Legge elettorale: soglia di sbarramento e governabilità

di Salvatore Sfrecola
Pubblicato il 10 Giugno 2017 - 05:27| Aggiornato il 11 Giugno 2017 OLTRE 6 MESI FA
Legge elettorale: soglia di sbarramento e governabilità

Il Parlamento italiano (Ansa)

ROMA – Sembra sia in dirittura di arrivo la nuova legge elettorale, enfaticamente definita “alla tedesca” per far intendere che è capace di assicurare quella governabilità che oltre il Reno è garantita da sempre, anche quando nessun partito ottiene la maggioranza assoluta.

Naturalmente, come usa sulle rive del Tevere, dove purtroppo è evaporata la saggezza giuridica romana, le correzioni apportate al modello preso ad esempio hanno snaturano l’originale, sicché la legge in itinere è già definita maialinum, un “mega porcellum”, secondo la senatrice del Movimento 5 Stelle Paola Taverna. Infatti le liste sono bloccate, ciò che da sempre desiderano i capi dei partiti che, in tal modo, controllano i gruppi parlamentari e rafforzano il loro potere. Senza preoccuparsi della governabilità che interessa i cittadini ma della gestione dei bilanci pubblici alla quale comunque accedono in ragioni di coalizioni di governo che “democraticamente” si spartiscono la torta secondo le percentuali elettorali, insomma secondo il famoso “Manuale Cencelli”, anche sulla base di alleanze innaturali come quella alle viste tra Renzi e Berlusconi, l’unica possibile per fermare l’ascesa del Movimento di Grillo, che metterà in archivio le “prospettive riformiste” nelle quali credeva Walter Verini. Un Paese condannato alla instabilità che vuol dire ingovernabilità, il “trionfo del trasformismo”, come intravede Walter Veltroni.

Ecco perché i partiti hanno rigettato il Mattarellum che attraverso i collegi uninominali, consentiva agli elettori di individuare il candidato favorito o il meno peggio e che avrebbe effettivamente incoronato, al termine dello spoglio delle schede elettorali, chi avrebbe governato nei prossimi anni nel corso della legislatura. Invece preferiscono il proporzionale, così ognuno ha una fetta di potere che farà valere al tavolo delle trattative per la formazione del governo e degli incarichi parlamentari e “in proporzione” avrà una fetta di potere che cogestirà comunque. Potere che significa incarichi negli enti, nelle società e banche pubbliche, potere di gestire contratti di appalto ed assunzioni, il sottobosco nel quale si alimentano interessi non sempre limpidi.

Ce n’è abbastanza per giustificare quella disaffezione verso la politica che alimenta il successo dei cosiddetti populisti che non sono molto diversi dai partiti tradizionali, ma almeno si presentano come tali.

Tuttavia la “novità” della legge elettorale, della quale più si parla, è quella della soglia di sbarramento che impedisce l’ingresso in Parlamento ai partiti che non la raggiungono, quel 5% che sostituisce il 3% in precedenza previsto. La ragione della scelta è quella della semplificazione che, escludendo i piccoli partiti, i “cespugli”, come si dice nel linguaggio politico giornalistico, eliminerebbe il loro “potere di ricatto”, come esplicitamente affermato dai leader dei maggiori partiti quelli, in sostanza che nel tempo lo hanno subito.

Scenario verosimile certamente, ma che trascura la varietà e la variabilità delle scelte politiche parlamentari che caratterizzano il nostro mondo politico, perché lo sbarramento inevitabilmente favorirà la confluenza di gruppi e gruppuscoli in formazioni più ampie. Sicché l’effetto “ricatto”, parola brutta ma che potrebbe anche rivelare una più nobile difformità di opinioni su temi “sensibili”, si manifesterà all’interno dei partiti, che poi è quello che accadeva nella prima Repubblica quando i governi cadevano per manovre di correnti all’interno, soprattutto, della Democrazia Cristiana.

Questa varietà di opinioni è ineliminabile e non va eliminata, pena la crisi della democrazia che si regge sul consenso e sulle idee. Queste e non le indicazioni provenienti da interessi economici particolari dovrebbero governare i partiti i quali si presentano all’elettorato sulla base di una piattaforma programmatica, illuminata da idee forti che limiterebbero in radice la possibilità di influenze di interessi esterni non coerenti.

Il buon funzionamento di un sistema politico esige, dunque, certamente regole giuridiche, come quelle elettorali, che consentano la scelta dei rappresentanti del popolo, condizione perché la gente si appassioni alla politica, ma anche scelte ideologiche il cui valore si tende a trascurare anzi a negare, trascurando che nelle idee è il sale della democrazia, il motivo della partecipazione popolare, un dato che caratterizza le comunità politiche avanzate che poi sono quelle dove da più tempo il cittadino si sente veramente partecipe delle scelte che opera nel suo collegio elettorale. Un “gusto” per la politica che da noi si è perso da tempo e che i partiti non vogliono far rivivere.