Pensioni, Corte Costituzionale dà ragione a Inail

di Pierluigi Roesler Franz
Pubblicato il 24 Dicembre 2015 - 07:30 OLTRE 6 MESI FA
Pensioni, Corte Costituzionale dà ragione a Inail

Pensioni, Corte Costituzionale dà ragione a Inail

ROMA – Con una  discutibile decisione il 22 dicembre la Corte Costituzionale si è pronunciata sulla retroattività e diritti acquisiti in materia pensionistica, nonché dell’ordinanza della Sezione lavoro della Corte di Cassazione del 20 febbraio 2014 che riteneva la normativa in contrasto con l’art. 117 della Costituzione e con la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo europea (CEDU).

Poiché le tesi della Cassazione sono state bocciate, il principio affermato ieri dai giudici della Consulta potrebbe avere effetti molto negativi anche sul taglio delle pensioni INPGI e sul mantenimento del blocco della perequazione delle pensioni.

Sembra proprio che non resti, purtroppo, altra strada che quella del ricorso alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo di Strasburgo.

 

ORDINANZA N. 274
ANNO 2015
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
– Alessandro CRISCUOLO Presidente
– Giuseppe FRIGO Giudice
– Paolo GROSSI ”
– Giorgio LATTANZI ”
– Aldo CAROSI ”
– Marta CARTABIA ”
– Mario Rosario MORELLI ”
– Giancarlo CORAGGIO ”
– Silvana SCIARRA ”
– Daria de PRETIS ”
– Nicolò ZANON ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 774, 775 e 776, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), promosso dalla Corte di cassazione, sezione lavoro, nel procedimento vertente tra l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) e T.M.T. con ordinanza del 20 febbraio 2014, iscritta al n. 99 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell’anno 2014.

Visti l’atto di costituzione dell’INAIL, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 18 novembre 2015 il Giudice relatore Silvana Sciarra.

Ritenuto che la Corte di cassazione, sezione lavoro, con ordinanza del 20 febbraio 2014, iscritta al n. 99 del registro ordinanze 2014, solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 774, 775 e 776, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), per violazione dell’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848;

che i giudici di legittimità espongono di dover decidere il ricorso, proposto dall’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) contro la sentenza della Corte d’appello di Roma, che ha confermato la decisione di prime cure, accogliendo la richiesta di T.M.T. di beneficiare – con riguardo alla pensione di reversibilità – dell’intera indennità integrativa speciale sulla pensione di reversibilità, così come disciplinata dall’art. 2 della legge 27 maggio 1959, n. 324 (Miglioramenti economici al personale statale in attività ed in quiescenza);

che il Tribunale e la Corte d’appello hanno accolto la domanda della ricorrente, sulla base dell’interpretazione che la giurisprudenza contabile (Corte dei conti, sezioni riunite, sentenza 17 aprile 2002, n. 8) ha prospettato dell’art. 15, comma 5, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica): tale norma sanciva l’applicazione del vecchio regime di calcolo dell’indennità integrativa speciale sui trattamenti di pensione «limitatamente alle pensioni dirette liquidate fino al 31 dicembre 1994 e alle pensioni di reversibilità ad esse riferite»;

che, secondo l’orientamento recepito dai giudici di merito, soltanto dal 1° gennaio 1995 si applicherebbe il nuovo sistema di liquidazione, introdotto dalla legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare): ne discende, da questo punto di vista, che l’indennità integrativa speciale deve essere corrisposta in misura intera per le pensioni dirette liquidate fino al 31 dicembre 1994 e per le pensioni di reversibilità riferite a tali pensioni, senza alcuna distinzione tra le pensioni di reversibilità liquidate prima e quelle liquidate dopo il 31 dicembre 1994;

