Emanuela Orlandi rapita perché il fratello portava soldi allo Ior?

di Pino Nicotri
Pubblicato il 22 Giugno 2016 - 07:16 OLTRE 6 MESI FA
Emanuela Orlandi rapita perché il fratello portava soldi allo Ior?

Emanuela Orlandi rapita perché il fratello Pietro (nella foto con Papa Francesco) portava soldi allo Ior? Pino Nicotri ha scovato negli atti dell’inchiesta delle intercettazioni che riaprono il mistero

Emanuela Orlandi rapita da mani misteriose, da un “sistema”, perché il fratello Pietro Orlandi portava, avvolti in carta da giornale, i soldi ai bancomat dello Ior? Era lo stesso Pietro a parlare di questo suo incubo e ne parlava con un autorevole esponente della Curia romana. Sepolta nelle oltre 20 mila pagine di atti giudiziari dell’inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, archiviata dalla Cassazione lo scorso 5 maggio c’è una traccia che porta a Pietro Orlandi e ai suoi timori sulla causa della scomparsa della sorella.

I magistrati che si sono sobbarcati la inchiesta durata 8 anni non sembrano avere dato molto credito a quei timori ma dagli atti emerge questo nuovo mistero nel mistero Orlandi: il lavoro di Pietro Orlandi quando lavorava all’ Istituto Opere di Religione (IOR), cioè alla banca del Vaticano, consisteva nel riciclare “soldi sporchi”, vale a dire di provenienza illegale? Si direbbe proprio di sì, stando a quanto afferma in alcune telefonate intercettate il vescovo Francesco Saverio Salerno, che per giunta parla anche della convinzione di Pietro che sua sorella sia stata rapita proprio per la sua attività con “i soldi sporchi”. Discorsi tutti che si trovano puntualmente registrati e riassunti nelle 47 pagine della cartella n. 4039327 delle 833 che, per un totale di oltre 20 mila pagine, riportano tutti gli atti giudiziari dell’indagine sul mistero Orlandi nata nel 2008 sulla scia di alcune “rivelazioni” di “Chi l’ha visto?”, rivelatesi fasulle, e  archiviata dalla Cassazione lo scorso 5 maggio. L’ascolto del telefono di Salerno è stato iniziato il 25 maggio 2012 ed è stato ritenuto talmente interessante da indurre i dirigenti della Squadra Mobile e della Sezione Criminalità Organizzata della questura di Roma a chiedere il 7 luglio l’autorizzazione a proseguirne l’intercettazione. Nella telefonata del 26 maggio 2012 a sua cugina Chiara, iniziata alle ore 10, 28 minuti e 43 secondi e terminata alle ore 10, 50 minuti e 29 secondi,  il prelato rivela tra l’altro:

“Dice che lui portava dentro i giornali i quattrini sporchi”,

dove “lui” appare essere proprio Pietro Orlandi,

Questa telefonata è importante sia perché in essa Salerno conferma esplicitamente il ruolo di paradiso fiscale dello IOR sia perché spiega alla sua interlocutrice che Pietro Orlandi è convinto che sua sorella Emanuela sia stata fatta sparire proprio per le sue attività con i “soldi sporchi” dello IOR. Nel brogliaccio della telefonata, cioè nel sunto steso dagli addetti all’intercettazione, si legge infatti:

“Salerno, all’interno di un discorso sul Vaticano come paradiso fiscale di gente che porta i quattrini, dice “come nella storia di quella ragazza, adesso è venuto fuori un particolare che non è stato scritto, però io l’ho sentito dalla bocca del fratello. Perché lui era stato messo allo I.O.R., lui per avvallare la tesi che è stata fatta per quattrini questa roba [cioè il rapimento di Emanuela] dice che lui portava dentro i giornali i quattrini sporchi””.

Ecco dunque spiegato perché Pietro è convinto, come ha più volte dichiarato, che a far sparire sua sorella – il 22 giugno di ormai 33  anni fa – è stato “un sistema”:

“Conosco il sistema che l’ha inghiottita e ha occultato la verità per tanti anni. L’intreccio omertoso tra Stato, Chiesa e criminalità. Dietro alle ragion di Stato e ai segreti pontifici si sono fatti scudo le mafie, pezzi deviati dello stato italiano e dello stato Vaticano”.

