Austerità, madre di recessione: autocritica del Fmi a guida francese

di Salvatore Gatti
Pubblicato il 8 Gennaio 2013 - 18:53| Aggiornato il 26 Febbraio 2020 OLTRE 6 MESI FA
Christine Lagarde, direttrice del Fondo Monetario Internazionale (LaPresse)

Un box. Il numero 1.1. Nell’ultimo numero del World Economic Outlook del Fondo monetario internazionale. Un box, cioè una notizia breve messa in evidenza da una cornice? In realtà un primo, prudente accenno di autocritica che è destinato a cambiare, sia pur cautamente, sia pur parzialmente il Fmi. E che cambierà un po’ il ruolo del Fondo nel salvataggio dell’economia planetaria.

Che dice?

“Are we underestimating short term fiscal multipliers?”: non è che abbiamo sottovalutato gli effetti a breve termine dei moltiplicatori fiscali?

Con un linguaggio molto tecnico (con l’avvertenza che lo studio va interpretato), gli economisti del Fondo monetario internazionale fanno autocritica: non sono più sicuri della perfezione dottrinale della politica economica della austerity che hanno sempre imposto ai paesi nei quali sono intervenuti. Hanno infatti sottovalutato gli effetti recessivi delle loro politiche.

“Abbiamo fatto errori di previsione sulla crescita e sui cosiddetti moltiplicatori fiscali, sugli effetti sulla disoccupazione”.

(Non solo, ma c’è una prova empirica che si aggiunge al ragionamento del box 1.1: nelle nazioni colpite dalla austerity il debito pubblico continua a salire). Non che si debba abbandonare il rigore fiscale, ovviamente, ritiene il Fmi. Però qualcosa cambierà. E di chi è il merito di questo abbozzo di rivoluzione? Soprattutto di Olivier Blanchard, francese, chief economist del Fondo monetario, un PhD al Massachusetts Institute of Technology.

C’è chi fa notare che non si tratta della posizione ufficiale del Fondo, che è solo l’opinione di Blanchard, però in precedenza da quegli uffici, a Washington, non era mai trapelato nemmeno un sussulto di dubbio.

Ma se Fondo cambia o almeno rettifica con cautela la propria linea (per ora solo sullo “short term”), come cambierà il destino del mondo? Si seguirà una nuova linea: rigore, si, ma insieme crescita? E il mostro del debito pubblico che rischia di strangolare Stati Uniti, Europa e Giappone? Salvo emergenze, andrà affrontato con più gradualità. Certo, abbiamo vissuto per decenni al di sopra dei nostri mezzi, bisognerà ridurre il nostro tenore di vita, tagliare pensioni, sanità, costo del lavoro. Ma gradualmente. Nascerà inevitabilmente un nuovo modello di capitalismo. Ma che pensano della austerity i maggiori economisti mondiali? La pensano come Blanchard? E chi difende invece la vecchia e cieca austerity? Vediamo.

Contro la austerity.

“La austerità non funziona. L’Europa è stata salassata. Roba da Medioevo”,

tuona il capofila dei nemici dell’austerity, il premio Nobel per l’Economia Paul Krugman, nel suo blog sul “New York Times”. E prosegue:

“I tecnocrati spingono i loro popoli ad accettare l’aspra medicina della austerity. Ma falliscono, lasciandoli sanguinanti”.

Perché le loro economie diventano sempre più deboli e diventano incapaci di agguantare la crescita. Per ora, la dottrina Merkel, con l’appoggio del “vecchio Fmi” e della Unione Europea, ha profondamente ferito e continua a ferire la Grecia. Poi, se non si cambia rapidamente linea, a chi toccherà?

“La Germania ha adottato delle politiche che gli altri Stati non possono imitare”,

è il pensiero di un altro Nobel per l’Economia, Joseph Stiglitz, secondo il quale

“la Merkel ha provato ad applicarle all’Europa ma ciò facendo anziché risolverli ha aumentato i problemi dei paesi europei”.