che, dinanzi alla Corte di cassazione, l’INAIL lamenta la violazione dell’art. 1, commi 774, 775 e 776 della legge n. 296 del 2006, intervenuta ad offrire l’interpretazione autentica dell’art. 1, comma 41, della legge n. 335 del 1995, stabilendo che «per le pensioni di reversibilità sorte a decorrere dall’entrata in vigore della legge 8 agosto 1995, n. 335, indipendentemente dalla data di decorrenza della pensione diretta, l’indennità integrativa speciale già in godimento da parte del dante causa, parte integrante del complessivo trattamento pensionistico percepito, è attribuita nella misura percentuale prevista per il trattamento di reversibilità»: tale norma, che contestualmente stabiliva l’abrogazione della citata norma dell’art. 15, comma 5, della legge n. 724 del 1994 (comma 776) e si premurava di salvaguardare i trattamenti più favorevoli in godimento alla data di entrata in vigore della legge n. 296 del 2006, già definiti in sede di contenzioso (comma 775), ha già superato il vaglio di costituzionalità (sentenza n. 74 del 2008);

che la Corte rimettente, chiamata a dirimere una controversia instaurata prima del 2006, afferma di dover fare applicazione della normativa introdotta dalla legge n. 296 del 2006 e assume, quanto alla non manifesta infondatezza della questione, che la norma censurata, provvista di efficacia retroattiva e non suscettibile di un’interpretazione convenzionalmente orientata, incida sulla definizione delle controversie in corso e violi, in difetto di motivi imperativi d’interesse generale, il divieto di ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia;

nel giudizio è intervenuto l’INAIL, chiedendo di dichiarare inammissibile o, in subordine, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale;

che, a sostegno di tali richieste, l’INAIL evidenzia, in punto di ammissibilità, che la Corte rimettente ribadisce argomenti già disattesi dalla sentenza n. 74 del 2008 e, quanto al merito, imputa alla Corte di cassazione di trascurare le particolarità della norma censurata, volta a individuare una plausibile variante di senso della controversa norma oggetto di interpretazione e ispirata a motivi imperativi d’interesse generale (la necessità di armonizzare i diversi sistemi previdenziali);

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto di rigettare la questione di legittimità costituzionale, già dichiarata infondata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 1 del 2011;

che, dal punto di vista della difesa statale, la normativa censurata, senza ledere alcun ragionevole affidamento dei consociati, disciplina, con effetti strutturali, una voce rilevante della spesa pubblica e salvaguarda, nell’ottica di un equilibrato contemperamento, i diritti già acquisiti.

Considerato che la Corte di cassazione, sezione lavoro, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 774, 775 e 776, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007) e denuncia il contrasto della normativa con l’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848;

che la norma impugnata, volta a disciplinare, per le pensioni di reversibilità, le modalità di corresponsione dell’indennità integrativa speciale, fissa nella data del 31 dicembre 1994 il discrimine tra il vecchio regime, che svincolava il computo dell’indennità integrativa speciale dalla pensione, e il nuovo sistema, che include l’indennità integrativa speciale nel trattamento pensionistico complessivo;

che la norma, in particolare, ai fini dell’applicazione della disciplina innovativa, attribuisce rilievo al momento della liquidazione della pensione di reversibilità, e non più al momento in cui sorge il diritto alla pensione diretta, alla quale la pensione di reversibilità si correla;

che tale interpretazione, secondo la Corte rimettente, smentisce le affermazioni di principio della giurisprudenza contabile e, in difetto di motivi imperativi d’interesse generale, interferisce con i giudizi in corso, sacrificando l’affidamento legittimo dei consociati;

che la questione è manifestamente infondata;

che la Corte rimettente non si cimenta in alcun modo con la sentenza n. 1 del 2011, con cui questa Corte ha già scrutinato, anche con riguardo al contrasto con la fonte convenzionale, i dubbi di costituzionalità adombrati nell’odierno giudizio;

che la Corte di cassazione non enuncia argomenti, che inducano a discostarsi da tali affermazioni di principio, ribadite da questa Corte con la sentenza n. 227 del 2014 e recepite dalla stessa Corte di legittimità, che ha concluso di recente per la manifesta infondatezza di analoghe censure (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 9 gennaio 2015, n. 157);

che, in particolare, la norma impugnata enuclea una delle plausibili varianti di senso, peraltro accreditata da un indirizzo, seppure minoritario, della giurisprudenza contabile;

