Trump e Kim Jong-un, tra guerra e incontro diplomatico Usa-Corea del Nord

di Pino Nicotri
Pubblicato il 7 Maggio 2017 - 05:22 OLTRE 6 MESI FA
Trump e Kim Jong-un, tra guerra e incontro diplomatico Usa-Corea del Nord

Trump e Kim Jong-un, tra guerra e incontro diplomatico Usa-Corea del Nord

ROMA – Davvero Trump avrà il piacere di incontrare il presidente nordcoreano Kim Jong-un, il cui padre Kim Jong-il avrebbe già dovuto incontrare l’allora inquilino della Casa Bianca Bill Clinton in un summit risolutivo a Pyongyang  nel 2000? Nel suo imminente primo viaggio diplomatico all’estero, che inizierà il prossimo 22,  il nuovo inquilino della Casa Bianca preferisce intanto vedere ben altri capi di Stato, a partire dal re dell’Arabia Saudita e a seguire col  capo di Stato di Israele e poi con Papa Francesco. Incontri che danno alla tournee trumpiana l’inedito aspetto di un omaggio alle tre religioni monoteistiche, dove però per quanto riguarda l’Islam la scelta ricade sul ramo wahabita, che oltre ad essere nemico dell’Iran rappresenta anche la versione peggiore, neppure medioevale, del mondo musulmano. Vediamo però come stanno le cose riguardo gli Usa e la Corea del Nord.

Il pendolo di Trump oscilla tra un attacco militare, più volte ventilato o almeno non escluso, e il piacere per un eventuale incontro col presidente Kim Jong figlio. Dopo avere inviato nei mari nordcoreani una flotta di navi da guerra, dotata anche di armi nucleari, per sottolineare che l’opzione militare è davvero non esclusa, il  presidente Usa intervistato il 30 aprile da CBS News ha sorpreso tutti dichiarando:

“Se fosse appropriato per me incontrarlo, lo farei di sicuro. Ne sarei onorato. Se fosse, lo ripeto, nelle giuste circostanze, lo farei.  La maggior parte dei politici non lo direbbe mai, ma io lo dico, nelle giuste condizioni lo incontrerei”.

A dire il vero il presidente della Corea del Nord ha un padre, Kim Jong-il, che avrebbe dovuto incontralo già Clinton ben 16 anni fa. Nell’ottobre 2000, prima delle elezioni Usa del 7 novembre che hanno portato alla Casa Bianca George W. Bush, il generale Jo Myong Rok, cioè l’autorità più potente della Corea del Nord, l’uomo che presiedeva al complesso che produceva e vendeva missili agli altri Paesi, è stato negli Usa dal 9 al 12 e ha fatto visita a Bill Clinton alla Casa Bianca, presenti il Segretario di Stato Madeleine Albright e il Segretario alla Difesa William Cohen. Nell’occasione è stato scritto di comune accordo un impegno in base al quale “nessuno dei due governi vuole avere intenzioni ostili nei confronti dell’altro”. Il comunicato congiunto del 12 ottobre rilevava che la risoluzione del contenzioso missilistico “contribuirà essenzialmente a relazioni radicalmente migliorate” e ribadiva l’impegno dei due Paesi all’attuazione del quadro concordato nel 1994, quello che aveva convinto Pyongyang a interrompere i propri programmi per le armi nucleari. Il comunicato conteneva l’annuncio che Albright avrebbe visitato la Corea del Nord per preparare una possibile visita da parte di Clinton.

In effetti il Segretario di Stato Usa si recò a Pyongyang dal 24 al 26 di quello stesso ottobre per  incontrare direttamente Kim Jong-il e definire quanto iniziato a trattare con Rok alla Casa Bianca e normalizzare così finalmente i rapporti con gli USA, oltre che per preparare l’agenda del summit nella stessa Pyongyang tra Clinton e Kim. Il summit era previsto si concludesse con la firma di un accordo per l’acquisto da parte degli Usa di tutti i missili a gittata intermedia e lunga esistenti in Corea del Nord. Che a sua volta si sarebbe anche impegnata a mettere in orbita i propri satelliti artificiali per telecomunicazioni non con i propri missili, che non avrebbe più prodotto, ma con quelli russi appositamente chiesti al presidente Putin.  Fino ad allora la Corea del Nord aveva condotto un unico test con il missile balistico di media gittata Taepo Dong-1 nell’agosto 1998 nel tentativo di mettere un satellite in orbita nell’agosto 1998. E nel settembre dell’anno successivo aveva deciso una moratoria dei test missilistici per facilitare il dialogo con gli Usa. Albright descrisse i suoi colloqui con Kim come “seri, costruttivi e approfonditi” e affermò che l’Assistente Segretario di Stato Robert Einhorn avrebbe incontrato a Kuala Lumpur il 1° novembre i coreani del Nord per trovare con loro la soluzione al problema dei missili. Insomma, la tanto deprecata Corea del Nord e il suo ancor più deprecato presidente avrebbero rinunciato in modo inequivocabile ai programmi missilistici e nucleari.

