Assegno di mantenimento decade in convivenza ma non è matrimonio

di Simona Napolitani
Pubblicato il 13 Marzo 2012 - 12:22| Aggiornato il 26 Febbraio 2020 OLTRE 6 MESI FA

Di recente la Corte di Cassazione ha deciso che “ l’instaurazione di una stabile e duratura convivenza more uxorio recide ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale ed esclude il presupposto per la riconoscibilita’ di un assegno divorzile, fondato sulla conservazione di esso ( la Corte, nella specie, ha così negato la corresponsione di un assegno di divorzio alla moglie, che aveva costituito con altra persona un nuovo nucleo familiare, dal quale era altresì nata prole).”

Questa sentenza definisce un lungo dibattito giurisprudenziale, al quale dà una svolta nel senso di stabilire, senza se e senza ma, la cessazione dell’erogazione dell’assegno divorzile, stabilito a favore dell’ex moglie, qualora intraprenda una convivenza con altra persona. La creazione di una famiglia di fatto, e quindi di una formazione sociale giuridicamente rilevante, recide ogni plausibile connessione con il tenore di vita ed il modello economico proprio della pregressa fase di convivenza matrimoniale. Viene così meno il presupposto per l’erogazione di un assegno di divorzio che, come è noto, ha funzione assistenziale e mira a garantire al coniuge, privo di mezzi adeguati, il mantenimento di quel tenore di vita goduto in costanza di matrimonio; solo per precisione, è bene chiarire che questo principio è valido solo in teoria: nessun coniuge che appartiene ad una fascia sociale medio/bassa mantiene “lo stesso tenore” di cui ha beneficiato durante il matrimonio, ma questa è un’altra questione.

Secondo la maggior parte di commentatori, la sentenza va letta favorevolmente, nel senso che si tratta di un’indubbia valorizzazione della famiglia di fatto e quindi, della reciproca solidarietà anche economica che i partner assumono.

La creazione di una famiglia di fatto assume rilievo se ed in quanto la nuova convivenza assuma i connotati di stabilità e continuità ed i conviventi elaborino un progetto ed un modello di vita in comune analogo a quello che, di regola, caratterizza la famiglia fondata sul matrimonio.

Certamente, sul piano morale, prima ancora che giuridico, non è certamente condivisibile la posizione dell’ex coniuge, che, seppur divorziato, da una parte instaura una convivenza con altro partner, dall’altra non produce reddito autonomo e beneficia dell’assegno di divorzio. La posizione non è sostenibile e, mettendosi nei panni dell’ex marito o dell’ex moglie che deve pagare una somma mensile più o meno consistente a chi ora vive con altro partner, si intuisce facilmente l’ingiustizia che subisce.

Ma da qui a considerare la sentenza come una forma di riconoscimento della famiglia di fatto ne passa. Ritengo che allo stato non vi sia alcuna tutela della convivenza ed il principio di solidarietà tra partner sia un esercizio verbale, senza alcun riscontro pratico. Basta pensare che il provvedere alle esigenze del partner economicamente più debole, in costanza di convivenza, è adempimento rimesso alla morale del compagno, in quanto alcuna norma non esiste al riguardo.

Molto spesso le donne (che statisticamente sono quelle che più spesso non producono reddito, perché non lavorano) sono assolutamente prive di alcuna solidarietà da parte del partner: finita la convivenza il compagno più debole economicamente, ripetiamo la donna, non ha diritto ad alcun sostegno e, in mancanza di figli, deve fare la valigia e scomparire.

Basta, inoltre, pensare al modello della famiglia italiana nella quale i compiti di cura della casa, del marito e dei figli sono ancora rimessi integralmente alla donna, la quale se si dedica interamente a tali attività ed è sposata, allora può sperare in un riconoscimento economico da parte dell’ex marito, che le consenta perlomeno di poter affrontare le proprie spese personali, considerato che non ha redditi per essersi spesa nell’interesse della famiglia; se, viceversa, la donna ha solo convissuto, al momento della separazione non ha alcun diritto ad avere una forma di sostentamento, e potrà solo pensare a quanto ha sbagliato nel consentire al compagno di lavorare e lei a rinunciare ad una sua formazione professionale e lavorativa.

D’altronde, la riprova di quanto affermato va ritrovata nella seconda parte della sentenza su riportata, laddove afferma che a il diritto all’assegno non si estingue a seguito dell’instaurazione di una famiglia di fatto, ma entra per così dire, in uno stato di quiescenza, che perdurerebbe fino a quando non dovesse cessare la convivenza stessa; secondo i Giudici di legittimità, verificandosi tale ipotesi, il coniuge o ex coniuge che ne abbia i requisiti potrà avanzare domanda di assegno.

L’ex marito o l’ex moglie potrà quindi sempre essere chiamato in causa per la corresponsione di un assegno, con buona pace del convivente che è libero da qualsiasi responsabilità nei confronti dell’ex partner. Credo che la sentenza vada letta nel senso di una giusta regola morale, ma non di un particolare riconoscimento della famiglia di fatto.