Gabriele D’Annunzio: nato 150 anni fa, genio tra eccessi e provincialismo

di Sergio Carli
Pubblicato il 11 Marzo 2013 - 06:57 OLTRE 6 MESI FA
Gabriele d'annunzio

Gabriele D’Annunzio

Gabriele D’Annunzio, uno dei maggiori poeti e romanzieri italiani, è nato 150 anni fa, il 12 marzo 1863, a Pescara. Avesse lavorato a Londra o Parigi invece che a Roma, sarebbe diventato uno dei grandi della letteratura mondiale. Avrebbe avuto il premio Nobel se fosse vissuto abbastanza da riscattare la compromissione con il fascismo e diventare comunista, riscattando così il periodo dal 1919 a quando morì, nel 1938, in cui assunse, pur in un rapporto conflittuale, un ruolo organico al regime.

Rispetto alla media degli scrittori italiani Gabriele D’Annunzio è un gigante: le sue poesie sono tra le migliori scritte in otto secoli di letteratura in lingua italiana; ma se si legge oggi un suo romanzo con lo spirito critico che ci siamo formati in 60 anni di repubblica, democrazia e progresso economico e sociale, Gabriele D’Annunzio appare come una pietra preziosa estratta dalla roccia, ma ancora grezza, seminascosta da incrostazioni.

Gabriele D’Annunzio affronta sperimentalismo linguistico e descrizione di persone e ambenti con tratti da grande narratore, tra Honoré de Balzac e Norman Mailer.

Descrive il razzismo da quattro soldi e il classismo feroce della aristocrazia romana di fine ‘800, le donne in sfrenata attività sessuale, gli uomini tra donne, cavalli e duelli, lusso, spreco, raffinatezza e perversione. Ha scritto Giuseppe Scarafia:

“un pube candido era una prelibatezza perversa per libertini. D’Annunzio nel Piacere esalta il ventre implume di Giulia, «una coppa d’avorio, uno scudo raggiante»”.

Di quel mondo D’Annunzio traccia un ritratto anche crudele ma anche idealizzante e comunque inconsapevole della denuncia, perché a quel mondo lui aderisce, idealizzandolo, in pieno mito di continuità rinascimentale, come se l’Italia di allora, e di oggi, fosse ancora quella dei tempi di Michelangelo, Leonardo e Raffaello: senza distacco, senza interrogarsi mai. Conferma suprema della provincia che soffoca. Una definizione lo accomuna a Shakespeare: imaginifico D’Annunzio, immaginifico Sakespeare: in quella emme che balla, c’è la differenza tra una Inghilterra che sta costruendo un impero mondiale e l’Italietta di Vittorio Emanuele III che ci avrebbe portato al fascismo.

Non era certo diversa l’aristocrazia del Nord Italia né quella inglese o francese o tedesca: ma dietro quella gente c’era la trasformazione dell’Europa in potenza industriale, dietro la nobiltà romana c’erano solo latifondi, monopoli e inutilità.

I 150 anni di Gabriele D’Annunzio sono ricordati in vari modi, forse non come meriterebbe, ma visti i tempi e l’anatema che lo colpì per anni è già qualcosa.

Il Giornale ha elencato alcune

“fra le tante iniziative:

= la mostra fotografica «D’Annunzio & Friends» realizzata da Alessio Consorte (editore, fotografo e operatore della moda nato a Pescara) proposta nel museo della casa natale di Gabriele D’Annunzio;

= i grandi eventi in programma, realizzati dalla fondazione del Vittoriale, il cui museo per l’occasione ha fatto restaurare alcuni dei suoi «pezzi» più pregiati. La passione del Vate per i motori, il volo e la velocità sarà celebrata attraverso la preparazione al Vittoriale del Museo dell’«Automobile femmina», espressione con la quale d’Annunzio stabilì – in una lettera a Giovanni Agnelli – il sesso dell’automobile; la dedica a d’Annunzio dell’edizione 2013 delle Mille Miglia, con personalizzazione del percorso in omaggio ai luoghi dannunziani; e, ancora, sorvoli di aerei storici e Frecce Tricolori sul Vittoriale e su Pescara, in omaggio alla sua passione per il volo, e l’istituzione di una tappa a Gardone del Giro d’Italia, a ricordare d’Annunzio «uomo sportivo dell’anno», come fu votato nel 1921 dai lettori della Gazzetta dello Sport.

