Blocco della perequazione delle pensioni: è incostituzionale anche per la Corte dei Conti dell’Emilia-Romagna

di Pierluigi Roesler Franz
Pubblicato il 2 Ottobre 2014 - 17:23| Aggiornato il 3 Ottobre 2014 OLTRE 6 MESI FA

N. 159 ORDINANZA (Atto di promovimento)

13 maggio 2014

Ordinanza della Corte dei conti – Sezione giurisdizionale per la Regione Emilia-Romagna sul ricorso proposto da De Robertis Roberto ed altri contro INPS. Previdenza – Pensioni – Perequazione automatica delle pensioni – Previsione, in considerazione della contingente situazione finanziaria, che la rivalutazione automatica delle pensioni, secondo il meccanismo stabilito dall’art. 34, comma 1, della legge 23 settembre 1998, n. 448, e’ riconosciuta per gli anni 2012-2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100 per cento e che per le pensioni di importo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS ed inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante, l’aumento e’ comunque attribuito fino alla concorrenza del predetto limite maggiorato – Violazione del principio di uguaglianza – Lesione del principio di proporzionalita’ ed adeguatezza della retribuzione anche differita – Violazione della garanzia previdenziale – Lesione dei principi della capacita’ contributiva e del concorso di tutti i cittadini alle spese pubbliche – Violazione di obblighi internazionali derivanti dalla CEDU. – Decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, art. 24, comma 25. – Costituzione, artt. 3, 36, 38, 53 e 117, primo comma, in relazione agli artt. 6, 21, 25, 33 e 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali. (GU 1a Serie Speciale – Corte Costituzionale n.41 del 1-10-2014)
LA CORTE DEI CONTI
Sezione giurisdizionale regionale per l’Emilia-Romagna

In funzione di giudice unico delle pensioni in composizione
monocratica in persona del consigliere Marco Pieroni, ha pronunciato
la seguente;

Ordinanza:

Sui ricorsi iscritti ai numeri 43610, 43611, 43612, 43613, 43614, 43615, 43616, 43617, 43618/Pensioni civili del registro di segreteria, proposti, rispettivamente, dai signori De Robertis Roberto, nato a Bari il 29 dicembre 1942, residente in Modena; Cavarra Antonino, nato a Castelvetro il 31 maggio 1930, residente in Modena; Cricchio Antonino, nato ad Ortona il 18 ottobre 1933, residente in Modena; De Robertis Leonardo, nato a Forli’ il 22 aprile 1937, residente in Modena; Ferrari Giampaolo, nato a Piandimeleto il 31 agosto 1932, residente in Modena; Gragnoli Leonida, nato a Roma il 28 settembre 1931, residente in Modena; Lugli Mauro, nato a Modena il 22 aprile 1936, residente in Modena; Luongo Manfredi, nato ad Altavilla Irpina il 19 settembre 1945, residente in Modena; dott. Signa Salvatore Umberto, nato a Palermo il 25 gennaio 1941, residente in Modena, tutti rappresentati e difesi dall’avv. prof. Rolando Pini e Giovanni C. Sciacca;

Uditi, nella pubblica udienza del 26 novembre 2013, con l’assistenza della sig.ra Laura Cannas, l’avv. prof. Rolando Pini per i ricorrenti e l’avv. Mariateresa Nasso per l’INPS di Roma;

Premesso:

Che in via preliminare, attesa l’identita’ di oggetto dei ricorsi in epigrafe sussistono i presupposti per la loro riunione in rito; Che con atto depositato in data 27 febbraio 2013, i ricorrenti, tutti rappresentati e difesi dall’avv. prof. Rolando Pini, propongono ricorso avverso: a) il trattamento pensionistico loro attribuito a partire dal mese di agosto 2011, nella parte in cui detto trattamento e’ stato assoggettato al «contributo di perequazione» previsto dal comma 22-bis dell’art. 18 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, nel testo successivamente modificato dall’art. 24, comma 31-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equita’ e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214; b) la mancata rivalutazione automatica del loro trattamento pensionistico in applicazione del comma 25 dell’art. 24 del medesimo d.-l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011;

Che questo Giudice, con riferimento alla prima richiesta, ha deciso con separata pronuncia;

Che con riferimento alla seconda richiesta sub b), i ricorrenti si dolgono del fatto che la mancata rivalutazione automatica del loro trattamento pensionistico in applicazione del comma 25 dell’art. 24 del medesimo d.-l. n. 201 del 2011, convertito dalla legge n. 214 del 2011 riproduca, nella sostanza, i medesimi effetti derivanti dal citato art. 18, comma 22-bis, del d.-l. n. 201 del 2011, violando peraltro i parametri di cui agli artt. 3, 53, 36 e 38 Cost.; Che l’INPS ha prodotto, in replica, memoria depositata in data 12 settembre 2013;

Che quanto alla questione riguardante il mancato riconoscimento della rivalutazione monetaria (art. 24, comma 25, del d.-l. n. 201 del 2011, convertito dalla legge n. 214 del 2011), l’INPS ha: a) ricordato una serie di pronunce della Corte costituzionale in base alle quali questioni consimili siano state dichiarate manifestamente infondate (sent. n. 202 del 2006; n. 256 del 2001); fatto presente che analoga questione e’ stata rigettata dalla Corte dei conti – Sez. Giur. Lazio con sentenza n. 214 del 2013; c) che la norma in questione, a differenza di quella caducata per effetto della sentenza n. 116 del 2013 della Corte costituzionale, colpisce tutti i pensionati pubblici e privati;