Un giudizio secco. Condiviso da un altro Nobel, Amartya Sen:

“La politica della austerity è stata un fallimento; non solo non ha risolto la crisi della Eurozona, ma ha minato la partecipazione dei cittadini creando disaffezione verso la politica e le istituzioni”.

Ponendo così le basi di una deriva populistica di destra e di sinistra, anche dentro i grandi partiti storici, come ad esempio in Italia: un binomio molto pericoloso. Conclude un altro Nobel per l’Economia, Robert Solow:

“La austerity è la negazione della crescita. Serve invece un programma di stimoli”,

afferma con un pensiero costruttivo.

Per la austerity.

“La Eurozona è nata con molti difetti. Dieci anni dopo il suo varo è arrivata vicino al collasso. Ma tutte le economie europee dovranno cambiare e produrre ricchezza”,

afferma con decisione Wolfgang Schaeuble, ministro della finanze della Germania. E per farlo dovranno

“adattarsi ai rigori (sic!) di una economia mondiale altamente competitiva”: Rigore uber alles. E ammonisce: “Questo non è il momento di prendere scorciatoie”.

Tutto molto chiaro. La dottrina tedesca va applicata all’Europa.

Quando uscirne? Bisogna innanzitutto aspettare le elezioni politiche tedesche di settembre: prima di allora la Merkel non farà certamente autocritica, non ammetterà i propri errori come ha fatto invece il Fondo monetario: sarebbe elettoralmente un suicidio. Solo dopo potrà rettificare la sua linea di politica economica. Ma il Cancelliere tedesco è orgoglioso e difficilmente farà un cambiamento radicale, com’è invece indispensabile. Se poi perderà le elezioni (è possibile) e vinceranno i socialdemocratici tedeschi insieme ai verdi, la storia della Germania e dell’Europa cambierà direzione.

Rigore e crescita, insieme. Lasciamo per una volta la parola non a un’economista ma a un imprenditore, Alessandro Benetton: “Dopo il rigore serve la crescita”, afferma nel suo blog. E aggiunge: “La mia opinione è che non esistano ricette universalmente valide, sempre e comunque. Ogni situazione presenta le sue specificità. Certo, il rigore è una necessità per quei paesi che, negli ultimi decenni, hanno vissuto al di sopra dei propri mezzi. Tuttavia il rigore è una medicina amara che, a lungo andare, può dimostrarsi controproducente e avere effetti negativi non solo sulla crescita ma, paradossalmente, sullo stesso debito pubblico. E’ quindi indispensabile, anche quando si somministrano cure necessarie, non perdere mai di vista l’obiettivo di un rilancio complessivo dell’economia”.

“Rigore e crescita vanno tenuti insieme”, conferma Krugman. E a lui e soprattutto a Olivier Blanchard del Fondo monetario si aggiunge l’autorevole voce di un’altra organizzazione internazionale, la Ocse, per bocca del suo capo economista, Pier Carlo Padoan, che sostiene anch’egli che

“è possibile avere contemporaneamente crescita e rigore”.

Che fare? Senza necessariamente aspettare le elezioni tedesche è possibile che Fmi e Ocse (ma non solo loro, anche qualche istituzione europea, pubblica o privata) mettano a punto un piano di sviluppo per l’Eurozona e varii piani per i singoli paesi che ne fanno parte, improntati a una politica economica appunto di rigore e crescita.

Piani che si occupino di eurobond, di salari legati alla produttività e che non compromettano la piena occupazione, della nascita di un ministro unico della Economia e delle Finanze europeo con poteri adeguati alle necessità di rilanciare almeno le economie dell’Eurozona (salvo poter aprire questa auspicata occasione storica a tutti e 27 e paesi che fanno parte della Unione europea). Di una Bce con poteri pari a quelli della Federal Reserve statunitense. E di una riforma delle strutture amministrative dei paesi europei che rendano il Vecchio Continente “business friendly”. Un pacchetto di proposte, insomma, che possa avere l’avallo del direttore generale del Fondo monetario, la francese Christine Lagarde, e del suo capo economista, il “rivoluzionario” Olivier Blanchard.