Centro destra: Meloni e Fitto non sono il futuro dopo il manipolo di yes man di Berlusconi

di Senator
Pubblicato il 25 Ottobre 2014 - 11:10 OLTRE 6 MESI FA
Centro destra: Meloni e Fitto non sono il futuro dopo il manipolo di yes men di Berlusconi

Raffaele Fitto: parla come un prefetto ma non ha il carisma per guidare il futuro del centro destra

Il futuro leader del centro destra è ancora di là da venire, constata amareggiato Senator, deluso dal fallimento di Berlusconi e anche dalle posizioni assai poco liberali dei suoi seguaci.

Non è questa la destra liberale che ci eravamo illusi fosse scesa in campo nel 1994, che abbiamo votato e nella quale abbiamo militato. Lo avevamo compreso da tempo, dai comportamenti dei governi Berlusconi, dalle leggi ad personam e da quelle che proteggevano faccendieri e corrotti attraverso un uso distorto della prescrizione.
Lo abbiamo capito presto e, ancora una volta, quel giorno in cui, dinanzi alla platea degli imprenditori, l’allora Cavaliere ne sollecitava l’applauso preannunciando norme restrittive delle intercettazioni e, addirittura il carcere fino a cinque anni, il carcere per chi ne avesse diffuso il contenuto. Capimmo che non era un’iniziativa per la privacy, giustissima, ma un tentativo di ridimensionare uno strumento indispensabile nella lotta alla corruzione.

Infatti parlava a molti tra coloro che sono abituati a cercare la strada agevole della mazzetta per ottenere un appalto di lavori o di servizi.
Vediamo confermato nel leggere, sul Corriere della Sera, in un articolo di Luigi Ferrarella, i commenti di due esponenti di Forza Italia, a proposito delle dimissioni della Presidente della seconda Sezione della Corte d’appello di Milano, Enrico Tranfa, che ha deciso di lasciare la magistratura dopo aver firmato la sentenza di assoluzione di Silvio Berlusconi per la vicenda Ruby.

“È un fatto di coscienza, ha fatto sapere il magistrato parlando con gli amici, il quale avrebbe detto “non me la sento di decidere domani per un marocchino in modo diverso rispetto a Berlusconi”.

Di qui le dimissioni precedute da una lunga riflessione, dalla data della Camera di consiglio, a luglio, a quella del deposito della sentenza. Con una visita a Lourdes, evidentemente dove trovare nella pace del luogo mariano una motivazione della sua decisione.
Un giudice che si dimette per una sentenza che non condivide non è un fatto ordinario. Evidentemente la decisione assunta dal Collegio supera la condizione di un normale dissenso tanto da non essere accettabile e, come si è visto, tale da non consentirgli di proseguire con serenità il lavoro di giudice.
Ognuno può esprimere le proprie valutazioni, condividere o meno la decisione del giudice Tranfa. Sono però decisamente sopra le righe le affermazioni di due esponenti di Forza Italia, Luca D’Alessandro e l’ex ministro della giustizia Nitto Palma, riportate dal Corriere.

Per Luca D’Alessandro

“uno così fazioso, da lasciare la toga per non essere riuscito a condannare Berlusconi in un processo farsa e guardone come il rocesso Ruby, non avrebbe mai dovuto fare il giudice e dovrebbe essere dimenticato”.

Per Nitto Palma, invece,

“il primo a non rispettare la sentenza è proprio il presidente di quel collegio che l’ha emessa: per certi versi mi ricorda il bambino padrone della palla, che se la portava via ogni qualvolta gli veniva negato un calcio di rigore”.

In queste parole c’è mancanza di rispetto per la persona, per il suo dramma interiore, per la sua scelta motivata, a torto o a ragione, da una verdetto che a suo giudizio costituisce una grave ingiustizia.
Il rispetto per le persone è una regola del pensiero liberale, è patrimonio della cultura della destra politica italiana, quella di matrice cattolico liberale, appunto, che avrebbe dovuto esprimersi nel vasto mondo dei moderati al quale Berlusconi ha detto sempre di ispirarsi e del quale affermava di essere il paladino.
Di contro, un manipolo di yes men reclutati esclusivamente in ragione della fedeltà incondizionata al capo ha progressivamente disperso quel patrimonio di idee e di speranze sulle quali si era fondata l’iniziativa del presidente-imprenditore che aveva convinto molti che l’Italia fosse effettivamente il paese da lui amato e non un mercato per le sue, pur legittime, attività imprenditoriali.
Il degrado del centro destra non potrà essere fermato dalla buona volontà di Raffaele Fitto, al quale non è possibile riconoscere un carisma che gli consenta confrontarsi con speranza di successo con Matteo Renzi demagogo fiorentino dalla facile comunicazione. Parla come un prefetto, ha detto in televisione un giornalista politico, con una espressione che per un certo verso è un complimento, perché riconosce nell’esponente pugliese un certo aplomb istituzionale, dall’altro è una sottolineatura della mancanza di un appeal capace di muovere vasti strati dell’opinione pubblica.
Le difficoltà del centrodestra sono evidenti anche nelle limitazioni che la Lega pone, aldilà delle parole, alla propria azione politica, mentre le argomentazioni di Giorgia Meloni non riescono ad andare al di là dell’oratoria che può colpire il pubblico di una borgata romana.
Nonostante questo il centrodestra ha sicuramente nelle professioni, negli ambienti culturali, e nell’opinione pubblica riserve di idee e di uomini che attendono soltanto di essere interpretati e riportati alla ribalta politica con energia e fiducia nel futuro”.