= una produzione teatrale  porterà l’intensa vita di Gabriele D’Annunzio in vari teatri, fra cui il Teatro Manzoni a Milano, il Festival dell’Anfiteatro del Vittoriale e il D’Annunzio Festival di Pescara. Dal Teatro alla Scala tornerà al Vittoriale, dopo un attento restauro, il pianoforte originale di Liszt per un grande concerto-evento.

= mostre, un convegno all’Università di Verona e perfino un treno, quello della metropolitana di Brescia la cui inaugurazione è prevista per il 20 febbraio, che si chiamerà D’Annunzio. Tutti eventi che si aggiungono a quelli che il Vittoriale organizza ogni anno, come il Festival estivo a Pescara e quello di Gardone Riviera, «Tener-a-mente».

= saranno riproposti il profumo Aqua Nuntia che il Vate aveva creato; molti prodotti industriali, come il liquore Aurum, le penne Aurora, gli abiti Kiton, alcune creazioni del gioielliere Buccellati e i cremini Fiat della Majani, saranno presenti a tutte le manifestazioni con impressa una dedica a D’Annunzio.

= per l’anniversario escono molti libri. Mondadori, che  detiene i diritti di autore di D’Annunzio, pubblicherà il Meridiano Tragedie, sogni, misteri (due tomi, a cura di Anna Maria Andreoli), il saggio Casa D’Annunzio e realizzerà per la prima volta una collana di e-book dedicati all’opera di Gabriele D’Annunzio. Verrà inoltre prodotto un audio book, in cui alcuni tra i maggiori attori della scena teatrale italiana presteranno voce a D’Annunzio e ad alcuni dei suoi versi più belli.

Ancora: “Eleganza e voluttà in Gabriele d’Annunzio”, di Paola Sorge (Carabba editore)”.

Forse il lavoro più importante è quello di Giordano Bruno Guerri, presidente della Fondazione Vittoriale degli Italiani, intitolato “La mia vita carnale. Amori e passioni di Gabriele d’Annunzio“, anch’esso pubblicato da Mondadori, che contiene documenti inediti e un ricco inserto fotografico .

Della biografia di Gabriele D’Annunzio scritta da Giordano Bruno Guerri il Sole 24 Ore ha pubblicato una recensione –  anticipazione ad opera di Giuseppe Scaraffia. Il libro, avverte,

“si concentra sugli anni vissuti al Vittoriale (1921-1938). Un tempio di lussuria e voluttà, tra droghe, profumi, letteratura e donne al suo servizio o che gli si negarono”.

Insomma un bunga bunga ante litteram, o, dato il contesto, ante marcia. Ma a leggere la recensione di Scaraffia, si ha l’impressione di un abisso tra D’Annunzio, poeta sublime e uomo raffinatissimo e il venditore di immobili e pubblicità e di barzellette sconce diventato padre della tv commerciale e capo del governo italiano. Certo ancor più di quanta ce ne sia fra Eleonora Duse o Isadora Duncan o Sarah Bernhardt e Nicole Minetti.

Scaraffia cita Antonio Gramsci:

«D’Annunzio è stato presentato come un pazzo, come un istrione, come un nemico della patria, come un seminatore di guerra civile, come un nemico di ogni legge umana e civile»,

e ricorda che,

“ancora nel 1923, Ernest Hemingway s’illudeva: «In Italia sorgerà una nuova opposizione e sarà guidata da quel rodomonte vecchio e calvo, forse un po’ matto, ma profondamente sincero e divinamente coraggioso, che è Gabriele d’Annunzio»”. 

