Mare Nostrum è alla frutta, si torna ai respingimenti (mascherati)

di Riccardo Galli
Pubblicato il 26 Agosto 2014 - 13:59 OLTRE 6 MESI FA
Lo sbarco dei migranti a Pozzallo (Foto Lapresse)

Lo sbarco dei migranti a Pozzallo (Foto Lapresse)

ROMA – L’operazione “Mare Nostrum” così com’è non può durare ed è, già nel breve periodo, destinata a finire. Troppo onerosa per le casse pubbliche con il suo conto di oltre 9 milioni al mese solo per la Marina. Senza contare le altre numerose spese oltre a quelle per tenere in mare le navi-soccorso. Ma il problema più grande e la ragione vera che decreteranno la fine dell’operazione messa in campo dalla Marina Italiana all’indomani del tragico naufragio in cui persero la vita oltre 300 migranti non sono i soldi. Lo stop a Mare Nostrum ormai alla frutta è la sua ingestibilità politica: nessuna opinione pubblica, nessun elettorato italiano e/o europeo è in grado di accettare e digerire un esodo come quello in atto dalle coste africane. Un esodo definito “biblico” dalla Santa Sede. Al netto quindi dei colloqui tra Italia ed Europa, cominciati oggi a Roma, nella gestione del problema immigrazione si assisterà quindi ad un cambio di rotta e, in un certo senso, ad un ritorno al passato.

Il ritorno al passato sono i “respingimenti”, cioè l’intercettazione dei barconi da parte delle navi militari e quindi il risospingerli verso le coste africane. Con tutta probabilità la parola respingimento non verrà usata perché troppo urticante. Probabilmente di dirà di “dirottamento” o qualcosa di simile. Ma la sostanza è che sarà spezzato l’automatismo tra avvistamento del barcone e trasbordo di chi ci è sopra su una nave italiana che poi sbarca tutti in porto. Su questo automatismo fanno oggi conto gli scafisti, quelli che organizzano il traffico. Le unità di Mare Nostrum sono ben oltre metà strada tra l’Italia e la Libia, quindi i mercanti di umani mettono in acqua qualsiasi cosa galleggi appena un po’, talvolta anche con pochissimo carburante. Poi lanciano l’allarme e la nave di Mare Nostrum arriva.

Non sempre arriva e quindi in molti muoiono affogati. Ma la frequenza con cui arriva il soccorso/trasbordo se ha salvato migliaia e migliaia di vite non per questo ha eliminato i naufragi e le morti di massa in mare. Proprio perché ha reso più praticabile l’azzardo della traversata. E’ questo il fallimento per così dire tecnico di Mare Nostrum. Poi vi è quello politico, il colossale si fa ma non si dice intorno all’emigrazione disperata. A decine di migliaia, presto centinaia di migliaia, fuggono dalla guerra, dalle guerre. Guerre feroci e di sterminio: Siria, Iraq, Somalia, Mali, presto Libia stessa. Come esuli da guerre hanno diritto in Europa all’asilo politico. Ma nessun paese, governo, elettorato vuol farsi carico di centinaia di migliaia di asili politici, oltre quelli che già ha in casa (l’Italia finora ne ha concessi meno di tutti, la Germania più di tutti).

E allora l’Italia trasborda e sbarca tutti quelli che soccorre. Poi se li dimentica, spesso non li identifica, nella speranza vadano altrove in Europa. Infatti dei centomila sbarcati nel 2014 almeno il 60 per cento ha già lasciato l’Italia per raggiungere altri paesi europei dove hanno parenti o vedono maggiori opportunità economiche. Quel che gli altri paesi europei non vogliono non è partecipare con qualche nave o spendere qualche decina di milioni di euro. Non vogliono smantellare la norma per cui chi sbarca resta nel paese dove ha chiesto asilo politico. Simmetricamente l’Italia, storicamente avara nella concessione di questo status (la gente pensa il contrario ma si sbaglia e di grosso), non può permettersi decine di migliaia e forse più di migranti in casa con asilo politico (proprio perché la gente pensa siano già stati concessi come se piovesse).

“Un po’ meno Italia e un po’ più Europa nel Mediterraneo – scrive Claudia Fusani sull’Huffington Post -. Ma soprattutto un cambio di politica: meno accoglienza, più dirottamenti e più assistenza direttamente nei paesi di transito della biblica fuga dalle guerre e dal Medioriente”.

