“Caro Renzi, rileggiti Delors e diventa il Ciampi 2014, te lo ricordi il ’93?”

di Sergio Cofferati
Pubblicato il 28 Agosto 2014 - 15:33| Aggiornato il 26 Febbraio 2020 OLTRE 6 MESI FA
"Caro Renzi, rileggiti Delors e diventa il Ciampi 2014, te lo ricordi il '93?"

Renzi in versione europea con Angela Merkel e Martin Schultz (Ap-LaPresse)

Il 1993 è stato un anno molto importante per l’Italia e per l’Europa.

In Europa Jacques Delors presentò da Presidente della Commissione Europea il suo libro bianco.

In Italia Carlo Azeglio Ciampi da Presidente del Consiglio diede vita alle norme ed alle procedure che consentirono la politica dei redditi.

Il libro bianco indicava la crescita economica e la coesione sociale quali elementi motori della ripresa del processo di integrazione europea, in sintonia e coerenza con gli obiettivi dei padri fondatori.

Definiva i ruoli delle istituzioni europee e nazionali nella realizzazione di quel processo, fissava le funzioni dei soggetti economici e sociali, chiamandoli singolarmente e attraverso le loro rappresentanze ad essere parte attiva nella nuova Europa.

Era una proposta culturalmente e politicamente alta, ambiziosa e anche per questo, oltre che per la ricchezza dei contenuti, ebbe un’accoglienza estremamente positiva.

Stimolò per alcuni anni il dibattito sull’Unione, fu riferimento costante per l’azione di molti Governi e consentì la realizzazione di tappe fondamentali come la scrittura della carta dei diritti di Nizza e il nuovo Trattato di Lisbona.

Negli stessi mesi l’Italia affrontava una drammatica crisi economica e sociale, il debito cresceva impetuosamente, l’inflazione aveva superato il 20%. Il Governo Amato, l’anno prima, aveva emanato provvedimenti drastici e socialmente punitivi per fermare la speculazione sulla lira dando segnali forti al mercato. Nonostante ciò era stato costretto a settembre a svalutare la nostra moneta del 30%.

Quello del ’92 fu davvero un autunno burrascoso, basterebbe ricordare le grandi mobilitazioni sindacali accompagnate però da molti incidenti e violenze. Bruno Trentin fu vittima di una vergognosa aggressione a Firenze, Sergio D’Antoni fu ferito al volto durante un comizio a Milano.

Ciampi diventò nella primavera del ’93 Presidente del Consiglio in una situazione di vera emergenza, partendo da un lavoro comune fatto da Amato sulle politiche produttive, lo integrò con un’intesa sulla modifica degli assetti e delle procedure contrattuali e, soprattutto, con le regole fiscali e salariali per dar vita ad un’inedita politica dei redditi in grado di ridurre debito e inflazione senza penalizzare salari e pensioni.

Il miracolo riuscì. Il Paese e la sua economia evitarono il default e tra l’incredulità di molti vennero rispettati i parametri di Maastricht consentendo all’Italia di far parte del gruppo di Paesi che diedero vita alla moneta unica.

Non solo la nostra economia non tracollò, ma non restammo fuori dal nucleo forte di Paesi europei che diversamente ci avrebbe progressivamente e letteralmente vampirizzato.

Oggi le condizioni in Europa ed in Italia sono parzialmente diverse, grazie a quei “miracoli” anche la crisi più lunga e pesante di sempre non produce devastazioni.

Ma senza una radicale inversione di tendenza anche quello che si è consolidato in questi vent’anni potrebbe incrinarsi pericolosamente.

Purtroppo l’Europa è senza leader, Juncker non è certo Delors, dunque dalla Commissione non verranno certo proposte di alto profilo e lungimiranti.

Dovrebbe supplire la politica, cioè il Consiglio, accettando la sfida che Mario Draghi gli ha proposto.

Il Governatore ha ragione quando dice che gli Stati devono cedere sovranità. Non è un monito rivolto all’Italia (chissà perché poi dovrebbe riguardare un solo Stato).

Draghi sa che una ripresa che si consolidi nel tempo, che crei sviluppo e lavoro, non si ottiene solo con politiche monetarie e se gran parte delle politiche necessarie (fiscali, del lavoro, dei servizi) restassero di competenza degli Stati membri è terribilmente difficile rovesciare una tendenza così lunga e duratura.

Draghi sa benissimo (e fa bene a non porre lui il tema) che per cedere sovranità e stabilire modalità e materie è necessario un nuovo Trattato che superi ampiamente la soglia di fronte alla quale il Trattato di Lisbona si è fermato. E sa anche che un nuovo Trattato porterà inevitabilmente a ridefinire ruoli e competenze della Bce.

Il semestre di presidenza italiana dell’Ue è breve, ma cade in una fase delicata nella storia dell’Unione. Fase che necessita (e consente) atti audaci.

Proponga il Governo l’avvio della definizione di un nuovo Trattato rivolto ad avvicinare l’idea di Stati Uniti d’Europa.

Poi con lo stesso spirito proponga alle parti sociali una idea di patto per la crescita e la solidarietà, da integrare alle riforme istituzionali che il Governo è chiamato a fare. Ognuno potrà fare con coerenza la sua parte sia sul piano contrattuale che su quello legislativo (autonomo o di supporto).

Le riforme del lavoro da mettere in sequenza logica, prima con una legge sulla rappresentanza, poi un nuovo e più esteso statuto dei lavoratori, nuovi strumenti e regole negoziali partendo dal contratto unico, ed ancora un reddito minimo di cittadinanza.

Insomma uno sforzo straordinario da fare insieme , esecutivo e parti sociali, con responsabilità distinte ma lealmente esercitate. Come si fece nel 1993.