Che i ricorrenti hanno reiterato le loro ragioni con la successiva memoria 27 giugno 2013; in particolare, nel corso dell’udienza pubblica e’ emerso che le trattenute a titolo di «contribuzione perequativa» effettuate a carico degli interessati risultano essere state restituite solo con riferimento al 2013 e non anche per gli anni 2011 e 2012;

Ritenuto:
Che i ricorrenti si dolgono della mancata rivalutazione automatica del loro trattamento pensionistico in applicazione del comma 25 dell’art. 24 del medesimo d.-l. n. 201 del 2011, convertito dalla legge n. 214 del 2011;

Che, in proposito, deve premettersi che la disposizione della quale questo Giudice e’ chiamato a fare applicazione (citato art. 24, comma 25, del medesimo d.-l. n. 201 del 2011, convertito dalla legge n. 214 del 2011) prevede: «In considerazione della contingente situazione finanziaria, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall’art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, e’ riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100 per cento. Per le pensioni di importo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante ai sensi del presente comma, l’aumento di rivalutazione e’ comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato. Il comma 3 dell’art. 18 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, e’ abrogato»; Che questo Giudice rileva che il censurato art. 24, comma 25, d.-l. 6 dicembre 2011, n. 201 prevede il blocco degli adeguamenti delle pensioni superiori a tre volte il trattamento minimo: tale norma sembra penalizzare detti trattamenti pensionistici, vulnerando il principio di proporzionalita’ fra retribuzione, in contrasto con il combinato disposto degli articoli 3, 53, 36 e 38 della Costituzione;

Che se e’ pur vero che la Corte costituzionale (sent. n. 316/2010) ha affermato che in particolari circostanze e con riferimento ai trattamenti pensionistici piu’ elevati possa sospendersi, per un periodo limitato, l’adeguamento annuale previsto dall’art. 59, tredicesimo comma, legge n. 449/1997, e’ da considerare che la stessa Corte ha affermato (cfr. medesima sentenza n. 316/2010, punto 4 del Considerato in diritto) che «la sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo, ovvero la frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo, esporrebbero il sistema ad evidenti tensioni con gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalita’ […] perche’ le pensioni, sia pure di maggiore consistenza, potrebbero non essere sufficientemente difese in relazione ai mutamenti del potere d’acquisto della moneta»; d’altro canto, il censurato art. 24, comma 25, del d.-l. n. 201 del 2011, appare peggiorativo rispetto all’art. 1, comma 19, legge n. 247 del 2007 (ritenuto legittimo dalla citata sentenza n. 316/2010) giacche’ paralizza l’adeguamento dei trattamenti superiori a tre volte, anziche’ ad otto volte, il minimo INPS;

Che vale aggiungere che il blocco introdotto dalla norma censurata: a) per un verso, segue a distanza di soli quattro anni quello ritenuto legittimo; b) per altro verso, per esplicita autogiustificazione inteso a contribuire al finanziamento di esigenze generali dello Stato (art. 24, 1 comma 1, d.-l. n. 201/2011) «in considerazione della contingente situazione finanziaria» (art. 24, comma 25, primo periodo, d.-l. n. 201/2011), sembra palesare profili di irrazionalita’ per eccedenza del mezzo rispetto al fine (art. 3 Cost.), giacche’ ad esigenze di tal fatta dovrebbe logicamente provvedersi con la fiscalita’ ordinaria (art. 53 Cost.); Che invero, il citato art. 24, comma 25, citato dissimula a ben vedere l’introduzione di una misura volta a realizzare un introito per l’Erario sotto forma di un risparmio realizzato forzosamente mediante la compressione di un diritto (quale quello all’adeguamento dei trattamenti) attribuito in via tendenziale ai pensionati; sicche’ la misura avversata dagli interessati sembra sostanziarsi in realta’ in una sorta di prelievo fiscale settoriale, come si diceva dissimulato, in quanto ontologicamente non dissimile da quello gia’ oggetto della pronuncia demolitoria della Corte costituzionale con la sent. n. 116/2013, in contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost.; Che il vizio della norma in questione emerge altresi’ ove si consideri che la natura retributiva (differita) delle pensioni ordinarie e’ stata ormai definitivamente statuita dalla Corte costituzionale con la citata sentenza n. 116/2013, laddove al punto 7.3. del Considerato in diritto, cosi’ si esprime: «Nel caso di specie, peraltro, il giudizio di irragionevolezza dell’intervento settoriale appare ancor piu’ palese, laddove si consideri che la giurisprudenza della Corte ha ritenuto che il trattamento pensionistico ordinario ha natura di retribuzione differita (fra le altre sentenza n. 30 del 2004, ordinanza n. 166 del 2006); sicche’ il maggior prelievo tributario rispetto ad altre categorie risulta con piu’ evidenza discriminatorio, venendo esso a gravare su redditi ormai consolidati nel loro ammontare, collegati a prestazioni lavorative gia’ rese da cittadini che hanno esaurito la loro vita lavorativa, rispetto ai quali non risulta piu’ possibile neppure ridisegnare sul piano sinallagmatico il rapporto di lavoro», donde la possibile lesione degli artt. 3 e 53 Cost.;

