Pensioni. Corte sottomessa al Governo? Deriva antidemocratica e populista che porta al baratro

di Salvatore Sfrecola
Pubblicato il 21 Maggio 2015 - 08:14 OLTRE 6 MESI FA
Pensioni. Corte sottomessa al Governo? Deriva antidemocratica e populista che porta al baratro

Pensioni. Corte sottomessa al Governo? Deriva antidemocratica e populista che porta al baratro

ROMA – Salvatore Sfrecola ha pubblicato questo articolo anche sul suo blog, Un sogno italiano, col titolo “L’attacco alla Consulta per le pensioni è indice di inciviltà giuridica“:

È in atto un’aggressione violenta e senza precedenti alla Corte costituzionale “rea” di aver deciso che la “legge Fornero”, quella che aveva bloccato gli adeguamenti delle pensioni superiori a 1500 euro lordi, è contraria a principi fondamentali della Carta della Repubblica.

Scendono in campo politici, giornali, commentatori dei talk show, frequentatori di twitter e face book. L’accusa è quella di non aver tenuto presente il costo della restituzione degli adeguamenti bloccati. E si arriva a enfatizzare i contrasti all’interno del collegio giudicante per una sentenza adottata a maggioranza, con il voto determinante del presidente. Sennonché accade tutti i giorni in tutti i collegi di giustizia che le decisioni siano spesso adottate a maggioranza, soprattutto quando i giudici sono numerosi, come i quindici della Consulta, gli undici della Cassazione a Sezioni Unite o della Corte dei conti a Sezioni Riunite. Ma anche nei collegi a tre o a cinque spesso si decide a maggioranza.

Lo sanno tutti ma fanno finta di non saperlo per poter attaccare una decisione che non fa comodo al Governo il quale aveva spudoratamente preannunciato di disporre di un misterioso “tesoretto” da distribuire in vista delle elezioni, come gli 80 euro alla vigilia delle europee. Misterioso, perché spuntato all’improvviso da un Consiglio dei ministri che si era riunito con l’incubo di dover reperire risorse per non far scattare l’aumento dell’IVA!

Ma torniamo alla querelle sul costo della sentenza. Su quanto il Governo e l’INPS dovranno reperire per restituire ai pensionati quanto era stato loro tolto con il blocco delle rivalutazioni deciso dal Governo Monti in una operazione effettuata “in considerazione della contingente situazione finanziaria”, sulla base di indicazioni provenienti dall’Unione Europea, non essendo stato capace di individuare altrove le risorse necessarie.

Si afferma da parte di taluni che la Corte costituzionale, quale giudice delle leggi, quando adotta una sentenza che dichiara l’illegittimità di una norma che ha effetti finanziari, dovrebbe darsi carico anche della copertura degli oneri derivanti dalla sua pronuncia.

Questa tesi è giuridicamente infondata ed estremamente pericolosa per la tutela dei diritti delle persone. Non solo perché getta discredito sulla più alta magistratura dello Stato, quella che deve verificare la conformità di una norma ai principi contenuti nella Carta fondamentale dello Stato. La Consulta, in sostanza, deve accertare se la questione di costituzionalità ritenuta “non manifestamente infondata” da un giudice, questa è la formula che usano i tribunali della Repubblica, merita accoglimento sulla base delle ipotizzate lesioni di alcuni principi fondamentali della Costituzione, a cominciare da quello di parità di trattamento e di imparzialità che più spesso ricorrono. Ne discende che se la norma ritenuta incostituzionale ha effetti finanziari, cioè determina una spesa o, come nel caso di specie, riduce una spesa, esula dalla valutazione della Corte l’effetto ripristinatorio della spesa e, quindi, non può darsi carico delle conseguenti coperture. Sarebbe, infatti, assurdo che, se governo e Parlamento adottassero una serie di disposizioni gravemente lesive di diritti fondamentali con conseguenti riduzioni di spese il cittadino non potesse avere giustizia.

Ovviamente di questa vera e propria intimidazione i giudici della Corte costituzionale non si preoccuperanno. Non i cinque eletti dalle magistrature, abituati per mestiere a fare giustizia in piena indipendenza, ma neanche gli altri, eletti dal Parlamento o nominati dal Capo dello Stato. Sono tutti giuristi di elevata professionalità, giunti a rivestire quella toga dopo anni di studi o di esercizio della professione forense per cui, forti della loro indipendenza, rimarranno insensibili alle baldanzose iniziative di qualche politico interessato ad evitare di dover ricorrere ad aggiustamenti di bilancio per pagare gli effetti di norme incostituzionali che hanno privato cittadini di importanti diritti. Com’è il diritto alla pensione, definito dalla giurisprudenza “retribuzione differita”, riconosciuta dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 116 del 2013, che spetta, al momento della quiescenza, a chi ha lavorato per decenni versando i relativi contributi nella prospettiva di ricevere una somma già definita nel suo ammontare. Sicché la norma dichiarata incostituzionale aveva violato gli articoli 3 (“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davantoi alla legge…”), 36, primo comma, (“Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a se e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”) e 38, secondo comma, (“I Iavoratori hanno diritto che siano preveduti e assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria”).

La Corte, che costituisce presidio essenziale in un momento di grave imbarbarimento della legislazione italiana (in Francia il Consiglio costituzionale ha un controllo preventivo sulle leggi), va messa al riparo da iniziative estemporanee e da critiche ingiustificate se vogliamo continuare ad essere una democrazia nella quale i diritti sono alla base delle scelte dei governi e del Parlamento in rapporto a principi fondamentali di civiltà giuridica scritti nella Costituzione.

Il Parlamento sarà chiamato a scegliere presto tre giudici, uno per il quale da tempo non si raggiunge il necessario quorum della Camera in seduta comune, un altro vacante dopo l’elezione di Sergio Mattarella alla massima carica dello Stato, l’ultimo disponibile a breve, sempre di elezione parlamentare. L’augurio è che il Parlamento non si indirizzi verso scelte di personalità, pur di elevata cultura giuridica, sensibili alla distorta interpretazione, alla quale abbiamo fatto riferimento iniziando, più politica che giuridica perché su questo piano assolutamente infondata ma che potrebbe essere gradita alla maggioranza governativa che ha pendenti dinanzi alla Consulta una serie di questioni di costituzionalità nate dalla contestazione di svariate norme che sono state adottate dal governo Renzi.

Il diritto dei cittadini è una preziosa conquista dello stato di diritto che basa la sua effettività sulla Costituzione e sui principi che in essa sono stati definiti perché l’Italia fosse, tra i paesi occidentali, un esempio di democrazia e libertà. Tendenze direttoriali che procedono dalla volontà di fare senza tener conto dei diritti metterebbero il Paese sul piano inclinato di una china pericolosissima dalla quale non è facile si possa uscire e che ovunque hanno rappresentato un inizio di deriva antidemocratica e populista dalla quale è facile rotolare verso il baratro. Non deve avvenire.