D’Annunzio non era schierato, le sue convinzioni politiche oscillavano, eletto deputato in gioventù con la destra, era andato a sinistra fisicamente, attraversando l’emiciclo dell’aula al grido: “Vado verso la vita”. Così, scrive Scaraffia, D’Annunzio aveva rifiutato

“di ricevere Grasmsci o i gerarchi fascisti, «demagoghi che credono di aderire alla realtà e non aderiscono se non alla loro camicia sordida». Si era divertito a flirtare con l’inviato dei Soviet, Cicerin, o a umiliare Mussolini, in visita al Vittoriale,”

interrogandolo sul bidet

“Troppo assorbito dai suoi piaceri, il Vate si oppose sempre a «quel pagliaccio feroce» di Hitler, ma non si impegnò mai. Stava componendo il suo capolavoro a Gardone, il Vittoriale”.

Secondo Giordano Bruno Guerri, presidente del Vittoriale, che ha pubblicato da Mondadori un libro “rigoroso e appassionato, basato su nuove testimonianze” (parole di Scaraffia), il Vittoriale è veramente un «libro di pietre vive», sfondo minuziosamente costruito

«dell’uomo eccezionale che non seppe e non volle essere comune neanche nelle minime, solitamente ordinarie e prosaiche, necessità del l’esistenza».

Ancora Scaraffia:

“Ben più di [Oscar] Wilde, D’Annunzio aveva messo il suo ingegno nelle sue opere e il suo genio nella vita. […]  Nel fastoso arredamento del Vittoriale, il valore degli oggetti non dipende dal prezzo o dalla rarità, ma dal loro ruolo nella coreografia del padrone di casa. […] Nell’horror vacui che domina il Vittoriale, persino l’aeroplano del volo di Vienna si tramuta in bibelot.

“La maestosa tartaruga che troneggia nella sontuosa sala da pranzo detta della Cheli, tartaruga in greco, gli era stata donata dalla marchesa Casati ed era morta, si diceva, per un’indigestione di tuberose. Ma quel guscio, completato dalla scultura in bronzo di Renato Brozzi, oggi replicata in piccolo da Buccellati, era anche  una citazione della tartaruga incastonata di pietre preziose della bibbia del decadentismo, À rebours di Joris-Karl Huysmans. Del resto già allora Buccellati aveva creato la tartarughina d’oro, regalata da [D’Annunzio] al leggendario pilota da corsa Tazio Nuvolari, «all’uomo più veloce, l’animale più lento»”.

Il libro di Guerri ha come tema centrale le donne di D’Annunzio al Vittoriale. Scrive Scaraffia:

“D’Annunzio non era bello, ma come resistere a quello che Duncan definiva «un amante così grande da trasformare la donna più ordinaria e darle per un momento l’apparenza di un essere celeste?» Per colui che si definiva «un animale di lusso» era sempre pronto uno sfarzoso guardaroba: duecento camicie di seta da giorno, quasi cinquanta capelli, circa duecento paia di scarpe e di stivali, almeno trecento paia di calzini, una cinquantina di pigiami di seta e altrettante vestaglie a saio, come quelle di Balzac.

“Chi, come le sue amanti, entrava in quel teatro decadente doveva assumere i panni adatti alla scena. Per quelle deliziose comparse erano previsti abiti provocantemente evanescenti, disegnati dal Vate, che le tramutavano in falene dorate, pronte a bruciarsi devotamente le ali alla sua fiamma”.

Una sola non ci cadde, la pittrice Tamara de Lempicka.

