Bund a tutti i costi ma sia chiaro, la Germania non è così sicura

Pubblicato il 9 Gennaio 2012 - 20:48 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Mentre la capitalizzazione di Borsa di Unicredit, un istituto che ha un patrimonio di 52 miliardi e quasi diecimila sportelli, tende ad avvicinarsi al valore della sua collezione di dipinti antichi, giunge la notizia che la Germania ha collocato sul mercato 3,9 miliardi di titoli di Stato a sei mesi con un rendimento pari a meno 0,0122 per cento, vale a dire negativo. Non bastasse, la domanda dei pregiati titoli tedeschi è stata quasi il doppio della quantità offerta in asta (i bund assegnati sono stati 3,9 miliardi). O, in altri termini, chi ha investito è riuscito a ottenere solo poco più della metà di quanto si proponeva di comprare.

Una situazione paradossale, folle quasi quanto la “bolla dei tulipani” che si verificò in Olanda nel 1600, quando si registrarono acquisti di un solo bulbo dell’esotico fiore (veniva dalla Turchia) a prezzi che toccarono i 100 mila fiorini (un grasso maiale ne costava 30). Ma torniamo all’oggi. E’ vero, i buoni del Tesoro tedeschi sono considerati assai affidabili, arcisicuri. Ma, comunque, com’è possibile che un fondo d’investimento, sovrano o non, un risparmiatore o tantomeno uno “speculatore” decida di investire in un titolo che a scadenza gli restituirà meno di quello che ha speso per acquistarlo, interessi inclusi? C’è una logica in questa follia?

In realtà vi sono una spiegazione tecnica e una sola, assai dubbia, spiegazione “economica-razionale”. Premesso che sul mercato secondario, cioè quello dei titoli in circolazione, alcuni bund a breve scadenza avevano fatto registare, saltuariamente ma da diversi mesi, rendimenti negativi, che cioè già esisteva uno “spirito del tempo” mattacchione, la cosa non si era mai verificata nelle aste che accompagnano l’emissione. La spiegazione tecnica consiste nel fatto che questa volta sono state cambiate le regole del gioco, le regole dell’asta dei bund: mentre fino a ieri le offerte dovevano avvenire sulla base dei rendimenti, con quella odierna si è inaugurata una nuova fase e le offerte sono fatte in base al valore nominale. In altri termini si può presentare un’offerta per i “Bubill” pari a 100 (che significa a tasso d’interesse zero), oppure addirittura inferiore a 100 (che significa a rendimento negativo). Ed è appunto quest’ultima possibilità quella che si è concretizzata oggi.

Rimane comunque da spiegare perché un qualsivoglia investitore decida, almeno all’apparenza, di volersi trasformare in un Tafazzi qualsiasi (quel personaggio che si dava le martellate sulle parti molli). E di interpretazione “quasi” razionale ne vedo una sola (se sbaglio mi si corregga). Esiste un gruppo di investitori che scommette su una rapida dissoluzione dell’euro e un altrettanto rapido ritorno alle vecchie valute nazionali, dalla dracma alla lira, dal franco al marco. In questa catastrofica evenienza è scontato che per gli italiani (e per i greci, spagnoli, portoghesi, ecc.) la conversione si tradurrebbe in una rapida svalutazione della lira rispetto ai paesi forti, e quindi a perdite del reddito reale e della ricchezza, mentre per i germanici (e per chi detiene titoli tedeschi) la conversione potrebbe accompagnarsi a un guadagno di cambio che compenserebbe abbondantemente il rendimento negativo sopportato da chi ha oggi acquistato i “Bubill” o da chi trasferisce i propri capitali su conti correnti berlinesi.

Insomma si tratterebbe di quel fenomeno che gli economisti definiscono “flight to safety”, una corsa verso il salvataggio dei propri capitali intrapresa da chi ritiene il collasso (dell’euro) imminente. Un calcolo che potrebbe rivelarsi azzardato: si stanno infatti moltiplicando le analisi secondo cui il debito pubblico di Berlino è assai maggiore di quello che appare dai conti ufficiali e anche le voci le quali sostengono che la congiuntura tedesca è assai meno positiva di quanto mostrerebbero alcuni indicatori, come l’aumento dell’occupazione (che c’è, ma si accompagna a una maggior riduzione degli orari).

Allora, forse, più che azzardate scommesse sul disfacimento della moneta comune, sarebbe meglio che prevalesse la consapevolezza che “siamo tutti sulla stessa barca” e che non è nell’interesse della Germania continuare a opporsi a strumenti finanziari per aiutare i paesi “deboli”. E quanto a coloro che si compano i bund a rendimento negativo, non possiamo che augurarci che facciano la stessa fine degli accaparratori di tulipani nel 1637, quando la “bolla” scoppiò. E loro, con rispetto parlando, si ritrovarono in braghe di tela.