Renzi riforma a metà di una sinistra che insegue Beppe Grillo

di Giuseppe Turani
Pubblicato il 1 Agosto 2017 - 07:15 OLTRE 6 MESI FA
Renzi riforma a metà di una sinistra che insegue Beppe Grillo

Renzi riforma a metà di una sinistra che insegue Beppe Grillo

ROMA – La sinistra incompiuta di Matteo Renzi si ritrova a girare a vuoto, perché la verità è che la politica italiana non sa dove andare. L’articolo di Giuseppe Turani su Uomini e Business:

“Bisogna andare indietro, verso i grandi leader storici del Pci o del Psi, per trovare un’ammirazione come oggi c’è nel Pd per Matteo Renzi. Se non siamo al culto della personalità di antica memoria, poco ci manca.

E questo è certamente positivo. Di questi tempi un leader amato e condiviso è un bene prezioso. Viene però anche un sospetto, che forse è bene spiegare apertamente.

Renzi è stato visto, subito, come la risposta a tutto quello che la sinistra in questi anni non è riuscita a fare. Questa sinistra stava soffocando sotto la propria miseria intellettuale, ancorata alla vecchia linea ”lo Stato tassa e poi distribuisce”. La sinistra italiana non ha mai fatto la sua rivoluzione modernista. Ancora oggi la Cgil è lì che chiede tasse patrimoniali tremende e altro. E tutta la vecchia “ditta” bersaniana in fondo non era molto lontana dallo schema classico: noi Stato facciamo pagare i ricchi e poi diamo ai meno ricchi.

Dentro questa specie di palude culturale e politica è piombato Renzi e ha fatto strage. I “vecchi” hanno scelto  di andarsene, non contano quasi più niente, e non riescono nemmeno a mettersi d’accordo fra loro cinque. E questo appartiene alla tradizione della sinistra, sin dal congresso di Livorno. In un certo senso, la storia della sinistra è una storia ininterrotta di scissioni. Per  motivi che all’apparenza sembravano sempre validissimi, ma che poi si rivelavano, se non pretestuosi, vuoti di contenuto reale.

L’asso nella manica di Renzi è stato il parlar moderno. Il dire che una società di oggi può essere di sinistra scegliendo di essere liberal-democratica. In sostanza, affidandosi molto ai meccanismo di mercato.

Ma, di nuovo, nemmeno lui aveva e ha alle spalle un’elaborazione convincente su cosa sia essere liberal-democratici davvero. In più ha un problema: quello di vincere le prossime elezioni (impresa palesemente impossibile con i sistemi elettorali di cui si parla). E questo complica molto le cose: si ha sempre l’impressione che il meglio sia rimandato a un domani che finora non abbiamo visto e che forse non è proprio alle porte.

Da qui il girovagare della politica italiana in queste settimane un po’ su se stessa. Renzi parla molto dei suoi mille giorni a palazzo Chigi e assai meno di quello che farebbe se gli riuscisse di tornarci. Questo vuoto per quel che riguarda il domani sta provocando una sorta di riflusso della politica.

Non ci sono indicazioni di grandi scelte strategiche, ma solo una melma tattica. In cui sembra che il problema principale sia capire che cosa farà Pisapia. O Orlando.

Naturalmente Renzi parla con orgoglio dei suoi mille giorni, che purtroppo si sono conclusi con il disastro del referendum (disastro da lui gestito). E in effetti ha fatto moltissime cose.

Ma non ne ha fatte tre, che invece hanno l’aria di essere quelle decisive:

1- Non ha approfittato di una stagione con il denaro a costo zero per dare una spallata storica al debito pubblico italiano. E questo, forse, avrebbe dovuto essere il primo obiettivo.

2- Non credo che abbia allargato l’area delle imprese private, che stanno sul mercato, rispetto a quelle pubbliche. Ma questo è un tratto distintivo della cultura liberal-democratica: non  averlo fatto non è un buon segno.

3- Più in generale non credo che nei mille giorni sia diminuita la quota di reddito nazionale intermediata dallo Stato. Ma questo dovrebbe essere un obiettivo strategico in un paese che vanta un’infinità di attività economiche riconducibili allo Stato, in genere per ragioni clientelari e dissipatrici di pubblico denaro.

In compenso abbiamo avuto un certo inseguimento delle più sciagurate idee grilline: dai limiti agli stipendi dei manager pubblici (così uno come Marchionne non si troverà mai, nemmeno fra mille anni) alla farsa dei vitalizi degli ex-deputati: come se queste fossero questioni in grado di spostare di una sola virgola i destini italiani e non delle sciocche trovate del comico genovese, che non passa per essere uno statista.

Insomma, la politica gira un po’ a vuoto e a sinistra ci si divide e si litiga perché non è chiaro dove bisogna andare. O non si ha il coraggio di dirlo e allora si parla d’altro”.