“Al primo incontro [D’Annunzio] la coprì di doni, ma lei accettò solo delle calze di seta. […]. Seguirono dieci giorni di schermaglie e concessioni parziali. Il poeta gustava «i suoi baci profondi, il modo in cui si faceva baciare sotto le ascelle». Ma, dopo averlo coperto di impronte rosse di rossetto, l’artista lo respinse con la scusa di temere la sifilide. [Alla fine D’Annunzio tentò] l’ultima carta, spogliandosi davanti a lei, [che] si era voltata disgustata. «Lei non è altro che una perfetta cocotte e non una signora» [sibilò D’Annunzio]”.

“Era sempre lui a stancarsi delle donne più belle e ardenti. Come nel caso, racconta Guerri, dell’incantevole Consuelo, futura moglie di Saint-Exupéry, «una giovane barbara che co’ suoi balzi di lupa cerviera mette in continuo pericolo le mie cose preziose che amo tanto». In realtà il seduttore voleva rimanere non solo protagonista, ma anche regista della sua vita. Amava i rapporti a tre, ma non sopportava che Consuelo corteggiasse sfacciatamente le sue donne, arrivando a mordere le labbra della devota Aelis, indispensabile amante, cameriera e ruffiana.

“La sola di cui parlava con un riguardo pieno di meraviglia era «l’unica donna che mi ha sbalordito», la marchesa Luisa Casati. Luisa si concesse a D’Annunzio, ma non ne fu mai succube, piuttosto una collega nell’arte di affascinare la propria epoca. La «piccola amica dorata» era la pittrice, la scultrice e la commediografa di se stessa, nell’intento di abbagliare i contemporanei che, da Boldini a Van Dongen, da Bakst a Man Ray, da Cocteau e Beaton si inchinavano a quell’opera d’arte capace di usare un boa come una sciarpa o di stare nuda in giardino, replicando severamente ai detrattori: «La verità è nuda!»

D’Annunzio faceva abbondante uso di cocaina e la marchesa Casati gli teneva compagnia.D’Annunzio

“a settantanni, «dopo ventiquattrore di orgia possente e perversa», dormiva come un bambino e, dopo uno spuntino e un «bicchierino di menta Get», fumava soddisfatto una delle sue sigarette Abdulla n.11”.

“L’algida Ida Rubinstein rimase totalmente soggiogata dall’artista che, volendo quel corpo emaciato ed androgino per il suo San Sebastiano, si era avventato su di lei dopo uno spettacolo. «Con la solita temerarietà, vedendo da vicino le meravigliose gambe nude, mi getto a terra e bacio i piedi, salgo su pel fasolo alle ginocchia, e su per la coscia fino all’inguine, con il labbro abile e fuggevole dell’aulete che scorre sul doppio flauto. Alzo gli occhi, vedo il volto di Cleopatra, sotto la grande capigliatura azzurra, chino verso di me con una bocca abbagliante».

“Ma fu pronto a tradirla, non solo nella vita, cosa che a Ida non importava, ma anche sul palcoscenico. Come fece del resto con l’amatissima e traditissima Eleonora Duse, cui aveva a volte preferito la più celebre Sarah Bernhardt, malgrado avesse rifiutato le sue avances”.

L’articolo di Scaraffia chiude con un episodio che sconfina nel macabro:

“Quattro anni prima che D’Annunzio morisse, Enrichetta, la figlia della Duse, venne a trovarlo. Il poeta voleva vederla perché una sera aveva incontrato lo spettro dell’attrice e ne era rimasto profondamente turbato.

“Enrichetta traversò quella fuga di stanze che «a Lucifero sarebbe piaciuto avere sulla terra» dietro la duplice protezione di un messale e di una bottiglia di acqua benedetta. Bigotta, ma concreta, vedendo «la camera dell’apparizione» pensò subito che, con la vista precaria dell’unico occhio rimasto al poeta, «certe luci avessero dato vita a forme spettrali». Poi, con la sua abitudine a compiacere gli ospiti, D’Annunzio la portò nella camera «spoglia e imbiancata a calce» dove scriveva. Lì, tra due rose, c’erano due fotografie, quella della madre di Gabriele e quella della Duse”.