Emanuela Orlandi. Marco Fassoni Accetti: “Interrogate vescovo e cardinale”

di Pino Nicotri
Pubblicato il 8 Febbraio 2014 - 08:39 OLTRE 6 MESI FA
Emanuela Orlandi. Marco Fassoni Accetti: "Interrogate vescovo e cardinale"

Emanuela Orlandi. La sua scomparsa resterà un mistero per sempre?

Mistero Emanuela Orlandi: che fine hanno fatto i protagonisti dei fuochi d’artificio della primavera 2013? Primo fra tutti,“l’uomo del flauto di Emanuela Orlandi”, vale a dire il fotografo e piccolo regista indipendente romano Marco Fassoni Accetti, che si è auto accusato di essere “l’organizzatore della scomparsa” della ragazza. Scomparsa che avrebbe dovuto essere breve e che – sempre a dire di Marco Fassoni Accetti – lui aveva organizzato con il consenso sia di Emanuela Orland che dei suoi genitori.

A che punto è l’inchiesta giudiziaria e perché non è stata ancora chiusa nonostante l’assoluta mancanza di novità? Andiamo per ordine.

Visto che non è riuscito a dimostrare che il flauto fatto trovare a “Chi l’ha visto?” lo scorso aprile è davvero quello di Emanuela Orlandi, Marco Fassoni Accetti ha allargato lo scenario nel modo migliore per renderlo il più duraturo possibile pur restando sempre oltremodo inconsistente. Ha fatto chiedere dal suo legale, Maria Calisse, la testimonianza di due prelati vaticani: l’arcivescovo Pier Luigi Celata, attuale vice camerlengo della Camera Apostolica e il cardinale Audrys Backis.

La testimonizna del primo è stata chiesta per via del suo nome di battesimo, Pier Luigi, che a dire di Marco Fassoni Accetti ha ispirato il nome con il quale si è presentato il primo degli sconosciuti che hanno telefonato a casa Orlandi per parlare di Emanuela dopo la sua scomparsa. La testimonianza del secondo è stata invece chiesta perché Marco Fassoni Accetti sostiene sia stato negli anni ’80 il leader della “fazione” contraria alla linea ferreamente anticomunista dell’allora Papa Wojtyla. Papa che il 27 aprile dovrebbe essere dichiarato santo, motivo per cui è impossibile che il Vaticano acconsenta a indagini e interrogatori che in qualche modo riguardano il suo operato e l’ambiente che gli stava attorno, sia le “fazioni” amiche sia quelle nemiche.

Per poter eventualmente interrogare i due prelati, i magistrati italiani devono seguire la lunga trafila delle rogatorie internazionali. E tutta l’esperienza giudiziaria fino ad oggi esistente dimostra che quando le rogatorie sono dirette in Vaticano non solo i tempi si allungano a dismisura, ma non si appura nulla di nulla per la storicamente accertata volontà del Vaticano di non permettere a nessuno di indagare sugli affari suoi interni, veri o presuntoi che essi siano.

A suo tempo gli allora giudici istruttori Rosario Priore e Adele Rando chiesero l’invio in Vaticano di alcune rogatorie per poter interrogare membri del clero per le rispettive inchieste giudiziarie: Priore per quella relativa agli eventuali complici di Alì Agca per il suo attentato a papa Wojtyla nel 1980 e Rando per quella riguardante proprio la scomparsa della Orlandi oltre che della ragazza romana Mirella Gregori.

Tempi di attesa lunghissimi: la palla infatti passa dal palazzo di Giustizia prima al ministero di Grazia e Giustizia, quarto piano stanza 619, poi SE – ripeto: SE – il ministero di via Arenula concede il nulla osta, il che non è affatto sicuro, la palla viene passata al ministero degli Esteri, che la passa all’ambasciata italiana presso la Santa Sede perché la recapiti alla Segreteria di Stato vaticana. Che a sua volta gira la rogatoria al Tribunale dello Stato della Città del Vaticano accompagnandola con una nota verbale. L’incartamento viene preso in consegna dal Promotore di Giustizia del Vaticano, che finalmente convoca la corte deputata a deliberare. La corte convoca i prelati la cui testimonianza è stata chiesta dai magistrati italiani, li interroga e ne raccolgie a verbale le dichiarazioni.

