Torino, colpa della Appendino. “Io come Fassino”. E se ne volò a Cardiff

di Giuseppe Turani
Pubblicato il 5 Giugno 2017 - 09:09 OLTRE 6 MESI FA

TORINO – Torino, piazza San Carlo, 1.500 feriti, su 30 mila tifosi della Juventus stipati, di chi è la colpa? Tutti se la prendono con Chiara Appendino, sindaco a 5 stelle. Lei si difende: ho fatto come Piero Fassino due anni fa. Così lei ha dato istruzioni ai vigili di seguire la prassi dell’altra volta e ha preso il volo per Cardiff per vedere la finale dalla tribuna d’onore dello stadio gallese.

Dettaglio trascurato dalla povera Appendino: siamo in piena psicosi da terrorismo e basta un petardo sparato da uno scemo per mettere in crisi una piazza e una città. Per questo Giuseppe Turani non ha dubbi. E lo scrive in questo articolo, pubblicato anche su Uomini & Business. La colpa è del sindaco, Chiara Appendino. Ha sottovalutato i rischi, ha permesso che si stipassero ben 30 mila persone in piazza San Carlo, non ha nemmeno vietato la vendita delle birre in bottigliette di vetro, cosa che ormai è proibita anche a Trastevere.

Vorrei chiarire un paio di cose e poi che ognuno dica la sua. Non voglio nemmeno più perdere tempo a rispondere.

Il primo punto da chiarire è che non si è trattato di fatalità. Chi sostiene questo mente sapendo di mentire. Nel mondo si fanno grandi eventi quasi tutti i giorni. La “tecnologia” di gestione di questi eventi  (concerti, riunioni religiose, ecc.) è ormai nota e consolidata. Si tratta di un insieme di misure anche semplici: si divide la folla in diverse aree non comunicanti per impedire l’effetto onda (che a Torino ha invece travolto tutti), si fa in modo che ci siano vie di fuga per ogni area, ben segnalate e scorrevoli, senza baracchini che intralcino il percorso, la gente in ingresso viene ispezionata minuziosamente (soprattutto si dà la caccia alle bottiglie di vetro, oggetti tremendi in caso di panico).

Qualunque esperto può spiegare tutte queste cose, che sono semplici e ovvie e che hanno salvato molte situazioni.

D’altra parte proprio noi in Italia abbiamo una lunga storia di manifestazioni politiche e cortei che si sono sempre svolte pacificamene. In quei casi, va ricordato, a sorvegliare gli eventuali estremisti c’è sempre stato il famoso servizio d’ordine della Fiom: ogni tentativo di cambiare il tono o la direzione del corteo veniva stroncato sul nascere, in modi bruschi, ma efficaci.

Ricordo (perché la storia che abbiamo alle spalle è quella che è stata e non altra) una manifestazione milanese dei giornalisti democratici (con in testa Camilla Cederna e Natalia Aspesi), sbrigativamente dispersa da gruppetti fascisti in vena di esibizione.

Sette giorni dopo si è sfilati ancora, questa volta protetti dai ragazzi del Katanga della Statale, che hanno bloccato e disperso i fascisti (più che altro ragazzotti annoiati). La prima volta avevamo pensato che bastassero le nostre belle idee a proteggerci. Ma avevamo sbagliato. Serviva anche qualche ragazzo robusto.

Tutto questo per dire cosa? Per dire che riunirsi in quantità rilevanti è sempre pericoloso. Servono, sempre, misure adeguate di protezione (vie di fuga, strutture di soccorso già sul campo) e serve una struttura di controllo, che abbia la responsabilità della gestione dell’evento.

In piazza San Carlo a Torino non c’era nulla di tutto ciò. Nessuno era responsabile di niente. Baracchini (abusivi, suppongo) giravano tra la folla (30 mila persone) offrendo bottiglie di bibite fresche. Le vie di fuga, poche perché alcune erano state chiuse, erano intasate da trabicoli vari e quindi poco scorrevoli.

Come qualcuno ha scritto in modo molto efficace piazza San Carlo è stata trasformata in una sorta di pentola a pressione, con le valvole chiuse e nella quale qualcuno ha gettato grandi quantità di bottiglie di vetro. Quando è scoppiato il panico, le bottiglie sono cadute a terra, si sono rotte e  si sono trasformate in un tappeto pericolosissimo. Moltissimi feriti accusavano infatti danni ai piedi.

Questo è quello che è successo, in sintesi. Le responsabilità?

Ci sono. Nessuno, in nessun paese al mondo, organizzerebbe una riunione di 30 mila persone con le zero misure di sicurezza di piazza San Carlo. Nessuno, nemmeno la più sgangherata squadra di calcio di paese. Perché, e mi ripeto, queste misure da prendere sono poche, sono chiare e sono ormai di uso universale. Qualunque organizzatore di concerti musicali le conosce alla perfezione e le adotta, visto che non sono nemmeno difficili o complicate.

Ma non a Torino. E il bilancio sembra un bilancio di guerra. Le autorità che avrebbero dovuto vigilare (sindaco, prefetto, questore) non possono tirarsi indietro o giocare allo scaricabarile. Garantire la sicurezza di piazza San Carlo toccava a loro, non a Sant Antonio. Le 30 mila  persone in piazza erano persone vere, bambini compresi. Non erano fantasmi nel salotto di casa propria intenti a fare clic sulla tastiera.

I 1500 feriti di Torino non sono il risultato di una fatalità o di un destino cinico e baro. Sono il risultato di una trascuratezza assoluta, inspiegabile, colpevole.

Quelli che giravano con i loro baracchini, offrendo bibite fresche, sono forse qualcosa di più. Non avrebbero dovuto essere, per nessuna ragione al mondo, su quella piazza, che hanno poi trasformato in un terreno di guerra pieno di cocci di vetro. Perché invece erano lì? Disattenzione o tacita complicità per consentire a dei poveri cristi di fare due soldi in un calda serata di giugno?

Piazza San Carlo non è stata una disgrazia cercata e voluta. Questo no. E’ stata una disgrazia provocata dalla trascuratezza e dalla dabbenaggine.

E Chiara Appendino che cosa c’entra? Purtroppo c’entra. Lei ha le deleghe alla sicurezza in città. Lei doveva accertarsi (anche attraverso le sue strutture) che in piazza San Carlo tutto fosse in ordine.

Invece ha “regalato” ai torinesi la visione della partita e ha lasciato che se la sbrigassero da soli.

E è successo il disastro. Non si fa così. Persino in una banale gita scolastica ci sono regole da rispettare e persone addette alla sorveglianza. Sempre e ovunque. Ma non in piazza San Carlo.