Sgomberi: via Curtatone è la punta dell’iceberg. A Roma migliaia di italiani e stranieri vivono in case occupate

di Vittoria Patanè
Pubblicato il 20 Settembre 2017 - 06:11 OLTRE 6 MESI FA
Sgomberi: via Curtatone è la punta dell’iceberg. A Roma migliaia di italiani e stranieri vivono in case occupate

Sgomberi: via Curtatone è la punta dell’iceberg. A Roma migliaia di italiani e stranieri vivono in case occupate

ROMA – Questo articolo è stato pubblicato su Businnessinsider a firma Vittoria Patanè. Blitz Quotidiano ve lo ripropone.

“Cinecittà, Quintavalle, via Curtatone, via Ripetta. A più di un mese dai fatti di Piazza Indipendenza, Roma si presenta ancora come una città in balia degli eventi, incapace di predisporre politiche in grado se non di risolvere, quanto meno di tamponare le numerose emergenze che caratterizzano il territorio.

Sono passate settimane, eppure centinaia di persone sgomberate si ritrovano ancora in strada in una Capitale in cui l’emergenza migranti si fonde con una crisi abitativa di durata decennale. Due tematiche sulle quali politica nazionale e locale, insieme e separatamente, dovrebbero fornire risposte coerenti che invece si sono trasformate in un labirinto di interrogativi privi di soluzioni a breve e medio termine. La sindaca di Roma, Virginia Raggi, è stata perentoria: “Non daremo ospitalità e non forniremo alternative a chi ha occupato abusivamente”.

Una linea condivisibile che però si scontra con una realtà contraddistinta da accampamenti, presidi, disordini e polemiche che dal centro storico si diramano verso quelle periferie come Tor Cervara, San Basilio, Romanina in cui la gente evita di uscire di casa per paura di ritrovare l’appartamento occupato da “ospiti” italiani e stranieri intenzionati a restare. Un problema che per molti rappresenta solo la punta dell’iceberg delle politiche d’accoglienza oggi al centro del dibattito europeo. Ciò che troppo spesso non si tiene in considerazione è però che, a Roma soprattutto, la questione non riguarda solo rifugiati, richiedenti asilo e migranti, ma coinvolge anche migliaia di cittadini italiani che vivono in palazzi occupati, in situazioni di crisi abitativa caratterizzate da degrado e povertà.

In base ai dati infatti, sarebbero più di cento i locali occupati nella Capitale, luoghi in cui risiedono tra le 5mila e le 10mila persone italiane e straniere. Secondo le cifre fornite dall’Unione Inquilini sulla base della graduatoria Erp pubblicata a luglio, a giugno 2017 erano 10.516 le famiglie in attesa di una casa popolare a fronte di 774 assegnazioni nel 2015-2016, cui se ne aggiungono altrettante derivanti da bandi precedenti tra il 2015 e il 2017. Andando avanti così, le graduatorie sembrano destinate inesorabilmente ad allungarsi, dati anche i 7mila provvedimenti di sfratto annui e i 2.500 nuclei familiari soggetti annualmente a provvedimenti di sgombero forzoso.

I fatti di via Curtatone, i disordini dei Fori Imperiali e di Via Ripetta, le tendopoli di via Tiburtina e San Lorenzo, gli accampamenti in pieno centro storico, da piazza dei Santi Apostoli all’Altare della Patria. Nessuna zona di Roma pare essere esente da un problema per il quale si palesa una carenza di politiche alternative in grado di rispondere ad un allarme che ha ormai ampiamente superato i limiti di sicurezza. Le rare proposte temporanee messe sul tavolo, riguardanti la ricollocazione dei soggetti fragili, sono state rifiutate dagli interessati e dai movimenti per la casa allo scopo di evitare lo smembramento delle famiglie: donne e bambini in strutture di accoglienza, mariti e padri in strada.

In precedenza, nel mese di luglio, la giunta Raggi ha dato l’ok a due delibere in cui vengono individuate le linee guida per la realizzazione di un programma straordinario per l’emergenza abitativa e di un piano assistenziale alternativo ai CAAT (Centri di Assistenza Alloggiativa Temporanea) allo scopo di dare un tetto a circa 6mila famiglie entro il 2019. Il Comune si è inoltre impegnato a presentare in Assemblea capitolina, entro la fine del 2017, un piano d’azione per superare il disagio abitativo.

Nel frattempo gli sgomberati, guidati dai movimenti per la casa, richiedono a gran voce l’attuazione della delibera regionale del maggio 2016.

Sedici mesi fa infatti, l’ente guidato da Nicola Zingaretti ha stanziato 40 milioni di euro per la crisi abitativa capitolina.

Due mesi prima, marzo 2016, la stessa Giunta ha calcolato un fabbisogno di 197 milioni di euro per risolvere la questione, decidendo di destinare 764 alloggi Ater (Azienda territoriale per l’edilizia residenziale) alle famiglie in attesa di una casa, di cui il 15% ai nuclei che vivono in edifici occupati. Risultato? “Da quella data – fanno sapere da Via Cristoforo Colombo – la Regione Lazio non ha avuto alcuna risposta da parte di Romacapitale”. Il Campidoglio ha però annunciato di essere al lavoro sulla stipula della convenzione volta a dare attuazione alla delibera.

Dopo lo sgombero di Piazza Indipendenza sulla questione è intervenuto anche il Viminale.

La prima cittadina di Roma ha chiesto al ministro dell’Interno Marco Minniti di mettere a disposizionebeni del demanio, immobili confiscati alle mafie e caserme (in realtà, come sottolineato dal Corriere della Sera, sei sarebbero già utilizzabili, ma non è stata predisposta alcuna procedura) nell’ambito di una “collaborazione interistituzionale per affrontare il tema dell’emergenza abitativa, delle politiche migratorie e dell’accoglienza”.

Proposte che, con ogni probabilità, richiederanno tempi lunghissimi per essere attuate, considerando che già nel 2014, con il decreto Sblocca Italia, era stato previsto che i Comuni predisponessero piani di recupero degli immobili da sottoporre alle Autorità. Progetti che però il Campidoglio non ha mai presentato né con la precedente giunta Marino, né con l’attuale amministrazione pentastellata.

Nell’attesa che tutti i piani a oggi sul tavolo vengano realizzati, dunque, l’emergenza verrà gestita tramite l’inadeguato circuito d’accoglienza capitolino, evitando magari situazioni limite come quelle vissute un mese fa in via Curtatone, con la speranza che i già numerosi accampamenti sparsi per la città non continuino a moltiplicarsi, che il “sistema occupazioni” torni a trovare spazio solo sulle cronache locali e che l’inverno sia lieve con chi, escluso da ogni tutela, continuerà a dormire per strada, italiano o straniero che sia”.