Poi c’è la trafila inversa. Se e quando finalmente arriva, con tutto comodo, la risposta dei diretti interessati, è sempre la stessa così riassumibile: “Non ne sappiamo nulla”. E’ chiaro che con la santificazione di papa Wojtyla di mezzo non c’è nessuna possibilità che il Vaticano permetta che l’atmosfera quanto mai edificante venga guastata. I miasmi del caso Orlandi non possono certo inquinare le nubi d’incenso in volo verso il 27 aprile per prendere in consegna il nuovo santo e sottrarlo così a qualunque veleno del mondo dei peccatori, cioè dei vivi.

Insomma, finita in fumo la “prova” del flauto, la mossa di Marco Fassoni Accetti è la più geniale per tirarla per le lunghe ed eludere in modo probabilmente definitivo sia l’accertamento sia la negazione della sua “clamorosa verità”. Accreditandosi nel frattempo inevitabilmente sempre più, nell’immaginario collettivo, come “l’organizzatore” di quello che a suo dire avrebbe dovuto essere il finto rapimento di Emanuela Orlandi, breve e con il consenso degli Orlandi tutti, ma che nessuno sa come sia andato realmente a finire visto che da ormai oltre 30 anni della ragazza nessuno ne sa più nulla.

La mossa ultra ritardante e quasi certamente paralizzante delle rogatorie permette a Marco Fassoni Accetti di bypassare anche l’inopinata caduta in disgrazia con la trasmissione televisiva di Raitre che lo ha lanciato con gran clamore lo scorso 3 aprile. Anche nel caso, per nulla improbabile, che i magistrati o il ministero della Giustizia non ritengano di dover procedere per le testimonianze di Celata e Backis, o che il Vaticano non rigetti le rogatorie, Marco Fassoni Accetti potrebbe sempre cantare vittoria affermando che lui dice la verità, ma “il sistema”, Vaticano compreso, non la vuole appurare.

Insomma, una sorta di bis su grande scala della “prova del flauto”, da qualcuno irriverentemente detta anche “del piffero”: visto che nulla dimostra che lo strumento musicale portato in dote da Marco Fassoni Accetti sia stato veramente quello di Emanuela, lui prova a cantar comunque vittoria consolandosi col fatto che “nulla però dimostra che non le sia appartenuto”.

Se fosse stato meno irruente, meno approssimativo e scalcinato, il colpaccio di passare alla storia come l’organizzatore del “rapimento” di Emanuela sarebbe riuscito due anni e mezzo fa a Luigi Gastrini. Per settimane riuscì a far credere perfino a Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, che lui era un ex 007 dei nostri servizi segreti militari, nome in codice “Lupo”, e che aveva coordinato sul campo il “rapimento” della ragazza, portato a termine da altri agenti segreti dei servizi militari italiani e inglesi, e il successivo chiuderla a chiave in una “manicomio nel centro di Londra, dove si trova tutt’ora”. Gastrini però, che di professione non faceva il regista ed era anzi piuttosto male in arnese, fece due errori:

– si rivolse prima alla televisione, per l’esattezza il 16 giugno 2011 a TeleRomaUno, anziché fare come MFA, andare cioè prina a “vuotare il sacco” dai magistrati e poi in tv;

– dopo il “botto” televisivo, non andò a rifilare la bufala ai magistrati. Che nonostante il clamore non ritennero di dovergli dar corda. Gliela diede invece il procuratore della Repubblica di Bolzano, ma per appurare che le sue erano patacche: non era mai stato un agente segreto, motivo per cui alla fine “l’ex 007 Lupo” ha racimolato solo una condanna per millantato credito.

Prima o poi vedremo cosa racimolerà Marco Fassoni Accetti.