“Bolla” di bambini dislessici: 20% secondo diagnosi, il 17% è inventato

di Riccardo Galli
Pubblicato il 16 Dicembre 2011 - 16:38 OLTRE 6 MESI FA

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ROMA – Il 18/20% dei bambini che frequentano le scuole elementari italiane sono dislessici. O almeno questo dicono le diagnosi. Possibile che un bambino su 5 sia dislessico? Siamo un Paese di dislessici? Assolutamente no, stando all’Istituto di Ortofonologia (Ido) di Roma, autore di un’indagine presentata oggi a Montecitorio durante la conferenza intitolata «La Scuola dell’obbligo ed i disturbi specifici dell’apprendimento», si può ipotizzare che solo il 3% di questi bambini sia veramente affetto da dislessia. Federico Bianchi di Castelbianco, direttore dell’Ido, è netto: «Una percentuale troppo alta che non può rispecchiare la realtà».

Ma allora perché la dislessia viene diagnosticata quasi nel 20% dei casi? Da dove arriva quel 17% di differenza tra diagnosi e realtà? Semplice, arriva da diagnosi frettolose e inesatte. La dislessia è una sindrome classificata tra i Disturbi specifici di apprendimento che si manifesta con la difficoltà di imparare la lettura, la scrittura o il calcolo aritmetico nei normali tempi e con i normali metodi di insegnamento. Questa difficoltà si ripercuote sul piccolo paziente causandone un forte disagio emotivo, che finisce per essere considerato un tipico sintomo della malattia e purtroppo sempre più spesso causa di diagnosi errate. Questo significa che ci sono migliaia di bambini che vengono trattati come se soffrissero di una disabilità che invece non hanno. «È come se un medico diagnosticasse il morbillo a un bambino che invece ha la rosolia», sottolinea Bianchi di Castelbianco.

«Così da un lato i bambini si ritrovano dirottati su percorsi alternativi come portatori di una disabilità che non hanno, con oneri economici non sostenibili e totalmente inutili – dice il direttore dell’Ido -. Dall’altro il loro vero problema non solo non verrà affrontato, ma lascerà un vuoto di conoscenze che si ripercuoterà pesantemente sul loro curriculum di studi».

Porre rimedio a questa bulimia di diagnosi non è semplice, soprattutto nel contesto sociale in cui i bambini crescono. Spesso da loro ci si aspetta il massimo e, a volte, anche di più. «Se prima – spiega Bianchi di Castelbianco – i bambini avevano due anni di tempo per imparare a scrivere e a leggere, ora ci si aspetta che facciano tutto in tre mesi. I tempi di apprendimento si sono abbreviati e questo li può portare a sentirsi inadeguati di fronte alle pretese degli adulti».

Il mancato raggiungimento dell’obiettivo, quindi, finirà inevitabilmente con il creare un disagio emotivo nel bambino. «Sintomo, questo, che può essere confuso come un segnale della dislessia», sottolinea l’esperto. A questo poi va aggiunta la mancanza di strumenti diagnostici oggettivi. La dislessia, infatti, è ancora oggi una patologia su cui si sa molto poco. «Non c’è certezza sulle origini – spiega Castelbianco – e viene diagnosticata con discutibili questionari. È nostro dovere evitare che i bambini paghino le conseguenze di un vuoto».