A bloccare la marcia verso la fine delle ostilità iniziata da Clinton e Kim padre è stata di lì a pochi giorni, il 7 novembre, l’imprevista vittoria elettorale – risicata e sospettata anche di brogli – del candidato repubblicano Bush anziché del democratico Al Gore. Insediatosi alla Casa Bianca il 10 gennaio 2001, Bush già a marzo trattò a pedate il presidente della Corea del Sud, Kim Dae Jung, fresco Premio Nobel per la pace e desideroso di accordi e ricomposizione con il Nord. Bush zittì anche Colin Powell, reo di avere osato dire che la nuova amministrazione avrebbe continuato le trattative con la Corea del Nord là dove le aveva lasciate l’amministrazione Clinton.

Il comportamento di Bush, che il 29 gennaio 2002 ha coniato l’espressione Asse del Male arrivando a inserirvi la Corea del Nord assieme all’Iran e all’Iraq, non è stato per nulla quello di un “pazzo”, ma ha una sua logica ben precisa, nata proprio in Corea nell’aprile del 1950 con il documento NSC 68 firmato quel giorno da Truman (NSC è l’acronimo del National Security Counsil). Il documento raccomandava enormi spese “difensive”, cioè militari, per far “trarre consistenti benefici dal tipo di potenziamento suggerito”. Potenziamento militare e, al suo traino, anche dell’intero sistema industriale, che grazie alla seconda guerra mondiale aveva avuto uno sviluppo clamoroso. In buona sostanza, è dal ’50 che gli Usa hanno capito e deciso che un continuo all’erta militare, condito con la Guerra Fredda e qualche guerra locale vera, come quelle del Vietnam, di Corea e le due contro l’Iraq, sono uno stimolo potente e continuo per la propria ricerca scientifica e per lo sviluppo tecnologico e industriale, vale a dire per la propria economia. Tant’è vero che lo stesso Trump appena arrivato alla Casa Bianca ha messo in chiaro che avrebbe potenziato le forze armate anche con lo sviluppo di nuove armi nucleari. Con George W. Bush il budget per la Difesa è arrivato all’astronomica cifra di oltre 400 miliardi di dollari, e con Trump crescerà ancora.

Il problema della divisione coreana è un avanzo della seconda guerra mondiale, un suo colpo di coda. Sferrato dagli Usa con l’invasione l’8 settembre 1945, vale a dire sei giorni dopo la fine della guerra anche in Asia con la resa del Giappone, l’invasione che dopo tre mesi è diventata “guerra ai comunisti” rivelando così il vero fine degli Stati Uniti, che nulla c’entrava con la lotta al Giappone ormai arreso da sei giorni. Per “comunisti” però Washington intendeva tutti coloro che si erano battuti contro l’occupazione giapponese, iniziata nel 1910 per ridurre la Corea a colonia di Tokio. Gli Usa preferirono mettere al governo del Sud gli stessi detestati collaborazionisti che per decenni avevano servito i giapponesi. A governare la Corea del Nord restava invece chi gli invasori giapponesi li aveva combattuti, sotto la guida del nonno dell’attuale presidente Kim.

Nel marzo del ’46 la neonata Onu, fondata il 26 giugno del ’45, istituì una commissione per realizzare l’unità e l’indipendenza della Corea. L’iniziativa fece però la fine della commissione che due anni dopo avrebbe dovuto far nascere in Palestina lo Stato palestinese e delle elezioni che, secondo gli accordi di Ginevra del 1954, avrebbero dovuto unificare nel 1956 il Vietnam del Nord con quello del Sud. Anche il Vietnam era stato infatti diviso in due zone di influenza dalla Conferenza di Ginevra del ’54 decisa dopo la conclusione della guerra d’Indocina, conclusa con la cacciata dei colonialisti francesi sconfitti dal movimento di liberazione popolare guidato dai comunisti di Ho Chi Min e del generale Giap. Per timore che vincessero i comunisti gli Usa convinsero il leader cattolico anticomunista sudvietnamita Ngo Din Diem a dichiarare Stato sovrano il Vietnam del Sud.  E Truman firmando nel dicembre 1948 un altro documento NSC, quello numero 48, autorizzò gli aiuti militari Usa al Vietnam del Sud, dove gli Usa finirono col prendere il posto della Francia con l’invio di un grande esercito. Che venne sconfitto anch’esso dopo anni di sanguinosa guerra e qualche milione di morti.

