Il delitto di Sarah Scazzi e il “cavalluccio” di Sabrina e zio Michele

di Pino Nicotri
Pubblicato il 29 Novembre 2010 - 12:54| Aggiornato il 1 Dicembre 2010 OLTRE 6 MESI FA

Michele Misseri

Nella lunga vicenda a puntate del delitto di Avetrana le cose che ancora colpiscono sono almeno due. La prima è che Michele Misseri, che per proteggere sua figlia Sabrina volle vestire senza esitazione i panni dello “zio orco”, cioè dell’assassino e stupratore della sua nipotina Sarah, quella sua figlia la protegge ancora. E’ vero che zio Michele i panni dell’orco a un certo punto ha voluto toglierseli di dosso, indicando proprio in Sabrina la persona che ha ucciso Sarah, ma è anche vero che papà Michele per evitare l’ergastolo a sua figlia ha rifilato ai magistrati un’altra versione che non sta in piedi: “Sabrina m’ha detto che è stato un incidente, stavano giocando e Sarah a un certo punto è caduta sul pavimento del garage che è in discesa. Spesso giocavano così, giocavano al cavallo”. Il cavallo in questo caso sarebbe stato Sarah, condotto con una cintura al collo come fossero le briglie, a un certo punto diventate talmente strette da strangolare la povera quindicenne di Avetrana.

Anche se nel giro di pochissimi giorni avevo intuito, e scritto subito nel mio blog e qualche tempo fa anche su Blitzquotidiano, che il comportamento di Sabrina era fin troppo sospetto fin dalle prime battute, non è che io voglia infierire sulla figlia di Michele, si tratta però di impedire che i lettori vengano presi per il sedere in modo fin troppo smaccato. Anzi sbracato, visto che c’è di mezzo una cintura delle brache…. Per “giocare al cavallo”, anzi più esattamente “a cavalluccio”, si intende il gioco a due nel quale uno dei partecipanti si mette carponi, “a quattrozampe” come un cavallo, e l’altro gli monta in groppa e lo fa “galoppare”. NON l’ho mai visto fare da nessuno usando come briglie una cintura stretta al collo del “cavallo”, per giunta bloccata dalle borchie tanto da non far respirare “il cavallo”. NON l’ho mai visto fare da nessuno per il semplice motivo che sarebbe demenziale farlo: al massimo si può pensare che, essendo le briglie di un cavallo vero due e NON una sola, la cintura o una corda può essere passata sotto il collo del “cavallo” per permettere al “cavaliere” di tenerne entrambi gli estremi con entrambe le mani. Ma facciamo finta di niente.

Sabrina Misseri con la foto di Sarah

Il fatto è che la scena descritta dal buon Michele è improponibile per due motivi. Il primo è che con la sua stazza Sabrina al suo cavalluccio Sarah, ragazzina esile e minuta, avrebbe reso impossibile muovere anche solo una “zampa”. Il secondo motivo è che anche a voler ammettere che il cavalluccio Sarah pur con quel peso sulla groppa potesse muovere qualche passo, di sicuro si sarebbe sbucciata non poco le ginocchia. Il gioco “del cavallo” non avveniva infatti su una spiaggia o su un terreno morbido, ma sul duro cemento di un garage. E Sarah era vestita per andare al mare, indossava cioè solo una maglietta di cotone e pantaloncini corti, aveva cioè le gambe, ginocchia comprese, totalmente scoperte. Impossibile quindi che si sia messa a quattro zampe per portare in groppa la massiccia e pesante cugina. Ma continuiamo a far finta di niente. NON c’è nessun incidente, nel gioco “del cavallo”, che possa portare allo strangolamento del “cavallo”. Che magari può cadere e battere malamente la testa, ma certo non può essere strangolato per caso, cioè per “un incidente” come tenta di far credere Michele Misseri. Ma poi: se il “cavallo”, cioè Sarah, non riesce a respirare perché le “briglie”, cioè la cintura da pantaloni, è stata stretta troppo, allora la soluzione è semplice: basta allentare la stretta anziché lasciare crepare Sarah andando demenzialmente a chiedere aiuto a Michele che dormiva beato.

