i suoi amici della banda della Magliana. Non ha infatti pensato per nulla a loro Ercole Orlandi, padre di Emanuela, quando nel 2001-2002 mi ha detto che assieme all’avvocato Gennaro Egidio ha tenuto d’occhio per un pezzo l’auto, compreso il portabagaglio, dell’allora vice capo della Vigilanza vaticana, ingegner Raoul Bonarelli. Ripeto: non la banda della Magliana e il suo “capo” De Pedis, ma la Vigilanza vaticana e il suo vice capo Bonarelli.

Sono sospetti, come ho rilevato sopra, che quadrano con la denuncia anonima ma precisa di padre Amorth e quadrano anche con il pensiero, messo nero su bianco, della magistratura italiana. Peccato però che i magistrati di questi sospetti e verifiche tentate da Ercole ed Egidio non ne abbiano mai saputo nulla. Neppure quando, partendo da tutt’altra faccenda, quella di Mirella Gregori, hanno scoperto che Bonarelli, da loro convocato come testimone, aveva ricevuto dal Vaticano l’ordine di tacere e di tacere proprio riguardo la Orlandi. Motivo per cui venne indiziato del reato di concorso in sequestro di persona dal giudice istruttore Adele Rando. Poi la cosa cadde, per problemi legati al cambio della procedura penale proprio in quel periodo.

Intanto, la Procura della Repubblica di Roma ha dichiarato ufficialmente conclusa la lunga ispezione, condotta anche con l’uso di martelli pneumatici, nei sotterranei della basilica di S. Apolinare per appurare se oltre alla salma di Enrico De Pedis, ormai identificato, a torto o ragione, con il Dandy della saga di Romanzo criminale, nascondesse anche i resti della ragazza vaticana Emanuela Orlandi. La stessa Procura ha però specificato che “l’esito definitivo delle operazioni è atteso per la fine dell’estate con il deposito della consulenza tecnica disposta dall’ufficio”.

Anche se non è specificato quale sia l’oggetto della consulenza tecnica – ossa umane o reperti d’altro tipo? – tanto è bastato per ridar fiato alle ipotesi sul ritrovamento di “ossa umane di 30-40 anni fa”: modo indiretto per alludere alla possibilità che siano della Orlandi. La speranza dei colpevolisti si aggrappa al ritrovamento di 20-30 ossa, che a differenza di tutte le altre dei 600 defunti del vecchio cimitero sotterraneo non è stato possibile datare con certezza come antiche e che bisogna capire a quante persone siamo appartenute per poter dare a ciascuna la sua sepoltura. Il medico legale Cristina Cattaneo e i magistrati hanno ritenuto opportuno fare approfondire la questione alla polizia scientifica di Milano, che se ne occuperà con i tempi non brevi imposti anche dalle vacanze estive. Se necessario, i DNA di quel gruppo d’ossa verranno comparati non solo con il DNA degli Orlandi, ma anche con quello dei familiari di Mirella Gregori, la ragazza sparita tre settimane prima di Emanuela, scomparsa che si usa collegare a quella della ragazza vaticana. “Per eliminare eventuali dubbi residui, le comparazioni dei DNA siamo pronti a farle fare nei migliori laboratori degli Stati Uniti”, fanno sapere i magistrati, decisi a non lasciare nulla in sospeso e farla finita con le incertezze e i sospetti indebiti.