che la disciplina si innesta nella complessa riforma del sistema pensionistico, foriera di effetti strutturali sulla spesa pubblica e sugli equilibri di bilancio, e persegue la finalità di armonizzare e perequare tutti i trattamenti pensionistici, pubblici e privati;

che la norma censurata rinviene la sua ragion d’essere in un contesto, contrassegnato da rilevanti contrasti interpretativi e dal ravvicinato succedersi di norme, che ha reso più acuta l’esigenza di coordinarle e di interpretarle sistematicamente (per una questione affine, sempre in tema di norme interpretative sulle modalità di calcolo dell’indennità integrativa speciale, sentenza n. 127 del 2015);

che la norma, inoltre, è coerente con il principio di autonomia del diritto alla pensione di reversibilità come diritto originario (sentenza n. 74 del 2008, punto 4.5. del Considerato in diritto);

che, in relazione ai rapporti di durata, non si può riporre alcun ragionevole affidamento nell’immutabilità della disciplina e non sono precluse modificazioni sfavorevoli, finalizzate a riequilibrare il sistema;

che la norma, peraltro, allo scopo di contemperare i contrapposti interessi, salvaguarda i trattamenti pensionistici già definiti in sede di contenzioso e attua un bilanciamento ragionevole dei diritti dei singoli con le esigenze di sostenibilità complessiva del sistema previdenziale;

che non si può configurare un’ingerenza arbitraria nell’autonomo esercizio delle funzioni giurisdizionali, sol perché la norma impugnata trova applicazione nei giudizi in corso: l’incidenza sui giudizi in corso è connaturata alle norme interpretative, con efficacia retroattiva (sentenza n. 227 del 2014, punto 3. del Considerato in diritto);

che tali considerazioni conducono a ritenere manifestamente infondate le censure proposte dalla Corte rimettente, senza curarsi di scalfire i rilievi già svolti, con orientamento ormai costante, da questa Corte.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 774, 775 e 776, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), sollevata, in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, dalla Corte di cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 novembre 2015.
F.to:
Alessandro CRISCUOLO, Presidente
Silvana SCIARRA, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 22 dicembre 2015.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella Paola MELATTI
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N. 99 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 febbraio 2014

Ordinanza del 20 febbraio 2014 emessa dalla Corte di Cassazione nel procedimento civile promosso da INAIL contro T.M.T.. Previdenza – Pensione di reversibilita’ corrisposta dall’INPDAP a favore di coniuge superstite di titolare di pensione diretta – Indennita’ integrativa speciale mensile –

Previsione, con norma autoqualificata di interpretazione autentica ma a contenuto innovativo, dell’attribuzione nella stessa misura del sessanta per cento stabilita per il trattamento di reversibilita’ indipendentemente dalla data di decorrenza della pensione diretta –

Prevista salvezza dei trattamenti pensionistici piu’ favorevoli in godimento alla data di entrata in vigore della legge censurata, gia’ definiti in sede di contenzioso con riassorbimento sui futuri miglioramenti pensionistici –

Violazione degli obblighi internazionali derivanti dalla CEDU. – Legge 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, commi 774, 775 e 776. – Costituzione, art. 117, primo comma, in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali. (Gazzetta Ufficiale 1a Serie Speciale – Corte Costituzionale n.26 del 18-6-2014)

Cron. 4048 Rep. ; Ud. 03/12/2013 Pu

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezione Lavoro

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Federico Roselli – Presidente;
Dott. Pietro Venuti – Consigliere;
Dott. Giuseppe Napoletano – Consigliere;
Dott. Giulio Maisano – Consigliere;
Dott. Rosa Arienzo – Rel. Consigliere
Ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria sul ricorso 461-2010 proposto da I.N.A.I.L (Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro), C.F. 01165400589, in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via IV Novembre, 144, presso lo studio degli avvocati Moraggi Donatella e Daniani Laura, giusta procura speciale notarile in calce alla memoria; Ricorrente contro T.M.T. intimata avverso la sentenza n. 2943/2007 della Corte d’appello di Roma, depositata il 9 gennaio 2009 R.G.N. 10112/2005;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 3 dicembre 2013 dal Consigliere dott. Rosa Arienzo;
Udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Alberto Celeste, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo, assorbimento del secondo motivo.

