Vincenzo Vita sul Manifesto: “Il Mostro dell’Opera”

di Vincenzo Vita
Pubblicato il 16 Ottobre 2014 - 16:51 OLTRE 6 MESI FA
Vincenzo Vita sul Manifesto: "Il Mostro dell'Opera"

Anche Francesco Merlo di Repubblica è stato critico con i licenziamenti decisi da Marino

ROMA – “Il Mostro dell’Opera”, ovvero “La sinfonia del sindacato”: è l’intervento di Vincenzo Vita su Il Manifesto, un commento sulla vicenda dei coristi e dell’orchestra sinfonica del Teatro dell’Opera di Roma, che lo scorso 2 ottobre sono stati licenziati in tronco dal sindaco di Roma Ignazio Marino, in quanto presidente del cda che amministra il Teatro, il cui sovrintendente è Carlo Fuortes.

Una decisione che, secondo Vita, vorrebbe risolvere con il napalm thatcheriano un problema le cui cause vanno cercate più nelle cattive gestioni che hanno portato ad affogare le Fondazioni lirico-sinfoniche in un mare di debiti, che nelle proteste dei “Cobas del violino”. Scrive Vita: “È l’ideologia del tempo, in base alla quale la colpa dei dis­se­sti finan­ziari cade su chi lavora”. Ecco il suo commento sul Manifesto:

In qual­siasi luogo del mondo (into­nati o meno che si sia) chiun­que sa can­tic­chiare Hey Jude o Let it be o Tic­ket to ride dei Bea­tles, in quella spe­cie di espe­ranto che è l’international English. Ma l’italiano non è da meno, se si into­nano — ad esem­pio — la Mar­cia dell’Aida o La donna è mobile o Va’ Pen­siero. E vi è una comu­nità ita­lo­fona, che stu­dia la lin­gua pro­prio per apprez­zare l’Opera: dalla Sve­zia, al Giappone.

Stiamo par­lando, dun­que, di uno dei punti chiave dell’identità cul­tu­rale pro­fonda dell’Italia: quella bella e paci­fica, nell’epoca delle iden­tità violente. Ele­men­tare? Non tanto, in verità. Visto che le Fon­da­zioni lirico-sinfoniche stanno affo­gando in 330 milioni di euro di debiti, e visto che l’Orchestra e il Coro del Tea­tro dell’Opera di Roma (la Capi­tale, giu­sto per dire) sono stati — lo scorso 2 otto­bre — licen­ziati in tronco. Forza lavoro ecce­dente (?). Rispetto a che, visto che il Tea­tro esi­ste in quanto — appunto — c’è chi lo fa esi­stere? Tut­ta­via, né il ministro Fran­ce­schini, né il sin­daco di Roma Marino, né l’amministratore dele­gato Fuor­tes sem­brano tenerne conto.

È l’ideologia del tempo, in base alla quale la colpa dei dis­se­sti finan­ziari cade su chi lavora. Per inciso, le retri­bu­zioni ita­liane sono meno alte che nel resto d’Europa. Se mai, si rifletta sull’organizzazione del pro­cesso pro­dut­tivo e sulle male gestioni. Già nel dibat­tito che portò alla legge 100 del giu­gno 2010 (Mini­stro dell’epoca Bondi) si era fatto pre­sente che prima o poi il bub­bone sarebbe scop­piato. Si preferì la «tol­le­ranza repres­siva», per dirla in bella copia. La stessa legge 112 dell’ottobre del 2013 — mini­stro Bray– si è risolta nell’eterogenesi dei fini: al finan­zia­mento pos­sono acce­dere le Fon­da­zioni che hanno messo in atto il risa­na­mento. Quindi, ti sveni per avere le risorse, che forse arri­vano post mortem.

È un’aporia dram­ma­tica e grot­te­sca, che fa pen­sare al film cult di Mike Nichols Comma 22. L’ipotesi, poi, degli accordi perio­dici con orche­stre tratte dal mer­cato è una forma di ester­na­liz­za­zione degna di mrs.Thatcher e con­trad­dice i vasti studi sull’economia poli­tica della cul­tura, di cui pure il sovrin­ten­dente è mae­stro. L’Opera e la Lirica hanno un ciclo del valore ben diverso dalle merci mate­riali e sono dif­fi­cil­mente riproduci­bili. Atten­gono alla qua­lità demo­cra­tica, non­ché alla coscienza cul­tu­rale. Con parole sue ne ha sem­pre par­lato il dimis­sio­na­rio Muti. A meno che il futuro stia nell’affitto della buca degli orche­strali, come è suc­cesso nell’anniversario della nascita di Verdi. Piut­to­sto, i media e la scuola potreb­bero dare una mano: è sem­pre in lista di attesa la riforma dei Con­ser­va­tori e della musica «totale», come scri­veva il grande Gior­gio Gaslini.

Insomma, un inter­vento pub­blico è cru­ciale, accom­pa­gnato da un serio ripen­sa­mento, che deve san­zio­nare ben altri rivoli di spesa e di spreco. Si legga la stampa inter­na­zio­nale, da The Guar­dian, al New York Times, alla Frank­fur­ter All­ge­meine Zei­tung che ha scritto che a nes­sun tede­sco ver­rebbe mai in mente di licen­ziare l’orchestra pub­blica. Le tre fede­ra­zioni inter­na­zio­nali che rap­pre­sen­tano i lavo­ra­tori dello spet­ta­colo dal vivo hanno chie­sto alle auto­rità ita­liane di riti­rare i licen­zia­menti. Un invito da sot­to­scri­vere, oggi che sono con­vo­cate le parti sociale per le pro­ce­dure for­mali. Ad aprire la sta­gione non sarà l’Aida, bensì la russa Rusalka. Il Coro sarà sosti­tuito dall’Armata Rossa, con «Inter­na­zio­nale» incorporata?