Che e’ evidente che il mancato adeguamento delle pensioni equivale ad una loro decurtazione in termini reali con effetti permanenti ancorche’ il blocco sia formalmente temporaneo poiche’ non e’ previsto alcun meccanismo di recupero, con conseguente lesione degli artt. 3, 53, 36 e 38 Cost.; tanto piu’ che il blocco incide sui pensionati, fascia sociale per antonomasia «debole» per eta’ ed impossibilita’ di adeguamento del reddito, come evidenzia ancora la pronuncia della Corte n. 116 del 2013 (punto 7.3. del Considerato in diritto), pronuncia che non senza significato ha affermato che «i redditi derivanti dai trattamenti pensionistici non hanno, per questa loro origine, una natura diversa e minoris generis rispetto agli altri redditi presi a riferimento, ai fini dell’osservanza dell’art. 53 Cost., il quale non consente trattamenti in pejus di determinate categorie di redditi da lavoro. Questa Corte ha, anzi, sottolineato (sentenze n. 30 del 2004, n. 409 del 1995, n. 96 del 1991) la particolare tutela che il nostro ordinamento riconosce ai trattamenti pensionistici, che costituiscono, nei diversi sistemi che la legislazione contempla, il perfezionamento della fattispecie previdenziale conseguente ai requisiti anagrafici e contributivi richiesti»;

Che con la sentenza n. 223 del 2012, la Corte costituzionale nel ritenere la fondatezza della questione sollevata in relazione all’art. 53 Cost. ha ricordato che «la Costituzione non impone affatto una tassazione fiscale uniforme, con criteri assolutamente identici e proporzionali per tutte le tipologie di imposizione tributaria; ma esige invece un indefettibile raccordo con la capacita’ contributiva, in un quadro di sistema informato a criteri di progressivita’, come svolgimento ulteriore, nello specifico campo tributario, del principio di eguaglianza, collegato al compito di rimozione degli ostacoli economico-sociali esistenti di fatto alla liberta’ ed eguaglianza dei cittadini-persone umane, in spirito di solidarieta’ politica, economica e sociale (artt. 2 e 3 della Costituzione)» (sentenza n. 341 del 2000). Pertanto, il controllo della Corte in ordine alla lesione dei principi di cui all’art. 53 Cost., come specificazione del fondamentale principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., consiste in un «giudizio sull’uso ragionevole, o meno, che il legislatore stesso abbia fatto dei suoi poteri discrezionali in materia tributaria, al fine di verificare la coerenza interna della struttura dell’imposta con il suo presupposto economico, come pure la non arbitrarieta’ dell’entita’ dell’imposizione» (sentenza n. 111 del 1997);

Che facendo applicazione di tale principio di diritto la Corte ha ritenuto che nella specie, pur considerando al giusto la discrezionalita’ legislativa in materia, la norma impugnata si ponesse in evidente contrasto con gli articoli 3 e 53 Cost., in quanto «l’introduzione di una imposta speciale, sia pure transitoria ed eccezionale, in relazione soltanto ai redditi di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione viola, infatti, il principio della parita’ di prelievo a parita’ di presupposto d’imposta economicamente rilevante». Tale violazione e’ stata ritenuta tale sotto due diversi profili: a) da un lato, a parita’ di reddito lavorativo, il prelievo e’ ingiustificatamente limitato ai soli dipendenti pubblici; b) d’altro lato, il legislatore, pur avendo richiesto (con l’art. 2 del d.-l. n. 138 del 2011) il contributo di solidarieta’ (di indubbia natura tributaria), al fine di reperire risorse per la stabilizzazione finanziaria, ha inopinatamente scelto di imporre ai soli dipendenti pubblici, per la medesima finalita’, l’ulteriore speciale prelievo tributario oggetto di censura. Nel caso in esame, dunque, l’irragionevolezza non risiedeva nell’entita’ del prelievo denunciato, ma nella «ingiustificata limitazione della platea dei soggetti passivi»;

Che anche nel caso in esame pare rinvenirsi un’ipotesi di lesione del combinato disposto di cui agli artt. 3 e 53 Cost., in quanto la norma censurata limita i destinatari della stessa soltanto ad «una platea di soggetti passivi», e cioe’ ai percettori del trattamento pensionistico, senza estenderla alla generalita’ dei percettori di altre tipologie di reddito (ad esempio, reddito da lavoro dipendente pubblico e privato) in violazione in particolare dell’art. 53 Cost., nei due commi di cui esso si compone, che tutela due interessi di pari rango, quello della collettivita’ al concorso di tutti alle spese pubbliche, espressivo della funzione solidaristica che fa eco al principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), che gia’ aveva informato di se l’art. 25 dello Statuto albertino, e quello del singolo al rispetto della propria capacita’ contributiva, espressivo della funzione garantistica della norma;