Nel brogliaccio con il sunto di quanto monsignor Salerno ha detto per telefono alla sua vecchia amica avvocato Licia Civetta dalle ore 21, 10 minuti e 32 secondi fino alle ore 21, 26 minuti e 24 secondi del 31 di quello stesso giugno – cinque giorni dopo la conversazione con la cugina – si legge infatti non solo la conferma dei “soldi sporchi dentro i giornali“, ma anche la novità dei soldi portati da Orlandi ai bancomat:

“Poi lui [Salerno] chiese a Pietro che mansione avesse allo IOR, ricevendo risposta che era incaricato di portare ai bancomat dello IOR e che portava i soldi sporchi ai giornali“.

Il sospetto di Pietro però è strano, anzi ingiustificato, perché lui ha cominciato a lavorare allo IOR solo DOPO la scomparsa di Emanuela e non prima. Se ne deve quindi necessariamente concludere con una delle seguenti tre ipotesi:
– Pietro potrebbe avere iniziato a collaborare allo IOR in quel modo, senza essere ancora assunto, prima della scomparsa di Emanuela, per poi essere messo in regola solo dopo e per esplicità volontà di Wojtyla.
– Pietro nel riferire del suo lavoro ne deduce che i soldi sporchi erano usati anche prima del suo arrivo allo IOR e pensa quindi che Emanuela possa essere stata fatta sparire per quei loschi traffici preesistenti da chissà quanto tempo.
– Pietro è talmente ossessionato dalla pista del complotto da non rendersi conto della illogicità del suo sospetto.

 

Da notare che nel gennaio 2013 la Banca d’Italia a causa di un’operazione sospetta da 40 milioni di euro impose al Vaticano lo stop anche all’uso del bancomat  oltre che dei pagamenti con carta di credito. E del resto più volte Blitz ha riferito del rifiuto delle autorità preposte a concedere  allo IOR il certificato di garanzia di immunità da rischi di riciclaggio di capitali di origine criminale. Per forti sospetti di riciclaggio, nel 2012 il Vaticano e lo IOR finirono nel mirino perfino del Dipartimento di Stato degli USA. A riformare in modo serio e radicale lo IOR non c’è riuscito neppure l’attuale Papa Francesco nonostante abbia avuto sullo IOR parole poco rassicuranti.

Non risulta che i magistrati abbiano indagato Pietro per capire sia di che “sporcizia” fossero macchiati i soldi che, stando a quanto lui stesso ha confidato al prelato, portava ai bancomat avvolti nei giornali. Vero è che lo IOR e i suoi bancomat sono in Vaticano, e godono quindi dell’extraterritorialità, ma che si sappia ha bancomat anche nelle istituzioni religiose in varie parti del mondo.

Nel libro “L’affaire Emanuela Orlandi” scritto dalla fotografa Roberta Hidalgo si legge che in un’intercettazione ambientale fatta abusivamente da lei in casa di Pietro lo si sente dire a non si sa chi né perché:

“50 miliardi di lire in ufficio li posso procurare”

Pietro Orlandi ha sempre accusato di complicità nella scomparsa di Emanuela tutti coloro che dalle intercettazioni telefoniche trasmesse soprattutto da “Chi l’ha visto?” apparivano timorosi di avere il telefono sotto controllo. Però a pagina 38 e a pagina 46 delle intercettazioni sulla linea di don Salerno si scopre che anche Pietro di certe faccende non ama parlare al telefono. A pagina 38 si legge infatti che il 13 giugno di quel 2012 chiede un incontro al prelato

“perché mi faceva piacere incontrarla, però non mi andava di parlare al telefono”.

I due si incontrano quindi alle 18 del giorno successivo e restano assieme ben quattro ore. Una parte di ciò che si sono detti, monsignor Salerno la rivela già il giorno dopo, 15 giugno, all’amica Erlina Fofi e il 16 all’amica Carolina Capuani. In soldoni il prelato accusa Pietro di diffamare Emanuela perché oltre alla tesi del “sistema” crede anche alla tesi di don Gabriele Amorth secondo il quale la bella ragazzina è rimasta vittima di un’orgia di pedofili in Vaticano. Salerno  accusa anche papa Wojtyla di avere lanciato irresponsabilmente i suoi vari appelli per la liberazione della ragazza. Nel brogliaccio dell’intercettazione della seconda telefonata si legge che il monsignore

“afferma infatti che non aveva senso di parlare così presto di rapimento, molto diverso giuridicamente dalla scomparsa, dato che tutte le testimonianze portavano a credere più a un suo allontanamento”.