Oltretutto, se Sarah avesse avuto difficoltà a respirare per via della cintura troppo stretta è ovvio che avrebbe allentato la presa con le sue mani. O no? A meno che… a meno che… a meno che il “cavaliere”, cioè Sabrina, non le avesse impedito di usarle, le mani. Per lasciare, appunto, che il “cavallo” Sarah crepasse. La morte “accidentale” di sua nipote non regge neppure nel caso zio Michele volesse raccontarci, e noi volessimo crederegli, che il gioco “del cavallo” avveniva non con Sabrina in groppa a Sarah messa a quattro zampe, ma con Sabrina che portava a spasso – nel garage! Occupato anche dal trattore!! – Sarah tenendola più come un cane al guinzaglio che come un quadrupede tenuto il “lazo”. Anche in questo caso valgono le considerazioni di cui sopra: se la cintura stringe troppo il collo di Sarah è ovvio che lei stessa se la allenta, con le sue mani, ma in ogni caso è demenziale pensare che sua cugina la lasci crepare andano a svegliare il padre che dorme anziché aiutarla a liberare il collo. Idem se il “cavallo” è caduto sulla discesa del garage: se Sarah inciampa o scivola e cade a terra, anche ammesso che rotoli verso il basso, per morire soffocata è necessario che l’estremità della cintura sia bloccato a qualcosa di fisso, così da trasformare la “briglia” in cappio mortale, come in una impiccagione.

Sarah Scazzi

Oppure è necessario che Sabrina NON lasci andare la cintura, e anzi che la tiri ben forte… impiccando così volontariamente il “cavallo”, cioè sua cugina, caduta a terra. La seconda cosa che ancora colpisce nella brutta storia di Avetrana è sentire come Michele Misseri racconta di avere appreso dell’uccisione di sua nipote Sarah: “Sabrina venne da me e mi disse “papà, ho fatto un casino””. Solo “un casino”: come se avesse rotto un rubinetto dell’acqua o il computer o sbagliato a parcheggiare l’auto. Insomma, un vocabolo banale,”un casino”, per indicare un fatto per nuilla banale, anzi decisamente grave ed eccezionale qual è l’uccisione di una persona, per giunta una parente. Se poi confrontiamo l’uso assurdamente improprio della parola “casino” fatto da Sabrina con l’uso altrettanto assurdamente improprio invalso ormai un po’ ovunque per esempio del verbo amare – “amo la Coca Cola”, “la cucina più amata dagli italiani”, “amo il mio cane” – allora c’è di cha farsi accapponare la pelle.

Qui non si tratta, per dirla con Gianrico Carofiglio, solo della “manomissione delle parole”, ma di un grave decadimento dei nostri sentimenti e dei nostri valori, cioè in definitiva della nostra morale, causa a sua volta dell’uso insensato delle parole. Devo però dire che questo brutto andazzo ha avuto un precedente e un predecessore illustre. E’ stato infatti papa Wojtyla a usare clamorosamente, in occasione del cosiddetto “anno santo” del Grande Giubileo del 2000, un termine banale per indicare un fatto che banale assolutamente non era. Dopo avere elencato una serie di tragici “errori” della Chiesa, dalla strage degli Ugonotti ai roghi della Santa (?) Inquisizione, Wojtyla per “purgare la memoria” chiese scusa. Scusa, non perdono! Come se si trattasse di avere pestato un piede a qualcuno su un tram affollato anziché di secoli di atrocità e di una lunga scia di sangue. Insomma, “la manomissione delle parole” usata per manomettere la Storia minimizzando ciò che minimizzabile non è. Nel suo piccolo, anche Sabrina ha manomesso le parole. Per minimizzare. Come se anziché avere ammazzato sua cugina avesse parcheggiato male l’auto…