Ordinanza:

In fatto con sentenza del 9 gennaio 2009, la Corte di appello di Roma rigettava il gravame proposto dall’INAIL avverso la decisione di prime cure, che aveva accolto la domanda proposta da T.M.T., volta al riconoscimento del diritto della predetta a percepire l’intera indennita’ integrativa speciale sulla pensione di reversibilita’ ai sensi dell’art. 2 della legge 27 maggio 1959, n. 324. Premesso che la T. aveva chiesto il riconoscimento suddetto in relazione alla pensione erogatale dall’INAIL quale figlia inabile di T.G., gia’ dipendente dell’INAIL, dal 1° ottobre 1997, data dei decesso del proprio dante causa, cessato dal servizio il 30 dicembre 1973 e titolare da tale data di pensione diretta, la Corte del merito rilevava che l’art. 15, comma 5, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 disponeva che l’art. 2 della legge n. 324/1959 – il quale prevedeva la corresponsione della indennita’ integrativa in misura intera o, per redditi al di sotto di una determinata soglia, in misura sempre intera ma in ragione di frazioni di un parametro monetario – si applicava alle pensioni dirette liquidate fino al 31 dicembre 1994 ed alle pensioni di reversibilita’ ad esse riferite, e che la norma in questione, come interpretata dalla giurisprudenza (Corte dei conti, sezioni riunite, 8/2002/QH), non distingueva tra pensioni di reversibilita’ liquidate prima e dopo tale data.
Osservava che il nuovo sistema di liquidazione introdotto dalla legge 18 agosto 1995, n. 335 operava per le pensioni di reversibilita’ connesse a trattamenti diretti liquidati a far tempo dal 1° gennaio 1995.
Per la cassazione di tale decisione ricorre l’INAIL, la T. e’ rimasta intimata. In diritto con il primo motivo, l’istituto ricorrente denunzia, al sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., violazione dell’art. 1, commi 774, 775 e 776, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e dell’art. 113 c.p.c., osservando che le norme citate limitano l’applicabilita’ delle disposizioni relative alla corresponsione della i.l.s. sui trattamenti di pensione previsti dall’art. 2 legge n. 324/1959 alle pensioni dirette liquidate fino al 31 dicembre 1994 ed alle pensioni di reversibilita’ ad esse riferite, quale che ne fosse la data di liquidazione, laddove, secondo la Corte del merito, non vi era distinzione tra pensioni di reversibilita’ liquidate prima o dopo detta data ed il sistema di liquidazione introdotto dalla legge n. 335/1995 operava per le pensioni di reversibilita’ connesse a trattamenti diretti liquidati a far tempo dal 1° gennaio 1995.
Assume che, con le disposizioni del 2006, per evidente contenimento della spesa previdenziale, il legislatore ha ritenuto di interpretare in modo autentico la norma contenuta nell’art. 1, comma 41, della legge n. 335/1996 e rileva che, in conformita’ ai principi generati, con efficacia retroattiva, le norme sopravvenute sono entrate in vigore il 1° gennaio 2007 e che in relazione alla controversia in esame non si e’ verificata alcuna preclusione rispetto all’applicabilita’ dello ius superveniens, in quanto tutta la materia del contendere e’ stata rimessa in discussione.
Aggiunge che la disciplina legislativa in questione ha superato anche il vaglio di costituzionalita’ per effetto della decisione della Corte costituzionale n. 74 del 2008.
Con il secondo motivo, l’INAIL lamenta, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., falsa applicazione dell’art. 15, quinto comma, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 e dell’art. 1, comma 41, della legge 8 agosto 1995, n. 335, rilevando che, anche ove si volesse ritenere applicabile la normativa preesistente, l’orientamento giurisprudenziale non era univoco e che, peraltro, la norma di cui al regime transitorio non puo’ avere efficacia ultrattiva, anche per il periodo successivo alla introduzione della disciplina di armonizzazione di cui alla legge n. 335/1995. Sostiene l’implicita abrogazione dell’art. 15, comma 5, della legge n. 724/1994 per effetto degli articoli 1 e 2 della legge n. 335/1995, evidenziando che, a prescindere dalla data di decorrenza dalla pensione del dante causa, tutti i trattamenti ai superstiti che ricadono sotto la vigenza della legge sopra citata devono essere determinati osservando le condizioni e misure previste dalla normativa sull’A.G.O., in base alla quale per il trattamento al superstiti compete un’aliquota percentuale dell’intero trattamento pensionistico percepito dal de cuius, ivi compresa la i.l.s.