Che, per la ragioni che precedono, anche in questo caso, come in
quelli decisi con le sentenze n. 223 del 2012 e n. 116 del 2013 della
Corte costituzionale «la sostanziale identita’ di ratio dei
differenti interventi “di solidarieta”, poi, prelude essa stessa ad
un giudizio di irragionevolezza ed arbitrarieta’ del diverso
trattamento riservato ai pubblici dipendenti, foriero peraltro di un
risultato di bilancio che avrebbe potuto essere ben diverso e piu’
favorevole per lo Stato, laddove il legislatore avesse rispettato i
principi di eguaglianza dei cittadini e di solidarieta’ economica,
anche modulando diversamente un “universale” intervento impositivo.
L’eccezionalita’ della situazione economica che lo Stato deve
affrontare e’, infatti, suscettibile senza dubbio di consentire al
legislatore anche il ricorso a strumenti eccezionali, nel difficile
compito di contemperare il soddisfacimento degli interessi finanziari
e di garantire i servizi e la protezione di cui tutti cittadini
necessitano. Tuttavia, e’ compito dello Stato garantire, anche in
queste condizioni, il rispetto dei principi fondamentali
dell’ordinamento costituzionale, il quale, certo, non e’ indifferente
alla realta’ economica e finanziaria, ma con altrettanta certezza non
puo’ consentire deroghe al principio di uguaglianza, sul quale e’
fondato l’ordinamento costituzionale»;
Che la Corte ha in proposito ricordato che l’art. 53 della
Costituzione deve essere interpretato in modo unitario e coordinato,
e non per preposizioni staccate ed autonome le une dalle altre; che,
infatti, la universalita’ della imposizione, desumibile dalla
espressione testuale «tutti» (cittadini o non cittadini, in qualche
modo con rapporti di collegamento con la Repubblica italiana), deve
essere intesa nel senso di obbligo generale, improntato al principio
di eguaglianza (senza alcuna delle discriminazioni vietate: art. 3,
primo comma, della Costituzione), di concorrere alle «spese pubbliche
in ragione della loro capacita’ contributiva» (con riferimento al
singolo tributo ed al complesso della imposizione fiscale), come
dovere inserito nei rapporti politici in relazione all’appartenenza
del soggetto alla collettivita’ organizzata; che, nello stesso tempo,
la Costituzione non impone affatto una tassazione fiscale uniforme,
con criteri assolutamente identici e proporzionali per tutte le
tipologie di imposizione tributaria; ma esige invece un indefettibile
raccordo con la capacita’ contributiva, in un quadro di sistema
informato a criteri di progressivita’, come svolgimento ulteriore,
nello specifico campo tributario, del principio di eguaglianza,
collegato al compito di rimozione degli ostacoli economico-sociali
esistenti di fatto alla liberta’ ed eguaglianza dei cittadini-persone
umane, in spirito di solidarieta’ politica, economica e sociale
(artt. 2 e 3 della Costituzione) (ord. n. 341/2000; sent. n.
104/1985);
Che una sommaria ma significativa ricognizione delle misure
legislative di analogo tenore rispetto a quella qui censurata e che
da evidenza che il blocco della perequazione automatica va sempre
piu’ assumendo i caratteri di intervento «strutturale», e non quello
di natura eccezionale e «non reiterabile» mostra come, nel tempo,
risultano rinvenibili diverse disposizioni di tenore analogo a quello
qui censurato: l’art. 1, comma 19, della legge n. 247/2007 (oggetto
di scrutinio da parte della Corte, v. sent. n. 316/2000); l’art. 59,
comma 13, della legge n. 449 del 1997 (oggetto di scrutinio da parte
della Corte costituzionale, v. sent. n. 316/2010); analoga
disposizione risulta ora inserita nell’ultima legge di stabilita’,
art. 1, comma 483, legge n. 147 del 2013;
Che tanto premesso, come dinazi rilevato, vale in proposito
nuovamente richiamare la sentenza n. 316 del 2010, con cui la Corte
costituzionale ha osservato che «la sospensione a tempo indeterminato
del meccanismo perequativo, ovvero la frequente reiterazione di
misure intese a paralizzarlo, esporrebbero il sistema ad evidenti
tensioni con gli invalicabili principi di ragionevolezza e
proporzionalita’ (su cui, nella materia dei trattamenti di
quiescenza, v. sentenze n. 372 del 1998 e n. 349 del 1985), perche’
le pensioni, sia pure di maggiore consistenza, potrebbero non essere
sufficientemente difese in relazione ai mutamenti del potere
d’acquisto della moneta» (punto n. 4 del Considerato in diritto).
Tale pronuncia della Corte costituzionale aggiunge che «i redditi
derivanti dai trattamenti pensionistici non hanno, per questa loro
origine, una natura diversa e minoris generis rispetto agli altri
redditi presi a riferimento, ai fini dell’osservanza dell’art. 53
Cost., il quale non consente trattamenti in pejus di determinate
categorie di redditi da lavoro. Questa Corte ha, anzi, sottolineato
(sentenze n. 30 del 2004, n. 409 del 1995, n. 96 del 1991) la
particolare tutela che il nostro ordinamento riconosce ai trattamenti
pensionistici, che costituiscono, nei diversi sistemi che la
legislazione contempla, il perfezionamento della fattispecie
previdenziale conseguente ai requisiti anagrafici e contributivi
richiesti» (cfr. punto 7.3. del Considerato in diritto). La sentenza
aggiunge ancora che «nel caso di specie, peraltro, il giudizio di
irragionevolezza dell’intervento settoriale appare ancor piu’ palese,
laddove si consideri che la giurisprudenza della Corte ha ritenuto
che il trattamento pensionistico ordinario ha natura di retribuzione
differita (fra le altre sentenza n. 30 del 2004, ordinanza n. 166 del
2006); sicche’ il maggior prelievo tributario rispetto ad altre
categorie risulta con piu’ evidenza discriminatorio, venendo esso a
gravare su redditi ormai consolidati nel loro ammontare, collegati a
prestazioni lavorative gia’ rese da cittadini che hanno esaurito la
loro vita lavorativa, rispetto ai quali non risulta piu’ possibile
neppure ridisegnare sul piano sinallagmatico il rapporto di lavoro»
(punto 7.3. del Considerato in diritto);
Che circa il rispetto del principio di proporzionalita’ della
pensione (artt. 3, 36 e 38 Cost.), va poi citata l’ordinanza n. 531
del 2002, con cui la Corte, in considerazione della «natura di
retribuzione differita che deve riconoscersi al trattamento
pensionistico», ha ricordato di avere costantemente affermato «il
principio della proporzionalita’ della pensione alla quantita’ e
qualita’ del lavoro prestato, nonche’ della sua adeguatezza alle
esigenze di vita del lavoratore e della sua famiglia (sentenze n. 243
del 1992; n. 96 del 1991; n. 501 del 1988; n. 173 del 1986; n. 26 del
1980 e n. 124 del 1968); che ha, altresi’, riconosciuto che il
requisito della proporzionalita’ deve sussistere non solo al momento
del collocamento a riposo del lavoratore, ma anche successivamente,
in relazione al mutamento del potere di acquisto della moneta
(sentenze n. 96 del 1991 e n. 26 del 1980); che, tuttavia, ha
altrettanto costantemente specificato che tale principio non impone
affatto il necessario adeguamento del trattamento pensionistico agli
stipendi, ma che spetta alla discrezionalita’ del legislatore
determinare le modalita’ di attuazione del principio sancito
dall’art. 38 della Costituzione; che, piu’ precisamente, tale
determinazione consegue al bilanciamento del complesso dei valori e
degli interessi costituzionali coinvolti, anche in relazione alle
risorse finanziarie disponibili e ai mezzi necessari per far fronte
agli impegni di spesa (sentenze n. 457 del 1998; n. 226 del 1993 e n.
119 del 1991), con il limite comunque di assicurare «la garanzia
delle esigenze minime di protezione della persona» (sentenza n. 457
del 1998); che, sotto altro aspetto, l’esigenza di adeguamento delle
pensioni alle variazioni del costo della vita e’ assicurata
attraverso il meccanismo della perequazione automatica del
trattamento pensionistico (attualmente disciplinato dal d.lgs. 30
dicembre 1992, n. 503, recante norme per il riordinamento del sistema
previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma dell’art. 3
della legge 23 ottobre 1992, n. 421 e successive modifiche ed
integrazioni);
Che la Corte ha altresi’ rilevato (ordinanza n. 299/1999;
sentenza n. 245/1997) che per esigenze stringenti di equilibrio di
bilancio il legislatore ha imposto a tutti sacrifici anche onerosi
(sentenza n. 245 del 1997) e che norme di tale natura possono
ritenersi non lesive del principio di cui all’art. 3 della
Costituzione (sotto il duplice aspetto della non contrarieta’ sia al
principio di uguaglianza sostanziale, sia a quello della non
irragionevolezza), a condizione che i suddetti sacrifici siano
eccezionali, transeunti, non arbitrari e consentanei allo scopo
prefisso;
Che la Corte non ha inoltre mancato di evidenziare che «spetta al
legislatore (ordinanze n. 263/2002 e n. 99/1999), nell’equilibrato
esercizio della sua discrezionalita’ e tenendo conto anche delle
esigenze fondamentali di politica economica (sentenze n. 477 e n. 226
del 1993), bilanciare tutti i fattori costituzionalmente rilevanti:
nel caso in esame, il processo di perequazione delineato dal
decreto-legge n. 409 del 1990, convertito nella legge n. 59 del 1991,
non viene infatti vanificato, come sembra temere il giudice
rimettente, ma soltanto differito per un periodo ragionevolmente
contenuto; rinvio che, certo, non e’ dettato da motivi arbitrari,
trovando fondamento nella piu’ complessa manovra correttiva degli
andamenti della finanza pubblica»;
Che deve aggiungersi che la norma di legge in questione pare
lesiva anche del principio dell’affidamento del cittadino nella
sicurezza giuridica (art. 3 Cost.), dato che i pensionati adeguano i
programmi di vita alle previsioni circa le proprie disponibilita’,
programmi che possano plausibilmente comprendere impegni finanziari
(per es. mutui), assunti anche per solidarieta’ familiare; di qui
l’inopinato sconvolgimento delle loro legittime previsioni che puo’
incidere sulle prospettive di vita dei pensionati stessi, violando
cosi’ il principio dell’affidamento;
Che in proposito, questo Giudice e’ avveduto della giurisprudenza
della Corte costituzionale che ha piu’ volte legittimato il
legislatore ad emanare disposizioni che modifichino in senso
sfavorevole la disciplina dei rapporti di durata, anche se l’oggetto
di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti, sempre che
tali disposizioni «non trasmodino in un regolamento irrazionale,
frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi
precedenti, l’affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da
intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto»
(sentenze n. 166 del 2012, n. 302 del 2010, n. 236, n. 206 del 2009,
n. 349 del 1985); tuttavia, per questo ultimo profilo, la recente
conclusione del Giudice delle leggi, quale quella contenuta nel punto
13.8. del Considerato in diritto della sentenza n. 310 del 2013 (che
conclude come segue: «situazione che nella specie non puo’ dirsi
sussistente») non appare in tutto perspicua circa l’operare in
concreto del principio enunciato; sicche’, con riferimento alla
disposizione di legge citata permane il dubbio circa la non
implausibilita’ della non manifesta infondatezza anche della
questione riferita alla lesione del cd. principio dell’affidamento
(art. 3 Cost.);
Che questo Giudice e’ altresi’ a conoscenza dell’orientamento
della Corte costituzionale in virtu’ del quale «il contenimento e la
razionalizzazione della spesa pubblica, attraverso cui puo’ attuarsi
una politica di riequilibrio del bilancio, implicano sacrifici
gravosi, quali quelli in esame, che trovano giustificazione nella
situazione di crisi economica. In particolare, in ragione delle
necessarie attuali prospettive pluriennali del ciclo di bilancio,
tali sacrifici non possono non interessare periodi, certo definiti,
ma piu’ lunghi rispetto a quelli presi in considerazione dalle
richiamate sentenze della stessa Corte, pronunciate con riguardo alla
manovra economica del 1992» (sentenze n. 245 del 1997 e n. 299 del
1999, come anche richiamate anche nella sentenza n. 223 del 2012).
E’ noto altresi’ che la Corte costituzionale, «in generale, ha
ravvisato nel carattere eccezionale, transeunte, non arbitrario,
consentaneo allo scopo prefissato, nonche’ temporalmente limitato,
dei sacrifici richiesti, e nella sussistenza di esigenze di
contenimento della spesa pubblica, le condizioni per escludere la
irragionevolezza delle misure in questione».
La Corte, nella sentenza n. 310 del 2013, ha aggiunto che le
norme impugnate «superano il vaglio di ragionevolezza, in quanto
mirate ad un risparmio di spesa che opera riguardo a tutto il
comparto del pubblico impiego, in una dimensione solidaristica – sia
pure con le differenziazioni rese necessarie dai diversi statuti
professionali delle categorie che vi appartengono – e per un periodo
di tempo limitato, che comprende piu’ anni in considerazione della
programmazione pluriennale delle politiche di bilancio» (v. Corte
cost., sent. n. 310/2013, n. 13.5. del Considerato in diritto).
Medesima ratio decidendi – impiegata dalla Corte per risolvere la
questione con riferimento a tutti i parametri sollevati artt. 3, 36,
53 e 97 Cost. – e’ alla base della successiva ordinanza n. 113 del
2014, con la quale la Corte rigetta le questioni sollevate come
manifestamente infondate.
In disparte la grave problematica, non affrontata in modo
esplicito dalla Corte, circa la tenuta della disposizione secondo cui
«lo Stato concorre ad assicurare il finanziamento, da parte degli
altri livelli di governo, dei livelli essenziali delle prestazioni e
delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali»
(art. 5, comma 1, lett. g), della legge costituzionale n. 1 del 2012)
in relazione alla previsione del principio dell’equilibrio del
bilancio introdotta in esito alla profonda modifica costituzionale
degli articoli 81, primo comma, e 97, primo comma, Cost., tale modo
di argomentare della Corte (v. citate sentenza n. 310/2013 e
ordinanza n. 113/2014) presenta un rilevante elemento di novita’, che
legittima interventi restrittivi di blocchi stipendiali (volti a
realizzare risparmi di spesa) prolungati nel tempo, la cui
ragionevolezza per l’innanzi veniva condizionata dalla giurisprudenza
della Corte al loro carattere eccezionale, transeunte, non
arbitrario, consentaneo allo scopo prefissato; ma non e’ chi non veda
che il prolungamento temporale del limite di dette misure (secondo il
nuovo orientamento della Corte) rischia di entrare in conflitto con
la premessa che dette condizioni sono teleologicamente finalizzate a
garantire, con conseguente introduzione di sacrifici a carattere
sostanzialmente non piu’ «temporalmente limitato» bensi’ a carattere
sostanzialmente strutturale; sicche’, nei caso del reiterato blocco
della rivalutazione monetaria dei trattamenti pensionistici, anche in
considerazione della minore aspettativa di vita dei titolari del
diritto, detto sacrificio rischia di trasformarsi da temporale in
definitivo. In tale prospettiva, i criteri fin qui impiegati dalla
Corte per scrutinare le misure restrittive, l’uno connotato da un
carattere propriamente transeunte delle misure (impiegato nelle
citate pronunce riguardanti la manovra economica del 1992) e l’altro,
piu’ recente (v. citata sentenza n. 310 del 2013 e ordinanza n. 113
del 2014), qualificato da una non implausibile estensione temporale
propria delle manovre finanziarie pluriennali, rischiano di entrare
tra loro in collisione (o in contraddizione) quanto piu’ la durata di
detto limite venga prolungato (o reiterato) nel tempo, con
trasformazione della restrizione da temporale a permanente, da
provvisoria a strutturale, da eccezionale a ordinaria, da
«temporalmente giusta» a «ingiusta», in relazione ai parametri
costituzionali 3, 53, 36 e 38 Cost.
Tanto piu’ nel caso che ne occupa, riguardante, non gia’ il
