Spread a 277, buono per Monti ma non per Ghizzoni e la nostra economia

di Salvatore Gatti
Pubblicato il 21 Febbraio 2013 - 07:31| Aggiornato il 21 Luglio 2022 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Il 20 febbraio lo spread, il differenziale di rendimento tra i Btp italiani e i Bund tedeschi a dieci anni, ha chiuso a 277 punti. I 277 punti sono la cifra magica indicata dal presidente del Consiglio, Mario Monti, come livello accettabile di spread. Ma perché “magica”? Perché Monti non la ha fissata in base a criteri economici condivisi: semplicemente ha preso come base la cifra di 575 toccata il 9 novembre del 2011, poco prima che Silvio Berlusconi venisse cacciato da Palazzo Chigi e sostituito appunto con Monti, perché l’Italia stava per cadere nel baratro (era questione di pochi giorni e infatti “Il Sole 24 Ore” titolò a piena pagina FATE PRESTO), baratro dal quale onestamente l’attuale inquilino di Palazzo Chigi ci ha salvato.

Ma che ha fatto Monti? Presa la cifra di 575 la ha divisa per due in base ai principi, si suppone, dell’aritmetica e non dell’economia: risultato, circa 277 (perché non la ha, quindi, divisa per quattro o per altri numeri?). Da allora è in auge la vulgata che 277 è buono per l’economia italiana, senza che si sia fatta un minimo di analisi critica. Analisi che è sta fatta, con coraggio, nei giorni scorsi da uno dei più importanti banchieri italiani, quel Federico Ghizzoni, amministratore delegato dell’ Unicredit, che ha osato sfatare il tabù del “buon 277”.

Ma cosa ha detto Ghizzoni? Che “nessuno parla più dello spread ma che ai livelli attuali di quota 270-280-290 è insostenibile per le banche e per le imprese. O si manda giù o ci sono problemi di serio recupero per l’ economia italiana. Questo è uno dei temi chiave che il prossimo governo dovrà affrontare chiunque sia al governo. Siamo ancora lontanissimi dai paesi del Nord Europa e questo costa caro alle banche e alle imprese”. Parole più che condivisibili, che sanno di economia e non di aritmetica