Precisa che la Corte costituzionale, con sentenza n. 446 del 2002, nel ritenere infondata la questione di illegittimita’ costituzionale dell’art. 1, comma 41, legge n. 335/1995 nella parte in cui prevede l’applicazione delle relative disposizioni anche al trattamento di reversibilita’ spettante al coniuge superstite collocato in pensione prima dell’entrata in vigore della legge stessa e deceduto dopo, proprio per l’insussistenza di un legittimo affidamento del superstite nella stabilita’ della misura della pensione, ha ritenuto che la fattispecie sia regolata dalla norma denunciata e non dall’art. 15 legge n. 724/1994.
Va ribadito, preliminarmente, che l’interpretazione fornita del rapporto tra norme in vigore – che rappresenta il punto di riferimento per valutare in che termini si sia manifestata l’incidenza dello ius superveniens – e’ quella alla cui stregua «In ipotesi di decesso di titolare di pensione diretta liquidata entro il 31 dicembre 1994, l’eventuale trattamento di riversibilita’ va in ogni caso liquidato secondo le norme di cui all’art. 15, comma 5, legge 23 dicembre 1994, n. 724, indipendentemente dalla data della morte del dante causa, atteso che l’art. 1, comma 41, legge 8 agosto 1995, n. 335, non ha abrogato li richiamato comma 5 dell’art. 15 della legge n. 724/1994 (Cfr. Corte di conti, sez. riunite, 8/2002/QM).
Questo collegio ritiene non manifestamente infondata la questione di legittimita’ costituzionale dei commi 774, 776 e 776 dell’art. 1 legge n. 296/2006 cit., poiche’ la disposta retroattivita’ potrebbe essere in violazione del divieto di ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia, per incidere sulla definizione delle controversie giudiziarie in corso, violando il diritto dei beneficiari del trattamento di reversibilita’, parti private, all’equo processo tutelato dall’art. 6 CEDU ed, indirettamente, dall’art 117, primo comma, Cost. Quanto alla rilevanza, essa risulta evidente dalla necessita’ di diretta applicazione della disposizione nella presente controversia, iniziata prima del 2006.
Quanto alla non manifesta infondatezza, occorre premettere l’intero contenuto delle disposizioni:
774. L’estensione della disciplina del trattamento pensionistico a favore dei superstiti di assicurato e pensionato vigente nell’ambito del regime dell’assicurazione generale obbligatoria a tutte le forme esclusive e sostitutive di detto regime prevista dall’art. 1, comma 41, della legge 8 agosto 1995, n. 335, si interpreta nel senso che per le pensioni di reversibilita’ sorte a decorrere dall’entrata in vigore della legge 8 agosto 1995, n. 335, indipendentemente dalla data di decorrenza della pensione diretta, l’indennita’ integrativa speciale gia’ in godimento da parte del dante causa, parte integrante del complessivo trattamento pensionistico percepito, e’ attribuita nella misura percentuale prevista per il trattamento di reversibilita’;
775. Sono fatti salvi i trattamenti pensionistici piu’ favorevoli in godimento alla data di entrata in vigore della presente legge, gia’ definiti in sede di contenzioso, con riassorbimento sui futuri miglioramenti pensionistici;
