“Un anno a quota zero”. Giuseppe Turani parla di crescita

di Giuseppe Turani
Pubblicato il 23 Luglio 2014 - 08:00 OLTRE 6 MESI FA
"Un anno a quota zero". Giuseppe Turani parla di crescita

Matteo Renzi (Foto LaPresse)

ROMA – “Un anno a quota zero” è il titolo con cui Giusepe Turani ha presentato per la sua rivista Uomini e Business questo articolo.

“Ormai si può dare per certo che la crescita italiana, quest’anno, sarà uguale esattamente a zero (con qualche possibilità di andare anche sotto, cioè di tornare in recessione). E non esiste nulla che si possa fare per migliorare questa situazione. Il tempo è scaduto.

Il premier Renzi (e anche altri, per la verità) continuano a raccontare la favola dell’Unione europea che dovrebbe concederci più flessibilità, e quindi soldi per rilanciare l’economia. Ma di sensato in questo racconto (o aspirazione) c’è ben poco. La Commissione di Bruxelles è in scadenza, cioè è scaduta di fatto, e quella nuova non andrà in carica prima di novembre. E’ chiaro che la Commissione attuale non vuole prendersi impegni come quello di autorizzare l’Italia a fare altri debiti oltre a quelli (enormi) che ha messo insieme negli anni passati. Quella nuova, che arriverà a novembre, vorrà prendersi un po’ di tempo per studiare i dossier. E così si arriva a Natale. A quel punto si potranno già tirare le somme: non sarà successo niente, e la crescita sarà appunto uguale a zero o anche meno.

Ma, dicono i più ottimisti, anche se il 2014 è ormai un anno bruciato, possiamo rifarci sul 2015. A quel punto i soldi arriveranno e saremo a posto.

Ma forse non è proprio così. I previsori più buoni assegnano all’Italia per il 2015 una crescita dell’1,2 per cento. Ma si sa che si doveva andare sopra l’1 per cento anche quest’anno. E invece…

In ogni caso, ammesso che Bruxelles autorizzi deroghe, e quindi la possibilità di fare debiti, si aprono un po’ di problemi.

Il primo è che con una crescita così bassa (ammesso che si arrivi all’1,2 per cento), spendere più soldi significa aumentare i debiti e quindi il rapporto deficit/Pil, già pericolosamente vicino a quota 140. Non è da scartare l’ipotesi, cioè, che il tutto si risolva semplicemente in un peggioramento della nostra situazione finanziaria.

Inoltre (e questo è il vero nodo di tutta la vicenda) che cosa fare dei soldi che eventualmente (sia pure a debito) si rendessero disponibili?

La logica e la buona pratica amministrativa direbbero che l’unica cosa da fare sarebbe abbassare in modo sensibile la pressione fiscale. Ci saranno 50 miliardi da spendere? Bene, via 50 miliardi di tasse.

Ma non è detto. Quando ci sono soldi da spendere tutte le varie corporazioni (comprese quelle sindacali) entrano in azione. Ci sono queste fabbriche in crisi, questi pensionati con una pensione troppo bassa, milioni di cittadini poveri a cui bisognerebbe dare uno stipendio, e così via.

C’è il rischio, cioè, che i soldi “in più” vengano spesi, alla fine, esattamente come sono stati spesi i precedenti: in tante cose che non servono a niente, se non a far immaginare un benessere che non c’è perché è fatto con i debiti.

Insomma, la politica nei prossimi mesi sarà un mestiere duro. E si vedrà chi saprà resistere alle corporazioni e chi no. Anche se l’odore di elezioni politiche generali che si sente in giro non lascia molte speranze.