Riforma Renzi-Boschi bocciata da sinistra: non servirà a…

di Salvatore Sfrecola
Pubblicato il 13 Gennaio 2016 - 11:31 OLTRE 6 MESI FA
Riforma Renzi-Boschi bocciata da sinistra: non servirà a...

Maria Elena Boschi, la madonna delle riforme di Renzi

ROMA – Riforma Renzi – Boschi bocciata dai giuristi di sinistra perché incostituzionale e, aggiunge Salvatore Sfrecola, comunque non garantisce la governabilità di cui in Italia abbiamo tanto bisogno. Articolo pubblicato anche sul blog di Salvatore Sfrecola, Un sogno italiano, col titolo “Va prendendo forma lo schieramento del “NO” alla riforma costituzionale”

C’erano quasi tutti i “professoroni” sui quali si era appuntata nei mesi scorsi l’ironia di Maria Elena Boschi lunedì pomeriggio 11 gennaio 2016 alla Camera dei deputati al numero 78 di via di Campo Marzio, nell’Aula dei Gruppi parlamentari, per la presentazione del Comitato che inviterà gli italiani a votare “NO” al referendum sulla riforma costituzionale voluta dal Governo Renzi ed approvata nuovamente dall’assemblea di Montecitorio proprio nelle stesse ore.

Un fuoco di fila di critiche serrate a quella che è stata definita, senza mezzi termini, una riforma liberticida, che dice addio alla democrazia parlamentare per aprire la strada ad una “democrazia dell’investitura plebiscitaria”, come ha detto Stefano Rodotà, uno dei più applauditi fra gli intervenuti. A dire che la riforma Renzi-Boschi modifica la forma di governo e in qualche modo la forma di Stato, ricordando come in Assemblea costituente fu netta la distinzione tra ruolo del Governo e ruolo dei costituenti e dei partiti che li avevano espressi. Una critica della prima ora, da quando il Presidente del Consiglio si è intestata una revisione della Carta fondamentale che è naturalmente delle assemblee parlamentari e dei partiti.

In questo è già in nuce l’opzione direttoriale del premier sottolineata da quell’appello al popolo che è stato al centro di tutte le esternazioni del Presidente del Consiglio Segretario del Partito Democratico il quale guarda all’appuntamento referendario alla ricerca di una investitura plebiscitaria di fatto snobbando le elezioni comunali, espressione autentica del consenso popolare rispetto alla gestione della politica del territorio laddove i cittadini si confrontano con il grado di rispondenza della classe dirigente locale alle esigenze della vita quotidiana. È un po’ la “fuga dal Parlamento” di cui aveva parlato Leopoldo Elia, una sorta di “rottamazione” della sovranità popolare.

Presenti i massimi esponenti dell’intellighenzia della sinistra nelle sue varie sfumature, da Fassina a Landini, da Ingroia a Salvi, da Maddalena (Paolo, l’ex Giudice costituzionale) a Flick, a Di Pietro, i lavori, dopo una introduzione di Domenico Gallo, li aveva aperti Alessandro Pace, costituzionalista e Presidente del Comitato, con una non velata critica all’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, per non aver messo alle strette le Camere all’indomani della sentenza n. 1 del 2014 della Corte costituzionale che ha dichiarato la illegittimità del “porcellum”, perché varassero in tempi brevissimi una nuova legge elettorale e tornare al voto. Ma anche Sergio Mattarella si è preso la sua dose di critiche per essersi riferito a “ciò che vuole il Governo”, così convalidando in qualche modo l’anomala iniziativa di Renzi di intestarsi la riforma costituzionale.

Molto applauditi anche Gaetano Azzariti, ordinario di diritto costituzionale a Roma, (“va bene modificare il bicameralismo perfetto, ma non a favore di questo bicameralismo confuso”) e Felice Besostri, l’Avvocato che ha difeso alla Consulta la tesi della incostituzionalità del Porcellum, il quale ha definito “deforme” queste riforme di Renzi che mettono in pericolo la democrazia. Ed ha fatto l’esempio delle province, svuotate proprio della struttura democratica, il Consiglio provinciale. Applauditissimo anche l’appassionato intervento di Lorenza Carlassare, già Giudice costituzionale, secondo la quale se passasse la riforma avremmo un Capo del Governo che diventerà “l’unto del Signore di berlusconiana memoria. Dopo, sarà difficile ripulirlo”. Chiudendo con “auguri alla nostra Costituzione”, incisa anche da una riforma che potrà far vincere anche chi supera la soglia minima di consensi che, in presenza del calo di partecipazione al voto, certamente preoccupa. Un concetto ribadito anche da Gianni Ferrara che prefigura un premio ad una minoranza un po’ più forte delle altre. Anche Massimo Villone è impietoso, a cominciare da quelli che ha ricordato essere degli autentici strafalcioni del premier e di quanti la Costituzione provano a cambiarla “da settant’anni, da quando ancora non era in vigore”.

I lavori avrebbe dovuto chiuderli Gustavo Zagrebelsky, Presidente onorario di “Libertà e Giustizia”, già Presidente della Corte costituzionale rimasto nella sua Torino a causa della classica influenza di stagione. Il Fatto Quotidiano ha pubblicato un suo articolo dove afferma che

“una cosa è cambiare, un’altra è come cambiare. Il superamento del bicameralismo perfetto è largamente condiviso, ma siamo di fronte a un testo incomprensibile e al ritorno a condizioni pre-costituzionali”. “La posta in gioco – continua – è la concezione della vita politica e sociale che la costituzione prefigura e promette sintetizzandola nelle parole “democrazia” e “lavoro” che campeggiano nel primo comma dell’art. 1. Qui c’è la ragione del contrasto, che non riguarda né l’estetica (su cui ci sarebbe peraltro molto da dire, leggendo i testi farraginosi, incomprensibili e perfino sintatticamente traballanti che sono stati approvati) né soltanto l’ingegneria costituzionale”.

Insomma, una serie di critiche non formali ma sostanziali con riferimento alla funzionalità delle istituzioni, in particolare del nuovo Senato, con sullo sfondo le preoccupazioni per la democrazia parlamentare che dal combinato disposto della riforma costituzionale e di quella elettorale esce di scena per formare un corpo di legislatori proni al volere del premier in assenza di un bilanciamento dei poteri, secondo le regole del sistema liberal-democratico delineato da Montesquieu che lo aveva desunto dall’osservazione di quanto accadeva nel Regno Unito dove la governabilità è stata sempre assicurata. Un argomento da sempre cavalcato da Renzi e, prima di lui, da Berlusconi per travolgere le libertà parlamentari, non essendo stati in grado di dominare i gruppi parlamentari.

Di governabilità non si è parlato nell’Aula dei Gruppi parlamentari. E questo è senza dubbio un errore di quanti si apprestano a convincere gli italiani a respingere la riforma costituzionale Renzi-Boschi perché l’argomento è fortemente sentito, come quello del risparmio e della lotta alla casta. È un problema di capacità di comunicazione oggi essenziale e che potrebbe nascondere le buone ragioni di coloro che si oppongono alla riforma e che devono tener conto della capacità del premier di semplificare i concetti e di entrare in sintonia con la gente.

Sarebbe un grave danno per la democrazia se il linguaggio dei professori e dei politici non fosse in condizioni di far percepire dall’opinione pubblica le difficoltà che la democrazia incontrerebbe ove fosse approvata dal referendum la riforma che un premier non eletto ed un Parlamento delegittimato hanno voluto e approvato stravolgendo l’assetto delle istituzioni parlamentari e del governo.