776. E’ abrogato l’art. 15, comma 5, della legge 23 dicembre 1994, n. 724. Il citato art. 1, comma 41 della legge n. 335/1996 recita a sua volta «La disciplina del trattamento pensionistico a favore dei superstiti di assicurato e pensionato vigente nell’ambito del regime dell’assicurazione generale obbligatoria e’ estesa a tutte le forme esclusive o sostitutive di detto regime. In caso di presenza di soli figli di minore eta’, studenti ovvero inabili, l’aliquota e’ elevate al 70% limitatamente alle pensioni ai superstiti aventi decorrenza dalla data di entrata in vigore della presente legge. Gli importi dei trattamenti pensionistici ai superstiti sono cumulabili con i redditi del beneficiarlo, nei limiti di cui all’allegata tabella F. Il trattamento derivante dal cumulo dei redditi di cui al presente comma con la pensione ai superstiti ridotta non puo’ essere comunque inferiore a quello che spetterebbe allo stesso soggetto qualora il reddito risultasse pari al limite massimo delle fasce immediatamente precedenti a quella nella quale il reddito posseduto si colloca. I limiti di cumulabilita’ non si applicano qualora il beneficiario faccia parte di un nucleo familiare con figli di minore eta’, studenti ovvero inabili, individuati secondo la disciplina di cui al primo periodo del presente comma. Sono fatti salvi i trattamenti previdenziali piu’ favorevoli in godimento alla data di entrata in vigore della presente legge con riassorbimento sui futuri miglioramenti».
L’espressa salvezza dei trattamenti pensionistici piu’ favorevoli in godimento alla data di entrata in vigore della presente legge, gia’ definiti in sede di contenzioso, vale a dire la necessaria applicazione delle disposizioni della finanziaria in questione ai processi ancora pendenti, esclude ogni possibilita’ di negare l’efficacia retroattiva della norma, per tentare di adeguarla all’art. 6 CEDU, di cui poco avanti si dira’.
La cosiddetta interpretazione adeguatrice, che e’ necessario sempre tentare prima di sollevare una questione di legittimita’ costituzionale, trova il suo limite nel significato proprio delle parole della disposizione da interpretare, secondo la connessione di esse, nonche’ nella chiara intenzione del legislatore (art. 12, primo comma, preleggi). Del resto anche la giurisprudenza di questa Corte afferma l’efficacia retroattiva del comma 774 in questione (Cass. n. 18125 del 2008).
Ancora, non rileva sulla presente questione la sentenza della Corte costituzionale n. 74 del 2008, che ha negato il contrasto del comma 775 dell’art. 1 della legge n. 296/2006 con riferimento al solo principio di ragionevolezza.
Che poi la questione debba essere risolta sottoponendola alla Corte costituzionale risulta dalla giurisprudenza della stessa Corte. A partire dalle sentenze n. 348 e n. 349 del 2007 (da ultimo sentenze n. 236, n. 113 e n. 1 del 2011), tale giurisprudenza e’ costante nel ritenere che le norme della CEDU – nel significato ad esse attribuito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, specificamente istituita per darne interpretazione ed applicazione (art. 32, par. 1, della Convenzione) – integrano, quali norme interposte, il parametro costituzionale espresso dall’art. 117 Cost., comma 1, nella parte in cui impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli obblighi internazionali.
La Corte costituzionale ha affermato che, nel caso in cui si profili un contrasto tra una norma interna e una norma della CEDU (che deve essere applicata nel significato attribuito dalla Corte CEDU, cfr. citate sentenze n. 113 e n. 1 del 2011), il giudice nazionale comune deve preventivamente verificare la praticabilita’ di un’interpretazione della prima conforme alla norma convenzionale, ricorrendo a tutti i normali strumenti di ermeneutica giuridica (sentenze n. 93 del 2010, n. 113 dei 2011, n. 311 e n. 239 del 2009).
Se questa verifica dà esito negativo ed il contrasto non puo’ essere risolto in via interpretativa, il giudice comune, non potendo disapplicare la norma interna ne farne applicazione, pur ritenendola in contrasto con la CEDU, e pertanto con la Costituzione, deve denunciare la rilevata incompatibilita’ proponendo questione di legittimita’ costituzionale in riferimento all’art. 117 Cost., comma 1, ovvero all’art. 10 Cost., comma 1, ove si tratti di una norma convenzionale ricognitiva di una norma del diritto internazionale generalmente riconosciuta (sentenze n. 113 del 2011, n. 93 del 2010 e n. 311 dei 2009).