blocco della crescita di stipendi o pensioni, bensi’ la rivalutazione
monetaria (nella specie) dei trattamenti pensionistici, meccanismo
quello della rivalutazione, riconducibile nell’alveo dei sistemi di
indicizzazione, che attende alla precipua funzione di mantenere
integro il collegamento con il fenomeno dell’inflazione e dunque dei
trattamenti pensionistici – nella misura in cui essi attendono alla
funzione fondamentale inerente a diritti civili e sociali, quali
quelli di sostegno della vecchiaia (art. 5, comma 1, lett. g), della
legge costituzionale n. 1 del 2012) – con le complessive dinamiche
del costo della vita a garanzia della adeguatezza degli emolumenti
percepiti e maturati dai lavoratori alle loro esigenze di vita (art.
38 Cost.);
Che come dianzi accennato la Corte costituzionale ha
utilizzato il concetto di legittimo affidamento fin dalla sentenza n.
349 del 1985, affermando che: «dette disposizioni, pero’, al pari di
qualsiasi precetto legislativo, non possono trasmodare in un
regolamento irrazionale ed arbitrariamente incidere sulle situazioni
sostanziali poste in essere da leggi precedenti, frustrando cosi’
anche l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, che
costituisce elemento fondamentale ed indispensabile dello Stato di
diritto»;
Che anche la sentenza n. 73 del 1990 ha confermato i principi
gia’ affermati dalla Corte costituzionale (sentenza n. 349 del 1985)
secondo cui le «disposizioni modificatrici in senso sfavorevole della
precedente disciplina dei rapporti di durata, anche se incidenti su
diritti soggettivi, emanate dal legislatore ai fini pensionistici,
non devono concretare un regolamento irrazionale ed arbitrario,
lesivo delle situazioni sostanziali poste in essere da leggi
precedenti e frustrare l’affidamento dei cittadini nella sicurezza
giuridica che e’ elemento fondamentale dello Stato di diritto»;
Che in particolare – ha soggiunto la Corte -, «senza una
inderogabile esigenza, non puo’ effettuarsi in una fase avanzata del
rapporto tra lavoratori ed I.N.P.S. una modifica legislativa che
alteri in senso sfavorevole, in misura notevole ed in maniera
definitiva, un trattamento pensionistico in precedenza spettante, con
la conseguente irrimediabile vinificazione delle aspettative nutrite
dal lavoratore»;
Che peraltro, «l’affidamento del cittadino nella sicurezza
giuridica non impedisce al legislatore di emanare norme modificatrici
della disciplina dei rapporti di durata in senso sfavorevole per i
beneficiari, quando tali disposizioni non trasmodino in un
regolamento irragionevole di situazioni sostanziali fondate su leggi
precedenti» (sent. n. 393 del 2000);
Che in tema di affidamento la Corte (sentenza n. 170/2013) ha
anche affermato di avere «individuato una serie di limiti generali
[…] attinenti alla salvaguardia di principi costituzionali e di
altri valori di civilta’ giuridica, tra i quali sono ricompresi il
rispetto del principio generale di ragionevolezza, che si riflette
nel divieto di introdurre ingiustificate disparita’ di trattamento;
la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale
principio connaturato allo Stato di diritto; la coerenza e la
certezza dell’ordinamento giuridico; il rispetto delle funzioni
costituzionalmente riservate al potere giudiziario […]. In
particolare, in situazioni paragonabili al caso in esame, la Corte ha
gia’ avuto modo di precisare che la norma … non puo’ tradire
l’affidamento del privato, specie se maturato con il consolidamento
di situazioni sostanziali, pur se la disposizione … sia dettata
dalla necessita’ di contenere la spesa pubblica o di far fronte ad
evenienze eccezionali» (punto 4.3. del Considerato in diritto);
Che sulla base del disposto di cui all’art. 117, comma 1,
della Costituzione, come introdotto dalla legge costituzionale n. 3
del 2001 (cfr. Corte cost. sentt. n. 348 e n. 349/2007), ulteriore
parametro evocabile, nella specie, e’ la Convenzione europea dei
diritti dell’uomo (espressamente riconosciuta dall’Unione europea
sulla base dell’art. 6 del Trattato sull’Unione europea), come
interpretata dalla Corte di Strasburgo, avente natura di parametro
interposto rispetto al citato art. 117, primo comma, Cost., in quanto
la disposizione di legge censurata pare confliggere tanto con il
principio della certezza del diritto come patrimonio comune di
tradizioni degli Stati contraenti, che sopporta eccezioni solo se
giustificate dal sopraggiungere di rilevanti circostanze di ordine
sostanziale (cfr. sentenza della V sezione del 19 luglio 2007, nel
ricorso n. 69533/01 della Corte di Strasburgo), quanto con altri
diritti garantiti dalla Carta: il diritto dell’individuo alla
liberta’ e alla sicurezza (art. 6), il diritto di non
discriminazione, che include anche quella fondata sul «patrimonio»
(art. 21), il diritto degli anziani, di condurre una vita dignitosa e
indipendente (art. 25), il diritto alla protezione della famiglia sul
piano giuridico, economico e sociale (art. 33), il diritto di accesso
alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali (art. 34);
Che quanto al principio della certezza del diritto, va anche
richiamata la sentenza n. 7/2007, con cui la Corte dei conti, sez.
unite, ebbe ad affermare che «l’affidamento nella sicurezza giuridica
costituisce invero un valore fondamentale dello Stato di diritto,
costituzionalmente protetto nel nostro ordinamento (cfr. Corte
costituzionale, sentenze 17 dicembre 1985, n. 349; 14 luglio 1988, n.
822; 4 aprile 1990, n. 155; 10 febbraio 1993, n. 39), ora ancor piu’
rilevante considerato che lo stesso legislatore prescrive che
l’attivita’ amministrativa sia retta (anche) dai principi
dell’ordinamento comunitario (art. 1, primo comma, della legge 7
agosto 1990, n. 241 quale modificato dall’art. 1 della legge 11
febbraio 2005, n. 15), nel quale il principio di legittimo
affidamento e’ stato elaborato dalla giurisprudenza comunitaria in
un’ottica di accentuata tutela dell’interesse privato nei confronti
delle azioni normativa e amministrativa delle istituzioni europee
(Corte di giustizia delle Comunita’ europee, 15 luglio 2004, causa
C-459/02; 14 febbraio 1990, causa C-350/88; 3 maggio 1978, causa
112/77)»;
Che analoga criticita’ e’ dato riscontrare sul piano della
cd. «adeguatezza» (art. 38, secondo comma, Cost.) della prestazione
pensionistica nel tempo a seguito della vigenza della norma dianzi
citata e censurata; mentre infatti puo’ ritenersi oramai acquisito il
concetto secondo cui il rispetto del precetto costituzionale
dell’adeguatezza presuppone la permanenza delle condizioni di
effettivita’ della protezione economica garantita, effettivita’ che
viene a mancare quando una legge non preveda l’adeguamento (non
necessariamente per mezzi di meccanismi automatici, cfr. Corte cost.,
sentt. n. 457 del 1998 e n. 280 del 1974) dell’importo della
prestazione al mutamento nel tempo dei valori monetari (Cod. cost.,
sent. n. 487 del 1988), problematici e poco indagati sono i limiti
posti al legislatore il quale, se puo’ intervenire in senso
peggiorativo per «inderogabili esigenze», non puo’ conculcare i
diritti pensionistici «in misura notevole» e in «maniera definitiva»,
tanto piu’ che nell’urto della garanzia dell’adeguatezza con
l’esigenza dell’equilibrio di bilancio, la prestazione sociale, nel
bilanciamento degli interessi, tendenzialmente resiste, come peraltro
testimoniato dalla stessa legge costituzionale n. 1 del 2012 (pur in
vigore dal 1° gennaio 2014), che, all’art. 5, primo comma, lett. g),
prevede che la legge di cui all’art. 81, sesto comma, della
Costituzione (come sostituito dall’art. 1 della medesima legge
costituzionale) «[…] concorre ad assicurare il finanziamento, da
parte degli altri livelli di governo, dei livelli essenziali delle
prestazioni e delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili
e sociali»;
Che in tale logica, la rilevanza della congiuntura economica,
sempre piu’ incombente, non puo’ incidere in modo p