Sarebbero dunque queste le linee guida della nuova politica in tema di immigrazione targata Europa e non più solo Italia. Il nostro Paese da tempo chiede un maggior impegno di Bruxelles nella gestione dell’emergenza e, da altrettanto tempo, Bruxelles nicchia. A Roma oggi e proprio nella capitale belga domani sono in programma una serie di incontri tecnici e politici per dare nuovo impulso a quella che oggi è l’agenzia per l’immigrazione europea: Frontex.

Nei piani e nelle anticipazioni si parla del passaggio ad un fantomatico Frontex Plus, sottointendendo un maggiore impegno continentale. Ma come racconta proprio la Fusani, l’agenzia europea non è in grado oggi, e non lo sarà domani, di sostituirsi al nostro Paese e all’operazione Mare Nostrum. “Michele Cercone – si legge sull’Huffington -, portavoce del commissario Malmstrom, lascia intendere che ‘potrebbero essere affidati a Frontex più uomini e più mezzi’ (diventerebbe così Frontex plus) ma questo non significa in alcun modo, come invece ha chiesto Alfano, ‘sostituire Mare nostrum (il pattugliamento nel Mediterraneo tra Italia e Africa da parte della navi della Marina iniziato nell’ottobre 2013 dopo i 340 morti e che costa all’Italia 300 mila al giorno, 9 milioni al mese, ndr) con Frontex’. E’ semplicemente impossibile visto che il budget dell’agenzia è di 80 milioni l’anno di cui 20 se ne vanno per le spese di gestione dell’agenzia. A parte che sarebbe carino analizzare le spese di gestione, è chiaro che si tratta di cifre ridicole rispetto all’enormità dell’operazione. Parleranno oggi i tecnici. Ascolteranno soprattutto l’Italia, che guida il semestre, cosa vuole, cosa chiede. Al di là dei soldi che sono già stati stanziati (315 milioni tra il 2014 e il 2020; erano stati 500 tra il 2007 e il 2014) e sono e restano briciole. Ma siamo, si fa notare, il secondo paese beneficiario dopo la Spagna”.

E questo perché nonostante l’oggettiva bontà dell’operazione della nostra Marina, operazione che ha permesso di salvare migliaia di vite, ma che ha anche obiettivamente incoraggiato gli scafisti a gettarsi nella traversata sapendo di poter contare sull’aiuto delle navi militari italiane pronte a recuperare chiunque sia in difficoltà, non è questa un’operazione “digeribile” dalle opinioni pubbliche europee. O meglio, quello che non è digeribile è la marea umana che si sta riversando sulle coste del Vecchio Continente.

Tutti siamo infatti più o meno concordi, italiani, francesi, tedeschi e via dicendo nell’affermare che non si possono lasciare morire in mezzo al mare migliaia di migranti. Ma nessuno o quasi è disposto ad accoglierne nel proprio paese un numero senza limiti.

Si tornerà quindi ad una politica di respingimenti, seppur sostituendoli con più accattivanti e moralmente corrette definizioni come “riaccompagnamenti”. L’Europa avrà un ruolo più centrale, smettendo di far fare all’Italia tutto o quasi il lavoro, ma applicando una politica che punti comunque a limitare gli arrivi ad una quota “sostenibile”.

“’Si lavorerà – spiega la fonte a Bruxelles e riporta la Fusani– su alcune possibili soluzioni’. Ad esempio ‘andare a gestire i flussi di profughi e migranti nei paesi di transito, prima di farli imbarcare’. Un piano di accoglienza internazionale, gestito da Nazioni Unite e Bruxelles, in base al quale ‘ogni paese fissa una quota di rifugiati somali, eritrei e siriani che vengono portati nei vari paesi europei direttamente dai campi profughi’. E’ un’idea che frulla da tempo nella testa di tecnici e politici del Viminale (il sottosegretario Manzione) e ribadita dal presidente della Camera Laura Boldrini. La fonte di Bruxelles fa notare che già adesso ‘l’Europa dà 2,3 miliardi alla Siria per gestire i campi profughi e ha predisposto un piano per cui vengono dati 6mila euro a chi ospita e reinstalla nel proprio Paese un rifugiato’. Ma la vera novità è un’altra. La svela la fonte di Bruxelles: ‘Dobbiamo lavorare per rinegoziare gli accordi di riammissione in paesi come Tunisia, Egitto e Marocco’. La esplicita la fonte del Viminale: ‘Dirottare le persone raccolte in mare in Tunisia e Egitto, non farle più arrivare in Italia a meno che non abbiano già avviato le procedure per lo status di rifugiati e quindi si siano già fatti identificare prima di imbarcarsi’”.