Sempre il Giudice delle leggi ha affermato che, sollevata la questione di legittimita’ costituzionale, il giudice comune – dopo aver accertato che il denunciato contrasto tra norma interna e norma della CEDU sussiste e non puo’ essere risolto in via interpretativa – e’ chiamato a verificare se la norma della Convenzione – norma che si colloca pur sempre ad un livello sub-costituzionale – si ponga eventualmente in conflitto con altre norme della Costituzione. In questa, seppure eccezionale, ipotesi, deve essere esclusa l’idoneita’ della norma convenzionale a integrare il parametro costituzionale considerato (sentenze n. 113 del 2011, n. 93 del 2010, n. 311 del 2009, n. 349 e n. 348 del 2007).
Piu’ precisamente, con sentenza n. 264 del 2012, la Corte costituzionale, dopo aver negato di poter sostituire la propria interpretazione di una disposizione CEDU a quella data dalla Corte di Strasburgo, si riservo’ tuttavia la verifica di compatibilita’ delle singole applicazioni della Convenzione con l’ordinamento costituzionale interno e, in riferimento al caso in esame, giustifico’ la retroattivita’ della legge impugnata col «motivo imperativo d’interesse generale», consistente nell’assicurare, nel sistema previdenziale, la corrispondenza tra risorse disponibili e prestazioni da erogare (art. 81 Cost.) nonche’ la coerenza interna (eguaglianza e proporzionalita’: art. 3 Cost.) dello stesso sistema.
Non sembra a questo collegio che la verifica di compatibilita’ possa dare il medesimo esito nel caso qui in esame, in cui l’art. 1, commi 774 e 775, legge n. 296 del 2006, disattendendo una giurisprudenza delle Sezioni riunite della Corte dei conti, n. 8/2002/QM, pare aver perseguito, in prevalenza se non solamente, un obiettivo di risparmio della spesa pubblica.
Il collegio dubita percio’ della sussistenza di un motivo d’interesse generale, talmente imperativo da dover prevalere sull’art. 6 CEDU.
Circa il contrasto tra il comma 775 cit. e l’art. 6 CEDU, dall’esame delle sentenze CEDU relative a norme di interpretazione autentica possono desumersi i seguenti principi:
a) benche’ non sia precluso al legislatore disciplinare, mediante nuove disposizioni retroattive, diritti derivanti da leggi in vigore, il principio della preminenza del diritto e la nozione di processo equo contenuti nell’art. 6 precludono, tranne che per impellenti motivi di interesse generale, i quali non possono consistere in mere esigenze finanziarie, l’interferenza dei legislatore nell’amministrazione della giustizia con il proposito di influenzare la determinazione giudiziaria di una controversia azionata contro lo Stato (causa Maggio ed altri c. Italia del 31 maggio 2011; causa Anna De Rosa ed altri c. Italia dell’11 dicembre 2012; causa Agrati ed altri c. Italia del 7 giugno 2011, le ultime due relative al personale ATA; cfr., inoltre, tra molti altri precedenti, Stran Greek Refineries e Stratis Andreadis c. Grecia, 9 dicembre 1994, National & Provincial Building Society, Leeds Permanent Building Society e Yorkshire Building Society c. il Regno Unito, 23 ottobre 1997, Zielinski e Pradal e Gonzalez e Altri c. Francia);
b) la Corte ha affermato, ancora, con riferimento alla legge di interpretazione n. 296/2006 nella causa Maggio citata, che la promulgazione di detta legge, mentre i procedimenti erano pendenti, era ricaduta sul merito delle controversie, e la sua applicazione da parte dei vari Tribunali ordinari aveva privato di rilievo, per un’intera categoria di persone che si trovavano nella posizione dei ricorrenti, la prosecuzione del giudizio. Percio’, la legge aveva avuto l’effetto di modificare definitivamente l’esito del giudizio pendente, nel quale lo Stato era parte, approvando la posizione dello Stato a svantaggio del ricorrenti. Mancavano, peraltro, i suddetti motivi imperativi di interesse generale;
