Clima, Onu: 2016 anno più caldo di sempre. Trump non ci crede e se ne frega
Pubblicato il 14 Novembre 2016 - 13:35 OLTRE 6 MESI FA
WASHINGTON – Clima, l’Agenzia per così dire addetta al clima dell’Onu fa sapere che tutto indica che il 2016 sarà alla fine l’anno più caldo di sempre. Aumento della temperatura media sul pianeta di 1,2 gradi rispetto all’era alla media dell’era pre industriale.
Un grado virgola due vuol dire oggi secondo l’Agenzia Onu e secondo la stragrande maggioranza dei climatologi il ghiaccio artico che già squaglia e svanisce, la barriere coralline che sbiancano e muoiono, eccessi climatici in ogni dove.
Oggi…e domani? Circa 150 paesi hanno appena firmato l’accordo di Parigi sul clima. L’inchiostro è ancora fresco. L’accordo prevede di fare qualcosa, limitare emissioni di gas serra e ridurre di molto il consumo di combustibili quali petrolio e carbone. Per riuscire a contenere l’aumento della temperatura del pianeta entro due gradi in più alla fine del secolo in corso. Sopra i due gradi di aumento, dicono i climatologi, è la rovina: mari che si innalzano, zone costiere allagate, maggiore desertificazione…Sotto i due gradi di aumento non si sa, ma si spera la Terra che gli umani conoscono se la possa cavare senza cambiare troppo i connotati.
Ma…ma c’è un ma grosso come una casa, anzi come una torre. Il ma è il presidente degli Stati Uniti che al clima nei guai non ci crede, ha più volte detto che questa tesi è estremista e gonfiata ad arte. Non ci crede Trump e sta cercando ogni via possibile per sfilare gli Usa dall’accordo di Parigi. Se si sfilano gli Usa, si sfilano gli altri ovviamente e l’accordo è morto.
Coerente con se stesso e la sua visione del mondo, Trump non ci crede e quindi se ne frega. E prepara, spinge, organizza il suo paese a produrre e consumare più petrolio e carbone di prima. Mano libera alle trivelle e riapertura delle miniere di carbone. Due misure che, in sostanza, significano l’addio agli accordi di Parigi. Al clima da salvare Trump preferisce di gran lunga ridare il posto di lavoro ai minatori e dare piena libertà di fracking, cioè di estrazione di petrolio dalle sabbie bituminose. La dottrina energetica del neo eletto presidente Donald Trump si può tradurre, in sintesi, in un semplice slogan: “Che si fotta l’ambiente”.
Sul fronte energetico le idee del tycoon sono quelle annunciate in campagna elettorale e confermate nelle prima uscite ufficiali: incremento della produzione di combustibile fossile finalizzata all’aumento dei posti di lavoro nel settore. Incremento che passa per la riapertura e la riattivazione dei siti distribuiti lungo una fascia che va dalla Pennsylvania al West Virginia e che un tempo incarnava il tesoro sotterraneo degli Usa. Quel tesoro che alimentava l’industria manifatturiera pesante e che era la spina dorsale dell’economia a stelle e strisce, e riapertura che significa, nei piani e nelle speranze di ‘The Donald’, restituire vitalità a quelle regioni e creare milioni di posti di lavoro.
“Questo è il nostro tesoro – ha spiegato Trump -, e noi abbiamo il diritto di farne ciò che vogliamo”. E poi l’abolizione delle restrizioni alle compagnie petrolifere e del gas che ora sono regolamentate dai singoli stati dell’Unione, nonché la revoca delle moratorie sulla produzione di energia e l’abolizione delle restrizioni sulle nuove tecnologie di perforazione. Cosa che in sostanza vuol dire via libero più o meno incondizionato alla contestata tecnica estrattiva del fracking.
E ancora il sostegno alla creazione di nuovi oleodotti e gasdotti, su tutti il Keystone XL. Un progetto stoppato dall’amministrazione Obama, che prevedeva il trasporto di 550 mila barili di greggio al giorno estratto dalle sabbie bituminose dell’Alberta, in Canada, sino agli hub nel Golfo del Messico per essere da lì immesso nel mercato mondiale. Il tutto, inevitabilmente, a discapito dell’ambiente e dei cambiamenti climatici. Più trivelle e più petrolio significa infatti maggior rischio d’incidenti e di dispersione di greggio, ma significa soprattutto nuovi siti da aprire e sfruttare e nuove emissioni.
Come più miniere di carbone e una conseguente iperproduzione di anidride carbonica dovuta all’utilizzo del combustibile fossile forse più inquinante in assoluto. D’altra parte erano queste le ragioni che avevano convinto Obama a stoppare l’autostrada per il greggio e a far rinunciare al carbone. Ragioni che stavano e stanno ancora oggi alla base dell’accordo internazionale sul clima firmato a Parigi, quello stesso accordo che Trump vorrebbe disconoscere. Non è infatti un mistero che il nuovo inquilino della Casa Bianca ritenga i cambiamenti climatici e l’aumento della temperatura terrestre se non vere e proprie fandonie, almeno notizie ingigantite ad arte dal nemico Cinese per danneggiare il primato americano.
Ma se sul fronte interno nulla o quasi può però fermare il presidente eletto dall’applicare le sue idee, diverso è il discorso su quello internazionale. Trump sta effettivamente cercando una scorciatoia per uscire dal Trattato sul clima di Parigi, come ha rivelato alla Reuters una fonte del Team per la transizione, ma l’intesa contro il riscaldamento globale è un trattato internazionale firmato in sede Onu, già entrato in vigore anche per Washington. E questo comporta non poche complicazioni. L’idea dei consiglieri di Trump è allora quella di studiare un modo per by-passare la procedura lunga 4 anni per uscire dall’accordo.