Il 25 giugno 1950 i nordcoreani invasero la Corea del Sud, conquistandola quasi tutta, per cacciare dal potere gli ex collaborazionisti col Giappone e i loro eredi. L’Onu rispose affidando al generale Usa Douglas MacArthur, fino ad allora il governatore di fatto del Giappone sconfitto, il comando delle truppe Onu di 17 Paesi accorse in difesa del governo di Seul. La controffensiva di MacArthur andò oltre Pyongyang e arrivò quasi al confine della Cina, che reagì inviando a sua volta truppe in difesa dei nordcoreani travolgendo le truppe Onu fino a costringerle a evacuare Seul. Per uscire dalla situazione sempre più critica MacArthur chiese con una tale insistenza di usare le bombe atomiche e di attaccare la stessa Cina per “liberare” la Manciuria e la stessa Cina meridionale da finire con l’essere rimosso dal comando per ordine dello stesso presidente Truman. Se non usarono le atomiche, in Corea però gli Usa sperimentarono su larga scala le enormi bombe “Tarzon”, da 5 tonnellate di esplosivo, sganciate dai B-29 soprattutto su Kanggye, dove la Cia era convinta si nascondessero i leader politici coreani compreso Kim Il-sung, leader della Resistenza ai giapponesi e nonno  dell’attuale capo di Stato.

Mentre di militari coreani che occupano territori Usa non se ne sono mai visti, di militari Usa sul suolo coreano ce ne sono invece in abbondanza fin dal 1945. Il costo della presenza militare Usa nella Corea del Sud oscilla a tutt’oggi ora tra i 17 e i 42 miliardi di dollari l’anno, a seconda delle voci che si vogliono prendere in considerazione. Da notare che nella Corea del Sud c’era anche una notevole quantità di bombe atomiche americane, rimosse da George Bush padre, che però non se l’è riprese negli Stati Uniti, ma s’è limitato a trasferirle sulle navi e sui sottomarini che da continuano a controllare da vicino (anche) la Corea del Nord. Per rintuzzare ed evitare eventuali altre invasioni, i nord coreani hanno reagito costruendo una impressionante rete corazzata sotterranea di basi militari e di impianti di tutti i tipi – almeno 15 mila, cifra senza pari nell’intera storia militare del genere umano – e hanno fatto di tutto per dotarsi anche loro di atomiche, onde rendere una eventuale invasione troppo costosa in termini di vite umane.

Può non piacerci, ma non è scritto da nessuna parte che Stati sovrani debbano essere felici di avere alle frontiere per decenni eserciti potentemente armati e sempre pronti all’invasione con opportuni pretesti. Washington si è arrogata il diritto di reagire con l’invasione dell’Afghanistan e dell’Iraq con la scusa – completamente sballata almeno nel caso dell’Iraq – dell’attentato alle Twin Towers dell’11 settembre. È ovvio che la Corea del Nord da tali pericoli ha – come chiunque – il diritto di potersi difendere, anche perché di morti non ne ha avuti 3-4 mila come gli Usa con le Twin Towers, ma la gran parte dei quasi tre milioni di vittime coreane del Sud e del Nord della guerra iniziata nel ’50 e una marea di altri morti già prima, con la feroce invasione giapponese.

Il problema, oggi molto poco noto se non dimenticato, è che la guerra di Corea con il citato documento NSC 68 firmato da Truman nell’aprile del ’50 ha posto le basi per il continuo irrobustimento dell’apparato industriale militare americano. Vale a dire, dell’apparato militare-industriale che di fatto traina l’intero sistema produttivo Usa perché ne rappresenta con l’indotto e la ricerca  scientifica più del 25 del totale: Internet, la posta elettronica e l’intero sistema online che ha fortemente modificato il nostro stile di vita e le economie del pianeta, anche se inizialmente ideate in ambito civile si sono poi sviluppate per l’interesse e il massiccio intervento delle forze armate  USA. L’apparato militare-industriale è stato definito un pericolo per la pace e quindi anche per gli Usa già da Dwight Eisenhower, il primo presidente Usa dopo la fine della seconda guerra mondiale, nella quale aveva comandato le truppe anglo americane in Europa.

 La guerra di Corea è stata importante per la storia americana per due motivi: ha rappresentato il fulcro attorno al quale far ruotare una spesa militare tanto massiccia quanto permanente; ha rovesciato provocatoriamente la teoria del “contenimento” del “pericolo comunista” trasformandola nella teoria del “rollback”, cioè del “ripiegamento” del nemico o meglio ancora – in termini più chiari – della “liberazione”. Teorizzata da MacArthur per la Manciuria e la Cina meridionale, tentata in seguito con la fallita invasione di Cuba, messa infine in atto in piccolo a Grenada e in grande stile in Afghanistan e Iraq, la “liberazione” è ora foraggiata sotto banco in Siria.

Trump avrà il coraggio, l’intelligenza e la lungimiranza politica di riprendere con la Corea del Nord il discorso laddove lo aveva interrotto Bush figlio? Staremo a vedere. Per ora intanto c’è da registrare un piccolo passo avanti: anziché definirlo anche lui “un pazzo”, Trump il 30 aprile intervistato da CBS News si è limitato a dire che ignora se Kim Jong-un abbia  o no il pieno possesso delle proprie facoltà mentali e lo ha anche lodato come “un tipo piuttosto sveglio”.