c) conclusioni analoghe sono state assunte nella causa citata relativa al personale ATA in cui la Corte di Strasburgo, dopo aver ribadito il principio piu’ volte affermato che se in linea di principio nulla vieta al potere legislativo di regolamentare mediante nuove disposizioni, a carattere retroattivo, diritti risultanti da leggi in vigore, la preminenza del diritto e la nozione di processo equo sanciti dall’art. 6 CEDU ostano, salvo che per imperative ragioni di interesse generale, all’ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia al fine di influenzare l’esito giudiziario di una controversia. La Corte ha rammentato, inoltre, che l’esigenza della parita’ delle armi implica l’obbligo di offrire a ciascuna parte una ragionevole possibilita’ di presentare la propria causa senza trovarsi in una situazione di netto svantaggio rispetto alla controparte. Analoghi principi sono stati affermati, altresi’, nella sentenza del 25 novembre 2010, Lilly c. Francia, e nella sentenza dell’11 febbraio 2010, Javaugue c. Francia;
d) al fine di determinare se vi sia stato un motivo impellente di interesse generale in grado di giustificare tale misura, il rispetto della preminenza del diritto e delle regole del processo equo, secondo la Corte di Strasburgo, impone che le ragioni addotte per giustificare tale misura siano valutate con il massimo grado di cautela possibile. Considerazioni di carattere finanziario non possono da sole giustificare che il legislatore si sostituisca al giudice al fine di risolvere le controversie (causa Maggio ed altri citata);
e) la Corte ha osservato (causa Arras citata) che «Il problema sollevato nel caso di specie e’ fondamentalmente quello del giusto processo, e secondo la Corte, cio’ coinvolge la responsabilita’ dello Stato sia nella sua funzione legislativa, se vizia il processo o influenza l’esito giudiziario della controversia, sia nella sua funzione di autorita’ giudiziaria se e’ violato il diritto a un giusto processo, compreso in questioni private tra soggetti privati».
Alla luce dei citati principi elaborati dalla giurisprudenza CEDU in riferimento all’interpretazione dell’art. 6 della Convenzione citato, ritiene, in definitiva, questa Corte che si prospetti il dubbio di legittimita’ costituzionale della legge n. 296/2006 art. 1, commi 774, 775 e 776, non essendo possibile adottare un’interpretazione della disposizione citata conforme alla Convenzione. La tesi, sostenuta da una parte della dottrina, della disapplicabilita’, da parte del giudice comune, di norme contrastanti non solo con l’art. 6 CEDU, ma anche con gli articoli 47, secondo comma, e 52, terzo comma, della Carta del diritti fondamentali UE, non e’ generalmente condivisa e contrasta con le citate sentenze n. 348 e n. 349 del 2007 della Corte cost. Essa non ha dato luogo a «diritto vivente» onde a questo collegio sembra meglio procedere secondo le indicazioni di queste due pronunce (vedi anche Corte giust. UE, 24 aprile 2012, n. C 571/10 Kamberaj; 26 febbraio 2013, n. 617/10, Fransson).
P. Q. M.

La Corte,
Visti l’art. 134 Cost. e la legge 11 marzo 1963, n. 87, art. 23, dichiara rilevante e non manifestamente infondata – in riferimento all’art. 117 Cost., comma 1, in relazione all’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), sottoscritta dall’Italia il 4 novembre 1950 e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n 848 – la questione di legittimita’ costituzionale della legge 27 dicembre 2006, n. 296, art 1, commi 774, 775 e 776 (Legge finanziaria 2007);
Dispone la sospensione del procedimento n 461/2010;
Ordina l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
Ordina alla Cancelleria che la presente ordinanza sia notificata alle parti del giudizio di legittimita’, ed ai Presidente del Consiglio dei ministri e che essa sia comunicata al Presidente del Senato della Repubblica e al Presidente della Camera dei Deputati.
Cosi’ deciso in Roma, addi’ 3 dicembre 2013.
Il Presidente: Roselli