reminente e
comunque senza limiti irragionevolmente valicabili, sul principio di
adeguatezza dei mezzi da apprestare per le esigenze di vecchiaia dei
lavoratori (art. 38 Cost.) e neppure su quello di «retribuzione
proporzionata e sufficiente» (art. 36 Cost.), laddove il trattamento
pensionistico venga assimilato ad una «retribuzione differita» (Corte
cost., sent. n. 116 del 2013);
Che anche la Corte di Giustizia, fin dalla decisione C-12/77
del 3 maggio 1978 (Topfer), ha affermato che «il principio di tutela
dell’affidamento fa parte dell’ordinamento giuridico comunitario»;
Che per quanto suesposto, ai sensi dell’art. 23 secondo comma
della legge n. 87 del 1953, appare rilevante e non manifestamente
infondata la questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 24,
comma 25, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni
urgenti per la crescita, l’equita’ e il consolidamento dei conti
pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre
2011, n. 214, per contrasto con gli articoli 3, 53, 36 e 38 della
Costituzione, nonche’ con l’art. 117, primo comma, Cost. per
violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (art. 6,
diritto dell’individuo alla liberta’ e alla sicurezza; art. 21,
diritto di non discriminazione, che include anche quella fondata sul
«patrimonio»; art. 25, diritto degli anziani, di condurre una vita
dignitosa e indipendente; art. 33, diritto alla protezione della
famiglia sul piano giuridico, economico e sociale; art 34, diritto di
accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali),
come anche interpretata dalla Corte di Strasburgo.
P. Q. M.