A pagina 46 Pietro è più esplicito nello spiegare perché di certe cose non vuole parlare al telefono. Si legge infatti nel brogliaccio che il 20 giugno, sempre del 2012, mentre il prelato poco dopo le 11 e 21 minuti gli sta parlando di “pericolosità di un individuo”

“Pietro lo interrompe dicendo che ne parleranno a voce perché con il suo telefono ha sempre paura (di essere intercettato)”.

Monsignor Salerno non è uno sprovveduto, ha infatti un curriculum di tutto rispetto: 40 anni di servizio in Vaticano con incarichi di importanza crescente, consultato spesso dal Papa di turno, docente universitario ed esperto giurista, a suo tempo come Consigliere di Stato si è occupato anche delle finanze e della sorveglianza di tutte le  amministrazioni della  Santa Sede. Tanto da poter definire il Vaticano, come abbiamo già visto, “paradiso fiscale della gente che porta i quattrini”. Ecco perché Pietro Orlandi, sapendo bene che il suo interlocutore in fatto di finanze vaticane sa tutto, ha potuto confidarsi con lui.

Il monsignore, 88 anni egregiamente portati, sguardo ironico, capelli in gran parte ancora neri e con grande ciuffo sbarazzino sul davanti, è andato in pensione nel 2003 e abita nel complesso della basilica di S. Giovanni in Laterano, sede del Vicariato. Seduto in poltrona di fronte a lui nel grande salotto biblioteca del suo bell’appartamento, chiedo a monsignor Salerno, che tutti chiamano molto rispettosamente Eccellenza, se può gentilmente spiegare cosa facesse esattamente Pietro Orlandi allo IOR. Ma l’Eccellenza divaga in continuazione, per ore, racconta aneddoti e segreti del Vaticano e di qualche Papa, racconta di quando Wojtyla gli chiese se si potesse mai sapere quali e quante erano le entrate del Vaticano, racconta di quando venne dimostrato chi dirottava fiumi di danaro per i propri fini, racconta di come riuscì a evitare, con la sua grande conoscenza delle leggi vaticane e italiane, che venisse interrogato o estradato e arrestato monsignor Marcinkus, l’anima nera dello IOR dell’epoca dei maneggi spericolati conclusi con il fallimento del Banco Ambrosiano, munto come una mucca con le mammelle sempre gonfie, e con il suicidio o l’uccisione camuffata da suicidio del suo amministratore delegato Roberto Calvi.

Per il fallimento dell’Ambrosiano lo IOR venne condannato a restituire ai correntisti rimasti al verde ben 406 milioni di dollari, pari più o meno a un miliardo di euro di oggi. Monsignor Salerno racconta  anche dello slalom che riuscì a far fare per evitare che in Vaticano qualcuno sbattesse contro  lo scandalo Sindona, il finanziere siciliano lodato dai maggiori politici italiani, massone cattolicissimo molto amico del Vaticano e dello IOR, ma che si prestava a riciclare soldi della mafia e che anche per avere ordinato l’ omicidio di Giorgio Ambrosoli finì in galera dove è morto avvelenato col cianuro (la versione ufficiale parla di suicidio inscenato “perfidamente” in modo che paresse omicidio.

Sua Eccellenza Salerno parla di tutto, ma alla domanda ripetuta più volte sul lavoro di Pietro Orlandi allo IOR non risponde. Non risponde neppure quando gli ricordo cortesemente la frase intercettata dalla “cimice” piazzata in casa di Pietro dalla Hidalgo:

“50 miliardi di lire in ufficio li posso procurare”.

Inutile anche far notare a Salerno che gli Orlandi si rivolsero di corsa al magistrato per far sequestrare quel libro, sequestro peraltro non concesso.

Messo alle strette dal mio ripetere per la quinta volta la domanda e dalla preghiera di rispondere altrimenti perdo il treno, il prelato strizza gli occhi e mi fissa in silenzio per più di un minuto. Poi, l’espressione sbarazzina sostituita da un velo forse di preoccupazione, si limita a dire:

“Non credo. Se davvero maneggiava soldi sporchi non gli conveniva andare in pensione prima del dovuto”.