Una Camera a sorteggio e non votata , peggio di così…O ancora peggio?

di Riccardo Galli
Pubblicato il 5 Gennaio 2012 - 15:47 OLTRE 6 MESI FA

Camera dei deputati (Lapresse)

ROMA – Che la democrazia sia un sistema fallibile è un fatto. Ideato dagli uomini, ha naturalmente  dei limiti. Che l’interpretazione italica della democrazia abbia prodotto risultati discutibili è altrettanto certo. E allora perché non “delegare” una parte della nostra democrazia alla fortuna e al caso? Qualche giorno fa, dalle colonne del Corriere, Michele Ainis (non nuovo ad accendere dibattiti sul tema) ha lanciato una proposta/provocazione: trasformare una delle due Camere del nostro Parlamento in una Camera i cui rappresentati siano scelti per sorteggio e non per elezione. Se la scelta dei nostri rappresentanti ha prodotto Scilipoti e una diffusa sfiducia verso l’istituzione parlamentare, perché non tentare vie nuove per cercare di riavvicinare la base alle istituzioni? Meglio quindi il sorteggio del voto?

La proposta, per ammissione dello stesso Ainis, era una provocazione. L’idea del sorteggio non è nuova, risale almeno ad Aristotele, ed in alcune realtà locali è applicata anche oggi ma, nonostante questo, l’idea del sorteggio ha raccolto più critiche che consensi. Almeno per quanto riguarda attori “illustri” della democrazia italiana, come Giovanni Sartori e Luciano Violante. Altro discorso per quanto riguarda invece la “gente” che, dice Ainis, ha risposto favorevolmente alla sua strampalata o suggestiva idea.

Ma i nostri rappresentanti è meglio sceglierli, se di scelta si può parlare con l’attuale legge elettorale, o è meglio sorteggiarli? Da un punto di vista d’immagine è quasi certamente meglio sorteggiarli visto che gli ultimi eletti hanno trascinato mai come prima in basso l’opinione che gli italiani hanno dei parlamentari. Dubbi rimangono invece sulla competenza e sull’efficacia che dei sorteggiati potrebbe avere. Anche se, a giudicare da alcune figure che abitano il nostro Parlamento, parlare di competenza appare risibile anche con gli eletti.

Al di là della demagogia di un sorteggio che facilmente trova consenso tra “il popolo”, la questione della rappresentanza è una questione di certo viva nel nostro ordinamento. Che ci sia bisogno di cambiare qualcosa è certo. E il referendum che dovrebbe abrogare il porcellum, invocato anche da Violante, non sembra essere la soluzione, almeno non quella con la “S” maiuscola. Primo perché non è detto che passi: il referendum è una consultazione abrogativa, che cancellerebbe quindi l’attuale legge elettorale ma, cancellato il porcellum, il ritorno alla precedente legge elettorale, il mattarellum, è una forzatura legislativa per nulla scontata. Si rischierebbe quindi, con il referendum, un vuoto normativo in tema di legge elettorale.

Serve una sede di rappresentanza degli esclusi – i giovani, le donne, i disoccupati, ma in fondo siamo tutti esclusi da questo Parlamento. Ne ha parlato Carlo Calenda sul Foglio del 29 dicembre, proponendo che il Senato diventi una «Camera dei cittadini» formata per sorteggio, in modo da riflettere il profilo socio-demografico del Paese. Un’idea bislacca? Mica tanto. La demarchia – la democrazia del sorteggio – va prendendo piede in tutto il mondo, quantomeno nelle esperienze di governo municipale. Anche in Italia: per esempio a Capannori, nella provincia di Lucca. Mentre a novembre in Svizzera un ventottenne ha conquistato il Parlamento grazie ai favori della sorte (aveva preso lo stesso numero di voti di un’altra candidata). E vale pur sempre la lezione di Aristotele: lui diceva che l’elezione è tipica delle aristocrazie, il sorteggio delle democrazie. Scriveva Ainis.

Camera dei cittadini? Si disse così, mi pare, nel corso della Rivoluzione francese; ma certo non è una dizione da costituzionalista. Se viviamo, come è, in democrazie rappresentative, le Camere sono e devono essere di rappresentanti. Tornando alla Camera dei sorteggiati, Ainis si chiede: «Una idea bislacca?». Risponde: «Mica tanto… la democrazia del sorteggio va prendendo piede in tutto il mondo quantomeno nelle esperienze dei governi municipali». Appunto, qui il discorso precipita da 60 milioni di italiani al livello (numerico) di Capannori (provincia di Lucca). E il Nostro conclude così: «Una Camera di cittadini sorteggiati con funzioni di stimolo e di controllo sulla Camera elettiva aiuterebbe le nostre istituzioni a trasformarsi nello specchio della società italiana». Sarebbe davvero un bel risultato, visto che l’Italia viene assegnata da una ricerca al sessantesimo posto (uno più, uno meno) dei Paesi più corrotti del mondo. Il prof. Ainis aiutando, forse al prossimo giro saremo ancora peggiorati scendendo al settantesimo. Ha risposto piccato Sartori.

Ma ancor più piccato, vuoi forse perché sentitosi chiamato in causa, ha risposto Violante. L’esercizio del mandato parlamentare richiede studio e competenze. Il neoparlamentare deve acquisire conoscenze specialistiche complesse, da quelle finanziarie a quelle costituzionali, secondo la Commissione cui è assegnato. Deve costruire un proprio ruolo autorevole in Parlamento e nella interlocuzione con il governo e le organizzazioni sociali. Queste competenze richiedono anni di lavoro. In un mondo del lavoro flessibile la professione politica diventa inflessibile per natura quindi. La proposta di Ainis era provocatoria e forse è inattuabile nella realtà, ma le reazioni che nel calcio verrebbero definite scomposte, danno forse una risposta alla domanda, meglio eletti o sorteggiati. E come chiosa Ainis nella sua contro replica citando Voltaire: «Volete buone leggi? Bruciate quelle che avete, e fatene di nuove».