La Corte dei conti – Sezione giurisdizionale regionale per
l’Emilia-Romagna in funzione di giudice unico delle pensioni in
composizione monocratica, visti gli artt. 134 della Costituzione; 1
della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1; 23 della legge 11
marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata,
per contrasto con gli articoli 3, 53, 36 e 38 della Costituzione,
nonche’ con l’art. 117, primo comma, Cost. per violazione della
Convenzione europea dei diritti dell’uomo (art. 6, diritto
dell’individuo alla liberta’ e alla sicurezza; art. 21, diritto di
non discriminazione, che include anche quella fondata sul
«patrimonio»; art. 25, diritto degli anziani, di condurre una vita
dignitosa e indipendente; art. 33, diritto alla protezione della
famiglia sul piano giuridico, economico e sociale; art. 34, diritto
di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi
sociali), come anche interpretata dalla Corte di Strasburgo, la
questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 24, comma 25, del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la
crescita, l’equita’ e il consolidamento dei conti pubblici),
convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.
Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, con
la prova delle notificazioni e delle comunicazioni prescritte
nell’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (ex artt. 1 e 2 del
regolamento della Corte costituzionale 16 marzo 1956), con
sospensione del giudizio.
Ordina che, a cura della segreteria della Sezione, la presente
ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del
Consiglio dei ministri, nonche’ comunicata ai Presidenti delle due
Camere del Parlamento.
Cosi’ deciso in Bologna, nella pubblica udienza del giorno 26
novembre 2013-10 dicembre 2013.

Il giudice: Pieroni
II direttore di segreteria: Natalucci